Nella foto scattata a tarda sera i sorrisi stanchi di Mansour Abbas, Naftali Bennet e Yair Lapid annunciano una svolta storica per la politica israeliana. I fogli che Lapid stringe tra le mani sono la prova dell’accordo tra gli otto leader di partito decisi a metter fine ai dodici anni di governo ininterrotto di Benjamin Netanyahu. Poco dopo quello scatto, a trentacinque minuti dalla scadenza del mandato con cui era stato incaricato della formazione del governo, Lapid ha telefonato al presidente israeliano Ruben Rivlin per comunicargli che la missione era compiuta.

Con Bennet al suo fianco, Lapid ha annunciato al presidente che grazie alla cordata composta dal suo partito centrista Yesh Atid, l’ultradestra di Yamina guidata da Bennet, Yisrael Beitenu di Avigdor Lieberman, Kachol Lavan di Benny Gantz, la New Hope di Gideon Saar, il partito arabo-islamico Ra’am di Mansour Abbas, il partito Laburista e la sinistra di Meretz ci sono i numeri per un governo di unità nazionale. Ma il governo più eterogeneo che Israele abbia mai avuto deve affrontare ancora qualche ostacolo prima di vedere la luce. Il parlamento dovrebbe votare la fiducia entro la prossima settimana, un tempo lunghissimo per la politica israeliana. Netanyahu sta già usando ogni mezzo – dalla mobilitazione dei leader religiosi di destra all’uso aggressivo dei social media – per fare pressione sui parlamentari legati a Bennet o Saar e convincerli a sfilarsi dalla coalizione.

La fragilità di questa alleanza è lampante. Un tentativo di coesione tra partiti con ideologie distantissime, dagli ultra-nazionalisti di Yamina alla sinistra di Meretz, passando per il centro di Yesh Atid per finire con l’appoggio fondamentale di Ra’am, un partito arabo di ispirazione islamista. Ma le peculiarità del governo possibile non finiscono qui. L’accordo prevede che Naftali Bennet, leader di un partito che rappresenta solo il 6,2 per cento dei voti e ha raccolto 7 seggi alle ultime elezioni, sia il primo a ricoprire la carica di primo ministro. Mentre Yair Lapid – che con il suo Yesh Atid rappresenta il blocco più importante della coalizione – potrebbe non arrivare mai a sostituire Bennet tra due anni. È chiaro che a tenere insieme le diverse anime della coalizione sia solo l’intenzione di liberare il panorama politico dalla figura egemonica di Netanyahu, provando a ridisegnare un futuro, magari anche molto prossimo, a partire da equilibri nuovi.

Le manovre di Bibi

Netanyahu è un politico sofisticato in grado di cambiare le carte in modo inaspettato, ma ci sono buone possibilità che l’esecutivo ottenga la fiducia. E anche se avesse vita breve, i negoziati di questi mesi e gli avvenimenti delle ultime ore hanno dimostrato un fattore importante: il ruolo fondamentale dei partiti arabi nel definire i destini della politica israeliana. «La vera grande innovazione è strutturale, ossia l’inclusione di un partito arabo nella coalizione di governo per la prima volta nella storia di Israele. Il fatto che un partito arabo sia entrato a far parte della coalizione definendo le proprie condizioni è una cosa positiva», dice Naomi Chazan, professore emerito di scienza politica all’università ebraica di Gerusalemme. Chazan è stato parlamentare e vicepresidente del parlamento. Guardando alla situazione attuale considera importante il raggiungimento di un accordo. «Ci sono solo tre opzioni sul tavolo. Da un lato la coalizione dei partiti religiosi di ultradestra guidata da Netanyahu, questa cordata composta da tutti quelli che non vogliono più Bibi al governo, oppure una nuova tornata elettorale. Bibi non è stato in grado di formare un governo e vorrebbe una quinta elezione, ma molti dei partiti anti-Netanyahu otterrebbero risultati peggiori se dovessimo tornare a votare. Questa alleanza è troppo eterogenea e non durerà, ma speriamo possa reggere un paio di anni, il tempo sufficiente per dare il via ad alcuni cambiamenti e creare uno scenario diverso».

Oltre al riconoscimento della rappresentanza araba nell’arena politica ci sono un paio di altri aspetti positivi da considerare: l’equità tra i partiti della coalizione con la necessità di raggiungere un consenso sulle decisioni, e la prevalenza di partiti laici in un paese in cui non si è ancora raggiunta una completa separazione fra stato e confessioni. Chazan ricorda anche che il parlamento ha appena «dimostrato di avere un certo giudizio» eleggendo il moderato, ex leader del partito Laburista, Isaac Herzog, come nuovo presidente di Israele. E aggiunge un guizzo di ottimismo: «Credo che questo governo abbia buone possibilità di essere più integro e onesto, un tema importantissimo dopo la gestione Netanyahu».

 

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