- Il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, parlando venerdì ad Antalya nel sud della Turchia, ha duramente criticato una presunta caccia alle streghe nei confronti dei cittadini russi in Europa parlando di «pratiche fasciste».
- Per Erdogan bisogna cambiare l’Onu. È la sua tesi nota come “il mondo è più grande dei cinque”, che ribadisce da diversi anni. «La situazione ucraina dimostra che le Nazioni Unite così come sono oggi non possono funzionare».
- Nella prima giornata della kermesse era molto atteso l’intervento in collegamento da Kiev di Volodymyr Zelensky, che però si è fatto sostituire all’ultimo minuto dal suo primo ministro Denys Shmyhal.
Il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, parlando venerdì ad Antalya nel sud della Turchia, ha duramente criticato una presunta caccia alle streghe nei confronti dei cittadini russi in Europa parlando di «pratiche fasciste» che vanno condannate parimenti con l’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca. «Queste pratiche fasciste non sono accettabili, avete visto il direttore d’orchestra in Germania che è stato licenziato soltanto perché è amico di Putin? E in un altro Paese europeo si è pensato persino di mettere fuori legge Fyodor Dostoevsky?», ha chiesto polemico, «Spero il buon senso prevalga e faccia tacere i fucili».
Il forum
Nel discorso di apertura della seconda edizione dell’Antalya Diplomacy Forum, la kermesse internazionale che nelle intenzioni del ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu dovrebbe diventare un importante palcoscenico di confronto annuale fra i leader di tutto il mondo, Erdogan ha però anche ribadito il sostegno alla sovranità ucraina, in linea con la politica di mediazione sposata da Ankara. Proprio l’incontro fra i ministri degli esteri di Mosca e Kiev, il primo dall’inizio della guerra il 24 febbraio scorso, ha infatti inaugurato l’evento di Antalya nella giornata di giovedì.
«È sconcertante che la crisi sia degenerata in un conflitto armato, non possiamo accettare l’aggressione di un Paese che è nostro vicino. Dal 2015 esprimiamo chiaramente la nostra posizione sulla Crimea, abbiamo sempre tenuto il tema nelle nostre agende negli incontri con russi e ucraini. Ma all’epoca il mondo è rimasto in silenzio: se tutto l’Occidente avesse protestato contro l’invasione della Crimea, oggi saremmo arrivati a questo punto? Non si può pensare la giustizia possa trionfare da una parte del mondo, ma non in un’altra. L’Ucraina è stata lasciata sola».
Secondo Erdogan la situazione attuale è la prova che l’architettura istituzionale delle Nazione Unite vada riformata. È la sua tesi nota come “il mondo è più grande dei cinque”, che ribadisce da diversi anni. «La situazione ucraina dimostra che le Nazioni Unite così come sono oggi non possono funzionare. Se una delle parti in guerra ha potere di veto, allora il potere coercitivo del Consiglio di Sicurezza è sprecato e tutto il sistema collassa. Serve un’architettura per la sicurezza mondiale che preservi la pace, non lo status quo».
L’attenzione al terzo mondo
Non a caso alla conferenza di Antalya abbondano le copie del libro di Erdogan, “Un mondo più giusto è possibile”. Il pamphlet pubblicato in concomitanza con la settantaseiesima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso settembre predica appunto una riforma dell’architettura istituzionale dell’Onu, in particolare del Consiglio di sicurezza che assegnerebbe un potere istituzionale ingiustificato ai membri permanenti.
Peccato sia stato un totale flop in Turchia, malgrado gli sconti aggressivi applicati dalle catene di distribuzione amiche di Erdogan in tutto il Paese.
Proprio l’impostazione un po’ “terzo-mondista” di Erdogan caratterizza la conferenza ad Antalya, dove i rappresentanti dei Paesi in via di sviluppo sono molto più numerosi di quelli dei Paesi occidentali (ha partecipato però nella giornata di venerdì anche il nostro ministro degli Esteri Luigi di Maio). Basti pensare che una delle delegazioni più numerose, oltre che appariscente, è stata quella del governo ad interim dei talebani.
«Abbiamo quasi chiuso un accordo con Turchia e Qatar per quanto riguarda la gestione dell’aeroporto di Kabul», ha dichiarato a Domani nella moschea del centro Congressi di Antalya il ministro della Cultura e dell’Informazione talebano Khairullah Khairkhwa. «Ma i nostri rapporti con la Turchia riguardano anche aspetti molto più importanti, erano profondi già prima della fine dell’occupazione americana», ha spiegato. «Ci sono molti afghani in questo Paese».
L’intervento di Zelensky
Nella prima giornata della kermesse era molto atteso l’intervento in collegamento da Kiev di Volodymyr Zelensky, che però si è fatto sostituire all’ultimo minuto dal suo primo ministro Denys Shmyhal. Shmyhal, che ha parlato nello stesso panel del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, ha ribadito l’appello ucraino a una no-fly zone che possa impedire ulteriori morti fra i civili. «Donne e bambini ucraini hanno bisogno di protezione», ha detto.
«Continuo a non riuscire a capacitarmi di come ufficiali russi possano giustificare crimini di guerra con la loro propaganda senza senso. Come possano liquidare le scene del reparto di maternità di Mariupol, con donne incinta ferite di cui tutto il mondo ha visto le foto, con le loro bugie e le loro assurdità», ha detto alludendo all’attacco contro un ospedale mercoledì nella città affacciata sul mare di Azov.
Dopo il trilaterale con il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu e la controparte ucraina ad Antalya il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov aveva sostenuto giovedì che l’ospedale fosse stato occupato «dal battaglione di Azov e da altri militanti radicali» (nella stessa conferenza stampa ha anche detto che la Russia non ha invaso l’Ucraina).
Sempre Lavrov accusava Stoltenberg di aver inserito nel dibattito pubblico la possibilità di una guerra nucleare, insieme ad altri rappresentanti occidentali. Da parte sua il numero uno della Nato, il cui mandato scade a settembre (potrebbe sostituirlo un italiano) durante l’intervento di venerdì ha rifiutato l’idea che l’alleanza possa favorire una de-esclation promettendo di limitare la propria espansione verso l’Europa orientale.
«L’Ucraina è un paese sovrano, e la Russia deve rispettartene le scelte, che vogliano unirsi o meno alla Nato», ha detto Stoltenberg. «Allo stesso modo in cui noi rispettiamo la scelta di Svezia e Finlandia, che non vogliono fare parte dell’alleanza. Ogni nazione ha diritto di scegliere il proprio percorso», ha detto. «Io non voglio vivere in un mondo in cui gli Stati forti hanno diritto di interferire con le decisioni di quelli più deboli».
Quanto ai prossimi passi sulla crisi ucraina, il segretario Nato ha promesso che fino al ritiro delle truppe russe l’alleanza continuerà a fornire aiuti militari, umanitari e finanziari a Kiev, allo stesso tempo piegando l’economia russa con le sanzioni. E ha rivendicato un ruolo nel relativo successo dell’esercito ucraino nel rallentare l’avanzata di Mosca nelle prime due settimane del conflitto.
«Dal 2014 i Paesi Nato forniscono strumenti bellici all’Ucraina, e in molti casi anche addestramento per le loro truppe. Se finora l’esercito russo ha fatto così fatica è anche grazie a noi», ha detto. Dall’altra parte del monitor il primo ministro ucraino dava l’impressione di non essere troppo convinto, e di aspettarsi molto di più dall’alleanza occidentale.
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