- Le proteste che si sono moltiplicate negli Stati Uniti dopo la morte dell’afroamericano George Floyd sono l’esempio che il paese ha ancora un conto da pagare con la storia. Un’impressione confermata, negli ultimi anni, anche dall’atteggiamento riparatore della chiesa cattolica statunitense.
- Per molti la recente nomina del cardinale Wilton Gregory, primo afroamericano a vestire la porpora, è la risposta al vuoto ingombrante della chiesa nei riguardi di un passato non sempre inclusivo.
- Su questo solco va intesa l’iniziativa dei gesuiti statunitensi. L’ordine a cui appartiene il papa sta picconando secoli di suprematismo bianco.
Le proteste che si sono moltiplicate negli Stati Uniti dopo la morte dell’afroamericano George Floyd sono l’esempio che il paese ha ancora un conto da pagare con la storia. Un’impressione confermata, negli ultimi anni, anche dall’atteggiamento riparatore della chiesa cattolica statunitense.
«Non possiamo tollerare né chiudere gli occhi su qualsiasi tipo di razzismo o di esclusione e pretendere di difendere la sacralità di ogni vita umana» ricordava papa Francesco nell’udienza dello scorso giugno a proposito delle violenze esplose a Minneapolis. Quando la chiesa cattolica ha messo mano negli Usa alle istanze di giustizia sociale ha, infatti, dovuto fronteggiare la sua incapacità storica nel dissociarsi da una fase di suprematismo bianco, talvolta imbevuta di ideologia biblica.
Per molti la recente nomina del cardinale Wilton Gregory, primo afroamericano a vestire la porpora, è la risposta al vuoto ingombrante della chiesa nei riguardi di un passato non sempre inclusivo. Pochi mesi prima l’arcivescovo di Washington D.C. aveva criticato apertamente le strumentalizzazioni dei simboli della fede cristiana da parte di Trump in un momento di sofferenza per un paese che piangeva l’ennesimo afroamericano condannato a morte nel tribunale sommario della strada.
Tre milioni di fedeli
Su 69 milioni di cattolici statunitensi, 3 sono afroamericani. Barack Obama era presidente uscente quando il Pew Research Center ha stilato il rapporto Religious Landscape Study: prima dell’avvento di Trump, otto afroamericani su dieci si identificavano come cristiani, il 5 per cento dei quali affermava di essere cattolico.
La polarizzazione dell’elettorato negli anni della presidenza Trump ha orientato molti nella scelta di Biden, secondo presidente cattolico dopo Kennedy. I dati diffusi dal Centro di ricerche applicate nell’apostolato (Cara) mostrano come il maggiore, seppur lieve, coinvolgimento dei cattolici nel futuro democratico d’America si sia giocato su questioni divisive, come quella razziale, catalizzata da Black Live Matters e da un associazionismo nero molto attivo in nordamerica e di matrice protestante.
Attualmente, temi come il suprematismo bianco sono al centro di una profonda riflessione nella chiesa statunitense, che oppone al mito colonialista una contro-narrazione drenata da colpe ed errori: è l’accountabilty della chiesa di papa Francesco, consapevole che la risoluzione dei conflitti – specialmente culturali – debba immergersi in un passato polarizzato e spesso contraddittorio: «La vera riconciliazione non rifugge dal conflitto, ma si ottiene nel conflitto» (enciclica Fratelli Tutti ndr).
La mossa dei gesuiti
Su questo solco va intesa l’iniziativa dei gesuiti statunitensi. L’ordine a cui appartiene il papa sta picconando secoli di suprematismo bianco. Il 1° settembre 2016, la Georgetown University, retta per tradizione dai gesuiti, ha diffuso un rapporto che fa luce sulla vendita di 272 schiavi provenienti dalle piantagioni del Maryland per estinguere i debiti contratti dall’ateneo nel 1838. La direzione si è formalmente scusata per il suo coinvolgimento e ha istituito un fondo ad hoc per risarcire simbolicamente i discendenti di quegli schiavi. «Vedevamo Dio come bianco perché la logica della supremazia bianca impone che gli spazi pubblici, i rituali, le chiese e persino Dio appartenessero ai bianchi» ha dichiarato in una cerimonia “riparativa” celebrata dall’ateneo nel 2017 Timothy Kesicki, a capo dei gesuiti in Canada e Usa.
L’esempio di Georgetown è tra i più conosciuti, ma il fiorire di cerimonie analoghe in altre realtà mostra l’ambivalenza storica dell’educazione cattolica statunitense nei confronti della comunità nera. La Xavier University of Cincinnati, fiore all’occhiello del Midwest cattolico, nel suo Atto di incorporazione si definiva «un’istituzione per l’educazione dei giovani bianchi». Documenti dell’archivio della Compagnia di Gesù a Saint Louis attestano che persino i gesuiti di New Orleans, mosche bianche nell’Ottocento delle segregazioni, nel 1875 negarono gli studi a un novizio per il colore della sua pelle. «La storia dei cattolici neri ci ricorda che la chiesa non è mai stata una spettatrice innocente del colonialismo» ha dichiarato Shannen Dee Williams, professoressa di storia alla Villanova University, il più antico ateneo cattolico della Pennsylvania.
Ancora oggi si parla di razzismo occasionale in alcune scuole cattoliche, e spesso il problema viene affrontato con toni censori. Ne ha parlato di recente il New York Times riferendosi a una serie di espulsioni alla Regis High School, prestigiosa scuola dell’Upper East Side di Manhattan, dove un gruppo di studenti e professori ha chiesto giustizia riparativa per chi compie atti di micro razzismo: non l’espulsione, ma il dialogo e il confronto. Era il 24 luglio 1990, quando il Comitato nazionale del clero cattolico nero aveva designato novembre quale mese dedicato ai cattolici afroamericani, per riflettere sul passato e auspicare a una maggiore giustizia sociale.
Se le istituzioni accademiche diventano luoghi di cura al razzismo afroamericano, l’invito della chiesa non si limita alla mera riflessione locale. Per Roma questo processo dev’essere sostenuto da una chiamata all’azione. Lo ricordava il papa già nel maggio 2019 davanti all’Accademia delle scienze sociali, ribadendolo in seguito con varie iniziative tra cui quella del 23 novembre scorso quando in Vaticano è stata invitata una delegazione della Nba per discutere di ingiustizie sociali, economiche e razzismo.
La riscoperta della black culture passa anche da azioni più schiettamente ecclesiali. È probabile che nei prossimi anni diverrà santo Augustus Tolton, il primo prete afroamericano, il cui processo di canonizzazione è stato aperto nel 2010 dall’arcidiocesi di Chicago. I primi di dicembre, la fondazione filantropica Lilly Endowment ha annunciato lo stanziamento di un milione di dollari in cinque anni per la creazione di un centro di spiritualità dedicato a Tolton. Per il cardinale di Chicago, Blaise Cupich, la vita di questo sacerdote figlio di schiavi è il modello da cui partire per sviluppare una piena consapevolezza della multiforme identità cattolica, statunitense e non solo. Un’identità che si unisce a un «sogno di pieni diritti civili e politici per gli afroamericani» come ricordava papa Francesco omaggiando Martin Luther King nel suo discorso al Congresso Usa nel 2015. Allora Trump non era ancora alla Casa Bianca, ma la lista delle discriminazioni nei confronti degli afroamericani era già fitta.
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