Le decisioni sull’organizzazione cattolica più importante del recente passato hanno creato polemiche. Se movimenti e comunità sono in declino, anche la prelatura personale non vive il suo momento migliore
Aspre polemiche hanno accolto le recenti decisioni che papa Francesco ha preso nei confronti dell’Opus Dei, l’organizzazione cattolica probabilmente più importante e controversa dell’ultimo secolo. In sostanza si tratta di una nuova sistemazione giuridica, ma di fatto è una normalizzazione, interpretata con ragione come un netto ridimensionamento, benché le reazioni degli interessati, anche ai più alti livelli, si sforzino di minimizzare i provvedimenti del pontefice, maldestri secondo critiche che appaiono fondate, ma forse opportuni.
Due sono i motivi che sul piano storico aiutano a capire l’atteggiamento di Bergoglio nei confronti dell’Opus Dei, caratterizzato senza dubbio da un’impronta tradizionale e conservatrice. Da una parte – soprattutto agli inizi, nella Spagna appena uscita dalla guerra civile – bisogna ricordare i rapporti difficili e la tradizionale rivalità dell’organizzazione con i gesuiti, che in quegli anni erano altrettanto conservatori. Dall’altra, dopo anni di misteri e di critiche non è stata dimenticata l’ascesa folgorante durante il pontificato di Giovanni Paolo II dell’istituzione fondata da José María Escrivá de Balaguer.
Nato nel 1902, il prete aragonese ha sempre fatto risalire idealmente gli inizi della sua creatura al 1928, ma in realtà è soltanto nel decennio successivo – e soprattutto dopo la vittoria di Francisco Franco – che l’Opus Dei prende progressivamente forma. Escrivá pensa a un’associazione maschile, che però si allarga anche a un ramo femminile, di fatto subordinato. Privilegiati dal fondatore sono i giovani universitari e gli ambienti intellettuali, e inevitabile si rivelano la rotta di collisione e lo scontro con i gesuiti, naturali e gelosi concorrenti dei nuovi arrivati.
Riconosciuta a Madrid nel 1941 e affiancata due anni più tardi dalla Società sacerdotale della Santa Croce, fin dal 1946 l’organizzazione trasferisce la sua sede centrale a Roma, dove acquisisce Villa Tevere, un imponente complesso di edifici in viale Bruno Buozzi alle falde dei monti Parioli. Già l’anno successivo la Società sacerdotale insieme all’Opus Dei viene approvata dalla Santa sede come il primo degli «istituti secolari», una forma di vita consacrata appena costituita nella chiesa. Poco più tardi, nel 1950, arriva il riconoscimento definitivo.
La vicenda giuridica dell’organizzazione è velata dal riserbo e dal segreto, a causa anche del privilegio ottenuto di presentare, nelle diocesi dove opera, non il testo integrale delle proprie costituzioni ma soltanto un loro sommario, e questo ovviamente non fa che alimentare malumori e diffidenze.
L’Opus Dei – composto da preti e da laici, celibi (i «numerari») o coniugati (i «soprannumerari»), con altri collaboratori – per decenni cerca poi di ottenere l’autonomia dai vescovi diocesani. Per questo a partire dal 1962 moltiplica i tentativi di divenire una «prelatura» non legata a un territorio: un ulteriore e decisivo passo che però Giovanni XXIII e Paolo VI non autorizzano.
Escrivá muore nel 1975 e non vede il coronamento del suo sogno, che si realizza già nei primi anni del pontificato di Wojtyła, aperto sostenitore dell’Opus Dei. L’organizzazione è infatti conosciuta e apprezzata da un grande amico del nuovo papa, poi cardinale, il polacco Andrzej Deskur. Così, nonostante forti opposizioni anche nella curia romana, nel 1982 l’organizzazione diviene «prelatura personale»: istituzione prevista da un documento del Vaticano II, e poi in parte recepita dal nuovo codice di diritto canonico, ma che rimane un unicum nella chiesa, con l’obbligo però di pubblicare i suoi statuti.
Cultura e disciplina
Da questo momento l’ascesa dell’Opus Dei è inarrestabile. La crescita è favorita anche da una solida formazione – in genere i preti e i «numerari», che ne costituiscono l’élite, sono in possesso anche di una laurea civile, oltre un titolo in teologia – e soprattutto dalla ferrea organizzazione interna: due tratti che ricordano quelli di un tempo dei gesuiti. E importanti sono le disponibilità economiche, con un patrimonio che nel 2005 viene calcolato da un giornalista non prevenuto come John Allen in circa 2,8 miliardi di dollari: stima ritenuta attendibile dall’organizzazione.
