- La nuova agitazione sindacale lanciata dalla presidente del sindacato Sag-Aftra Fran Drescher alza i toni dello scontro tra i performer e le case di produzioni, ormai sempre più prone ai diktat degli azionisti.
- Al centro del dibattito ci sono non solo le paghe, ma anche l’uso dell’intelligenza artificiale nella realizzazione dei nuovi prodotti, che mette potenzialmente a rischio migliaia di posti di lavoro.
- Come è andata nelle precedenti occasioni in cui gli attori hanno deciso di protestare contro le innovazioni che mettevano a rischio la loro professionalità.
Negli Stati Uniti, poche decisioni sono ponderate come quella di scioperare a oltranza, scelta che in genere i sindacati prendono dopo una lunga e laboriosa consultazione con i loro iscritti, che può durare anche settimane. Accadimento che, però, può portare a gravi conseguenze.
Per questo il presidente Joe Biden lo scorso dicembre ha deciso di sventare uno sciopero dei lavoratori del settore ferroviario approvando in tutta fretta un nuovo accordo sindacale con l’aiuto del Congresso.
Stavolta è successo a Hollywood, dove gli attori del Sag-Aftra, il sindacato che racchiude in sé tutti i performer audiovideo, ivi compresi giornalisti televisivi e cantanti, hanno deciso di unirsi allo sciopero degli autori della Writer’s Guild Association, in corso da settantatré giorni. Lo ha annunciato la presidente dell’organizzazione Fran Drescher, già nota al grande pubblico per il suo ruolo nella sitcom degli anni ‘90 La Tata.
Lo sciopero del 1960
Come già negli scioperi precedenti, il punto è ancora una volta economico, e a complicare la situazione c’è l’arrivo dei sistemi di intelligenza artificiale. Anche nell’ultimo sciopero congiunto di attori e sceneggiatori del 1960 in ballo c’erano i diritti dello sfruttamento dell’immagine.
Nella cosiddetta Golden Age di Hollywood, gli attori venivano compensati soltanto per le ore effettivamente lavorate. Per rompere questa situazione, che rendeva i lavoratori totalmente dipendenti dal potere degli studios venne richiamato un ex leader sindacale degli attori, che lasciò il suo lavoro di portavoce della General Electric: il futuro presidente repubblicano Ronald Reagan, che allora era ancora un democratico.
Grazie al suo carisma e alle sue capacità negoziali, era riuscito a ottenere per gli sceneggiatori e tutti i performer apparsi sullo schermo (comprese quindi le comparse) il cosiddetto compenso residuale. Ovverosia un bonifico, generalmente di moderata entità, che arriva ogniqualvolta il prodotto viene trasmesso. Una sorta di welfare che fa sì che gli attori riescano a vivere anche qualora il successo li abbandoni, eventualità più frequente di quanto si pensi per chi non fa parte delle star di prima grandezza.
Lo sciopero del 1980
Analoga questione che si è posta nel 1980, con l’avvento delle videocassette, non esplicitamente coperte dall’accordo di vent’anni prima. Anche allora gli studios hanno ceduto in parte alle richieste degli attori. Stavolta non sembra più il caso. Anche perché le grande case di produzioni sono sempre più soltanto delle parti di grandi corporation, come nel caso di Disney, Prime Video o Apple Tv, e quindi devono rispondere in primis agli azionisti, garantendo per loro profitti e dividendi in costante ascesa.
Risulta però alquanto stridente la dichiarazione del ceo di Disney Bob Iger che ha definito «non realistiche» le richieste degli attori dopo aver firmato di recente un contratto che gli garantirà uno stipendio annuale di 27 milioni di dollari fino al 2026 compreso.
Cosa chiedono di tanto lunare gli aderenti al sindacato? Intanto che gli assegni residuali vengano adeguati alla prevalenza dello streaming, con un aumento sostanzioso dei compensi periodicamente ricevuti.
Ma la novità rispetto ai due scioperi precedenti è la richiesta di regolamentare l’uso dell’intelligenza artificiale. Secondo Duncan Crabtree-Ireland, uno dei principali negoziatori, tra le idee degli studios rientra anche la possibilità che un attore venga utilizzato come modello da scansionare con l’IA. In questo modo verrebbe pagato per un solo giorno di lavoro, mentre le compagnie potrebbero usare la sua immagine a piacimento per sempre.
Le posizioni, quindi, appaiono difficilmente conciliabili e lo scontro, che si preannuncia prolungato, porterà presumibilmente a un boicottaggio non solo del lavoro quotidiano sul set, ma anche a una penalizzazione delle kermesse dei prossimi messi, come ad esempio la Comic-Con di San Diego o la cerimonia degli Emmy, che presumibilmente verrà disertate da chi sta protestando.
Gli studios però scommettono sul cedimento di una delle due parti in causa, sperando in una divisione come quella avvenuta nel 2007-2008 quando gli sceneggiatori in sciopero non hanno ricevuto alcuna solidarietà da parte delle altre maestranze. Cosa che non sta avvenendo oggi, dato che le sigle di registi, elettricisti e costumisti hanno espresso vicinanza ai loro colleghi in lotta.
Difficile prevedere come andrà a finire. Probabilmente dipenderà anche dalle scelte degli spettatori, se preferiranno sostenere le richieste dei lavoratori oppure chiedere a gran voce il ritorno delle loro serie preferite. Magari realizzate con l’aiuto dell’IA.
© Riproduzione riservata