- In caso di un’ulteriore escalation militare in Ucraina, i paesi europei saranno costretti a cercare altri interlocutori che possano sostituire la Russia come principale fornitore di gas, utilizzato per produrre energia, ma soprattutto per il riscaldamento.
- Il Qatar può giocare un ruolo rilevante nell’approvvigionamento di gas anche se la produzione nazionale ha quasi raggiunto i massimi livelli. La Libia e l’Algeria pagano l’instabilità politica.
- Kiev e Mosca circa il 25 per cento dell’export di grano mondiale. In caso di escalation militare a pagarne le conseguenze sono paesi come il Libano e lo Yemen, martoriati da lunghi mesi di crisi economica
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia influenza inevitabilmente l’approvvigionamento energetico dell’Unione europea. Ma se Vladimir Putin dovesse chiudere i rubinetti del gas ci sono altri stati che potrebbero sfruttare la situazione e guadagnare credito sul piano delle relazioni internazionali.
Il gas
La soluzione più facile è attingere alle risorse di gas presenti in Medio Oriente e in particolare nei paesi del Golfo Arabo dove c’è il Qatar, il secondo produttore di gas liquefatto al mondo. A gennaio Biden ha chiesto all’emiro qatarino di incrementare una produzione che ha già raggiunto quasi i massimi livelli possibili per Doha che vende gran parte del suo gas ai paesi asiatici. Ma il rischio di un rafforzamento degli accordi commerciali tra il Qatar e l’Europa preoccupa Mosca.
Non è un caso se l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani ha ricevuto il 22 febbraio una lettera ufficiale firmata dal presidente russo Vladimir Putin per rafforzare le relazioni bilaterali tra i due paesi. La lettera di Putin è stata consegnata ad al-Thani proprio dal ministro russo dell’energia Nikolay Shulginov, presente a Doha per partecipare a una conferenza sull’esportazione del gas.
Anche il Nord Africa può essere una delle soluzioni sul tavolo per i paesi europei. Libia e Algeria sono partner strategici ma entrambi pagano il prezzo dell’instabilità politica interna e della regione. A Tripoli il mandato dell’esecutivo guidato dal premier Abdel Hamid Dbeibah è stato messo in discussione dal parlamento di Tobruk che nei primi giorni di febbraio ha votato Fathi Bashaga come nuovo primo ministro, sostenuto ufficialmente anche da Mosca. In Libia si rischia così di ritornare ai peggiori anni del conflitto civile in cui il paese aveva due diversi governi. Una situazione che mina il processo di transizione politica nato sotto l’egida delle Nazioni unite che avrebbe dovuto portare a nuove elezioni democratiche e alla ricostruzione del paese.
In questo quadro di incertezza politica, tra gli scenari possibili di medio termine ipotizzati dall’articolo dell’European Council of Foreign Relations c’è quello che punta all’aumento della produzione di gas in Tripolitania trasportandolo in Italia. Ma la presenza russa in Libia, attraverso il gruppo paramilitare Wagner, potrebbe interferire nell’approvvigionamento delle risorse.
L’Algeria, invece, potrebbe giocare un ruolo importante aumentando la sua produzione per farla arrivare in Spagna e dirottare, poi, le risorse verso gli altri stati europei acquistando un credito nei confronti dell’Unione europea e della Francia.
E poi c’è l’Egitto del generale Abdel Fattah al Sisi, criticato dall’Unione europea per la repressione dei diritti umani nel paese ma che è tra i maggiori esportatori di gas dell’area nordafricana, anche grazie ai giacimenti scoperti dall’azienda italiana Eni. Il presidente egiziano ha sempre visto in Putin un alleato strategico per rafforzare l’economia del paese e a oggi ha mantenuto una posizione cauta nella crisi Ucraina.
Il petrolio
In un periodo di crisi economica e con una transizione verso fonti di energia rinnovabili ancora lontana, anche le riserve del petrolio sono fondamentali. Il greggio ha superato da giorni i 90 dollari al barile, numeri che non si vedevano da anni e che a lungo andare rischiano di mettere in ginocchio comparti interi dell’economia oltre ad avere una ricaduta economica di non poco conto sui consumatori. E in questo senso gli Stati Uniti giocano un ruolo importante nel fare pressione verso uno dei più importanti alleati in Medio Oriente: l’Arabia Saudita del principe ereditario Mohammed bin Salman. Il presidente americano, Joe Biden, ha chiesto al regno di aumentare la produzione e abbassare i prezzi del petrolio ma l’Arabia Saudita ha tutto l’interesse nel tenere la produzione sotto controllo e i prezzi alti.
Geopolitica
A guadagnare credito sono gli stati del Golfo Arabo e la Turchia, che hanno anche l’opportunità di “ripulire” la loro immagine di regimi dittatoriali in caso di aiuto all’Unione europea.
Grazie al gas e petrolio, Qatar e Arabia Saudita possono rafforzare le loro posizioni. Non è un caso se a gennaio il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha individuato il Qatar tra gli alleati più importanti non facente parte della Nato. In cambio, secondo l’articolo dell’European Council on Foreign Relations, il Qatar chiede di rivedere l’indagine della Commissione europea sul presunto uso da parte delle autorità qatarine di contratti a lungo termine per inibire il flusso di gas verso il mercato unico europeo.
La Turchia, invece, in caso di un allineamento con le posizione occidentali punta ad aumentare le sue influenze nel Mediterraneo centrale, soprattutto in Libia dove insieme al Qatar e agli Emirati Arabi Uniti sta cercando di espandere al sua sfera di potere. Finora il presidente Erdogan ha cercato di mantenere una posizione abbastanza neutrale anche se a Kiev ha venduto i suoi droni militari e negli anni non si è fatto scrupoli nel definire la presenza russa in Crimea, territorio abitato da tatari musulmani, come un’occupazione.
Anche l’Iran potrebbe guadagnare da un’escalation militare in Ucraina. Le delegazioni russe presenti ai negoziati di Vienna per il raggiungimento di un accordo per l’arricchimento dell’uranio hanno finora svolto un ruolo cruciale per la buona riuscita delle trattative. In caso di un inasprimento delle sanzioni europee potrebbero venire meno al loro ruolo, facendo guadagnare tempo a Teheran che può continuare ad agire tramite gli Houthi nello Yemen, che sono sostenuti economicamente e “militarmente” dai cugini sciiti iraniani.
il grano
Un altro elemento da considerare tra gli effetti della crisi ucraina riguarda le esportazioni di frumento. Messi insieme Russia e Ucraina producono oltre il 25 per cento dell’export mondiale e a soffrire di una crisi sulla produzione di grano nei due paesi c’è sicuramente l’Egitto che guarda con preoccupazione agli sviluppi della crisi ucraina, come confermato dal suo ministro degli Esteri Hussein Abo Saddam.
Le esportazioni di grano che provengono dalla Russia e dall’Ucraina coprono circa l’85 per cento della domanda egiziana. Nel 2020, l’Egitto è stato il più grande consumatore di grano ucraino, importando più di 3 milioni di tonnellate, quasi il 14 per cento della produzione totale di grano di Kiev.
Oltre all’Egitto di una eventuale crisi di grano ne risentirebbero anche Yemen e Libano. Il primo è ancora nel pieno di una guerra civile in corso da sette anni, mentre il Libano affronta una una crisi economica acuita dalla pandemia e dall’esplosione del porto di Beirut che ha distrutto metà città.
© Riproduzione riservata