Alla guida dell’Obra, per molto tempo in grande prevalenza spagnola, si succedono i più stretti collaboratori del fondatore, quasi una dinastia: fino al 1994 Álvaro del Portillo, quindi Javier Echevarría e, dal 2017, Fernando Ocáriz, nato a Parigi da esuli antifranchisti. L’aperto appoggio del papa polacco viene reso manifesto dall’ordinazione episcopale dei primi due prelati, ma soprattutto dalla rapida beatificazione – è il 1992, decennale della prelatura personale – di Escrivá, che viene proclamato santo nel 2002.
Preparata accuratamente, la causa di beatificazione e canonizzazione del fondatore ha la meglio sulle opposizioni, ma non evita contestazioni e accese polemiche che accompagnano le due grandiose cerimonie presiedute dal pontefice in piazza San Pietro. E beato viene dichiarato, con l’approvazione di papa Francesco, anche Álvaro del Portillo, in una cerimonia che si svolge nel 2014 a Madrid, nel centenario della nascita.
Ma per la prelatura è l’ultimo successo. Attento alle date proprio come l’Opus Dei, dal 2022 – cioè nel quarantennale del riconoscimento come prelatura personale – Bergoglio ha avviato dapprima con una lettera la normalizzazione giuridica per «salvaguardare il carisma» originario, come recita il titolo del documento papale. E ora, con un motu proprio, ha ritoccato il codice di diritto canonico.
Il punto centrale, controverso, ruota sull’autonomia dai vescovi dei laici che fanno capo all’organizzazione, autonomia che ormai appare impossibile. Entro questi stretti limiti, criticati da alcuni giuristi, sarà lo stesso Opus Dei a dover mettere a punto nuovi statuti. E se l’organizzazione ha esperti canonisti, d’ora in poi il suo prelato non potrà divenire vescovo, come inusualmente ha stabilito il papa.
Della prelatura fanno parte novantamila laici (in maggioranza donne) e duemila sacerdoti, mentre altrettanti sono i preti diocesani della Società sacerdotale della Santa Croce. Molto numerosi sono i collaboratori e i simpatizzanti, alcune decine i vescovi e due i cardinali: il novantatreenne spagnolo Julián Herranz, curiale di lungo corso nonché ferrato giurista, e il peruviano Juan Cipriani, l’arcivescovo emerito di Lima che alla fine del prossimo dicembre compirà ottant’anni e quindi perderà il diritto di voto attivo in conclave.
Né Benedetto XVI né Francesco hanno invece creato cardinale l’autorevole esponente della prelatura José Horacio Gómez, l’arcivescovo di Los Angeles difensore dei migranti che per tre anni è stato presidente della conferenza episcopale statunitense. Più conosciuti in Vaticano sono stati due numerari laici, entrambi direttori della Sala stampa della Santa sede: lo spagnolo Joaquín Navarro Valls, brillante quanto discusso al tempo di Giovanni Paolo II, e lo statunitense Greg Burke, che invece dopo appena due anni si è dimesso.
Le rappresentazioni
Centinaia sono le istituzioni e i centri scolastici, universitari e medici che fanno riferimento alla prelatura. Tra questi, spiccano storicamente l’Università di Navarra, fondata a Pamplona nel 1952, e a Roma la Pontificia Università della Santa Croce, avviata nel 1984.
Insomma, un vero e proprio impero, che nel 2003 è stato rappresentato come una setta oscura, potente e pericolosa dal Codice da Vinci. Ma il mito negativo era nato già nella Spagna franchista, per le vicende e le disavventure di appartenenti all’Obra, fino alle accuse di essere una massoneria cattolica o addirittura una «santa mafia», come s’intitolava un libro del giornalista militante Jesús Ynfante.
Politici spagnoli di spicco sono stati infatti vicini all’Opus Dei, come i «tecnocrati», economisti, ministri e finanzieri nell’epoca di Franco. Ma nel caso di alcuni clamorosi scandali l’organizzazione ha sempre sostenuto le loro responsabilità personali e sottolineato la sua lontananza da indicazioni politiche, come in Italia riconosceva l’Unità.
In ambito cattolico accuse di «integrismo» arrivano nel 1963 dall’importante teologo Hans Urs von Balthasar e rimbalzano nei decenni successivi, mentre ricostruzioni storiche e sociologiche molto attendibili (ma contestate dalla prelatura) vengono da specialisti come Giancarlo Rocca e Joan Estruch. E se comunità e movimenti cattolici sono in declino – sotto l’occhiuta lente papale – in una crisi sempre più evidente dell’intera chiesa, ora anche l’Opus Dei è finito in purgatorio.
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