Il 2 marzo 2011 veniva ucciso a Islamabad Sahbaz Bhatti, l’unico ministro cristiano del governo pakistano, che si batteva per il rispetto di tutte le minoranze. Bhatti era conosciuto e rispettato da tutti e la sua morte, per mano estremista, suscitò molta indignazione non solo nel suo paese. La sua Bibbia personale è oggi conservata a Roma nella basilica di San Bartolomeo all’Isola, dedicata ai nuovi martiri e che Giovanni Paolo II affidò alle cure della Comunità di Sant’Egidio.
Ancora oggi il clima in Pakistan resta teso nel conflitto tra militari e clan del potere contrapposti. Le recenti elezioni hanno inferto un duro colpo all’esercito che, in un modo o nell’altro, controlla il potere politico ormai da decenni.
I candidati indipendenti legati al partito dell’ex premier Imran Khan sono arrivati in testa, anche se non hanno avuto la possibilità di formare un governo. Un risultati notevole se si considera che il loro leader è imprigionato e condannato a 10 anni mentre il partito resta interdetto.
Sfida all’esercito
L’inefficacia della repressione militare si radica nei cambiamenti profondi avvenuti in Pakistan in questi ultimi anni. Le elezioni sono diventate una specie di boomerang per il potere costituito.
Come ha osservato acutamente Adeel Malik su Project Syndicate, l’ingerenza politica dell'esercito ha finalmente trovato un degno avversario. Il fascino popolare di Khan, il più grande giocatore di cricket – sport nazionale – della storia del paese, è stato certamente decisivo anche se la sua sfida all’autorità militare lo ha portato all’arresto e alla successiva condanna per corruzione.
Tuttavia c’è qualcosa di più. Il Pakistan sta cambiando rapidamente dal punto di vista sociologico ed economico. La nuova classe media, che si deve distinguere dall’élite politico-amministrativa preesistente legata alle grandi famiglie e ai capi clan (tradizionali collettori di voti per l’esercito), fa sentire la propria voce e in particolare il suo malcontento.
La nuova middle class
La globalizzazione ha inserito il paese in un flusso commerciale positivo, inclusi gli scambi con la Cina, ma le politiche economiche statali non sono state all’altezza della sfida.
Così la nuova middle class, soprattutto quella di fascia bassa (lower income middle class) teme di perdere potere d’acquisto e di non riuscire a mantenere il proprio status. L’economia pakistana si basa ancora troppo su risorse pubbliche prese a prestito sia dal Fondo monetario internazionale sia dalla Cina o dagli stati del Golfo.
Khan aveva cercato di cambiare un sistema ancora legato a sussidi, bonus ed esenzioni fiscali che deprimeva il settore privato. La crescita del comparto manifatturiero si è arenata e con essa anche le esportazioni.
Il colpo di mano contro il primo ministro ha provocato inoltre un calo del Pil nazionale e la successiva sfiducia dei mercati. Oggi l’inflazione tocca il 30 per cento e la crisi economica rimane endemica. La classe media pakistana sperava in un ciclo di rinnovamento che avrebbe fatto uscire il paese dal tradizionale gioco dei grandi clan familiari.
Malgrado la storica distanza religiosa e politica dall’India, i giovani pakistani invidiano la capacità del grande vicino di cogliere le opportunità dell’innovazione tecnologica inclusa quella digitale.
In Pakistan i due terzi della popolazione ha meno di 30 anni e costituisce la più ampia generazione di giovani nella storia del paese. Ciò comporta oltre 70 milioni di utenti attivi sui social media, che si sono rivelati molti efficaci durante la campagna elettorale allo scopo di mobilitare gli elettori.
Cambia la struttura sociale
Secondo Adeel Malik tali cambiamenti stanno rivoluzionando la struttura sociale: il sistema clientelare che garantiva il sostegno di interi clan non funziona più, il voto unificato delle famiglie si è disintegrato e tutti ora votano in base alle proprie preferenze e opinioni.
Tale metamorfosi ostacola la capacità dell’esercito di controllare la politica attraverso i notabili locali. In questa maniera: «Il panorama post-elettorale del Pakistan è caratterizzato da una combinazione instabile di risorse in diminuzione, un numero crescente di stakeholder e un élite autoritaria riluttante a fare alcuna concessione».
Il tentativo del governo di mantenere lo status quo attraverso la repressione sta provocando una perdita di legittimità e di fiducia nelle istituzioni statali, come si è visto dai risultati elettorali.
Le controversie politiche e i conflitti sociali sono destinati ad esplodere con violenza. Posto al crocevia di interessi globali tra India, Cina e occidente, il Pakistan è destinato ad una fase di crisi diversa dal solito. I suoi partner saranno indotti a fare pressione sui militari affinché allentino almeno il totalizzante controllo del settore statale favorendo il settore privato in modo da dare ossigeno allo sviluppo economico.
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