I social-giganti, a partire da Google, Facebook e Amazon, si spartiscono annualmente molte centinaia di miliardi grazie alla “pubblicità mirata”, quel genere di “raccomandazioni” che appaiono mentre navighiamo secondo gli interessi, i vizietti e i pregiudizi che traspaiono dai clic individuali. I dati delle piattaforme sono granulari e tempestivi tanto da rendere, almeno in apparenza, il marketing via social quasi simile a una scienza, aiutando a scalzare l’antica dominanza di tv, radio e giornali.

I vecchi media ci hanno rimesso in ricavi e pluralismo, ma del rimpianto per le edicole il problema è che il grosso della pubblicità mirata finisce nell’imbuto di quei colossi che sono arrivati prima a spartirsi la miniera dei nostri dati che arraffano, sequestrano e rivendono.   

Rivoluzione Solid

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Un universo web diverso è tuttavia possibile a parere di Sir Tim Berners-Lee, proprio quello che nel 1992, mentre stava al Cern di Ginevra e per favorire gli scambi tra scienziati, si inventò il web con il www, i browser, la chiocciola e i website.

Dopo d’allora, insegnando informatica tra il Mit (l’Istituto di Tecnologia nel Massachusetts) ed Oxford, ha seguito l’evolversi del web in mani altrui verso il precipizio del business del clickbait compulsivo che ingabbia le chat delle mamme e i pensatori da tastiera e spinge, nel 2016, un troll fino alla Casa Bianca.

Proprio in quell’anno, e forse non per caso, Berners-Lee ha cominciato a progettare la mossa di cambiamento decisiva:  spostare il  patrimonio dei dati dalle applicazioni, social compresi, agli utenti, un uovo di Colombo che per il web equivale alla  rivoluzione di Copernico.

Ogni utente dovrebbe essere padrone di uno scrigno di memoria (detto pod, personal online data store, si fisico che in cloud) in cui confluiscano i dati del suo navigare. Con le seguenti conseguenze: felici gli utenti, che potranno concedere l’accesso ai propri dati in cambio di vantaggi, oppure revocarlo anche per capriccio; contenti gli aspiranti concorrenti, oggi sotto il tallone dei colossi, perché accordandosi con i titolari dei pod, potranno avere i dati e offrire la pubblicità mirata come fonte di ricavi; scontenti i capi di Google, Facebook e Amazon, dovendo negoziare l’accesso a dati che prima si tenevano.  

Il progetto è denominato Solid, come l’acronimo che nella tribù degli informatici fissa gli standard del rigore. Non si esaurisce nei pod, ma li inserisce in un ecosistema nuovo di zecca, basato su una “super lingua” (dobbiamo la definizione ad Andreas Formiconi) che ridispone e armonizza i ruoli di app, memorie ed altre cose entro relazioni chiare, compiute, orizzontali e aperte a ogni contributo di sviluppo oltre che a una miriade di nuove applicazioni.

L’ora zero è prevista fra un paio d’anni, ma fin d’ora possiamo riflettere su due prospettive.

Popolo dei pod

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Avremo, a quanto pare, un “popolo” universale dotato di “potere proprietario” sul patrimonio dei dati da lui stesso generati. Dati quotati (è facile immaginarlo), da prestare e non da cedere, potendo decidere a chi darli e a chi negarli. Dunque, anche persone a cui nessuno s’è mai sognato di chiedere un permesso avranno modo di tonificare l’autostima esercitando il dispotismo del concedere.

Augurandoci ovviamente che Solid sventi in ogni modo l’accaparramento degli accessi ai pod da parte di chi volesse farsene grossista, per evitare che facciano la fine dei poderi, subito svenduti, delle riforme contadine o delle quote delle proprietà dell’Urss che furono distribuite paritariamente fra tutti gli ex sovietici, ma solo per farle cedere, sulla spinta della fame, agli spiccioli pagati dai boiardi.

Occasione per l’Ue

©MAURO SCROBOGNA/LAPRESSE 04-05-2004 STRASBURGO POLITICA PARLAMENTO EUROPEO NELLA FOTO PANORAMICHE ESTERNE DELPALAZZO SEDE DEL PARLAMENTO EUROPEO

La seconda conseguenza del sistema Solid tocca perfino i rapporti dell’Unione europea con Usa e Cina, le due patrie dei giganti social che recalcitrano ovviamente a disturbarli. Mentre l’Ue deve sopportare che ogni clic entro i confini dell’Unione diventi un ricavo sino-americano.

Non a caso, non avendo i suoi campioni da difendere l’Ue ha passato gli anni a contenere quelli altrui con norme divenute progressivamente più incisive. Ebbene, il caso vuole che queste norme di carattere difensivo si scoprano perfette per progetti come Solid che, altro che difesa, possono rovesciare gli equilibri attuali. Così il Gdpr (General Data Protection Regulation) che vige nell’Ue per proteggere i dati personali, proteggerà ancor meglio i pod contro il rischio di abusi volti a duplicare i dati nelle usuali casseforti visto che non c’è modo tecnico di impedire questi misfatti alla radice.

Da notare che non solo non esistono leggi analoghe in Usa e Cina, ma anche che Zuckerberg rivela la portata della posta quando attacca l’Alta corte europea perché contraria al trasferimento di dati locali nei server soggetti alle giurisdizioni d’altri stati e (a pag. 36 del report annuale più recente) preconizza la scomparsa di Facebook, Instagram, Whatsapp e Messenger dai confini dell’Unione. Per cui, a maggior ragione, conviene pensare, in fretta e senza rimpianti, a sostituirlo.   

Dentro questa visione alternativa gli stati dell’Ue potrebbe anche accelerare la messa a terra di sistemi Solid come già stanno facendo le autorità fiamminghe che hanno istituito per ogni cittadino una identità web simile allo Spid, ma collegata a un pod, dove confluiscono i dati derivanti dai pubblici servizi (anagrafe, sanità, istruzione, fisco e così via).

In sostanza, e con una visione strategica adeguata, l’Unione europea riprenderebbe in mano la parte propria di pubblicità mirata e cesserebbe di trasferire ogni anno fuori dai propri confini il centinaio di miliardi. Un paradiso per nuove applicazioni e numerosi e ben pagati, posti di lavoro.

Cose che meriterebbero di risuonare sotto gli ombrelloni di quest’estate elettorale estenuata, scafata e diffidente. 

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