All’inizio dell’invasione, la sconfitta delle forze corazzate russo che cercavano di conquistare Kiev ne aveva fatto annunciare la morte prematura, ma oggi le opinioni sono cambiate. Le interviste con i carristi che combattono al fronte
Sotto le volte di una foresta nella regione di Kharkiv, a pochi chilometri dalla prima linea, una compagnia di carri armati ucraini attende il momento di entrare in azione. «Il fronte è un sandwich dei nostri campi minati e di quelli russi, ma quando ci chiamano per un’azione diretta ci prendiamo il rischio e andiamo», dice il loro comandante, il capitano Andrii Tkachenko, 49 anni, originario della città di Donetsk.
Ai suoi ordini ha dieci carri di fabbricazione sovietica T72 – tre uomini di equipaggio, 40 tonnellate di peso e un cannone così lungo che sembra un palo della luce. La sua compagnia opera a stretto contatto con un battaglione di fanteria poco distante. I fanti sono i loro occhi e le loro orecchie, li proteggono dalle imboscate e li avvertono se ci sono droni o elicotteri russi all’orizzonte.
In cambio, i carri armati offrono alla fanteria una potenza di fuoco che nessun soldato può portare con sé, un’armatura invulnerabile alla maggior parte dei proiettili e la capacità di arrivare rapidamente su quasi qualsiasi terreno. Secondo Tkachenko «i carri armati sono niente senza la fanteria e la fanteria è niente senza i carri armati».
Un funerale prematuro
Nelle prime settimane dell’invasione russa dell’Ucraina, il carro armato sembrava morto e sepolto, trasformato in una reliquia dagli onnipresenti droni e dai missili anticarro portatili, come i famigerati Javelin americani. La supposta fine di questi leviatani corazzati è arrivata anche sulla stampa non specialistica, dove esperti e analisti indicavano colonne di carri armati russi distrutti sulle strade che portano a Kiev come prova della conclusione di un’epoca.
I carristi, orgogliosi delle loro macchine, hanno sempre visto le cose in modo differente. «Prendete questi esperti e portateli in posizione di fronte ai carri nemici», dice Tkachenko. «Quando sei nella trincea e il carro sta arrivando, non c’è Javelin che ti salvi se il carro sa dove ti trovi», Ora, con il procedere del conflitto, i fatti danno loro ragione.
«Il carro armato mantiene un valore a tutti i livelli dell’impiego bellico», hanno scritto cinque ufficiali delle forze armate americane, tra cui due generali, in un articolo pubblicato sulla rivista ufficiale dell’esercito alla fine dello scorso agosto. La loro conclusione: il carro armato offre ancora una combinazione di potenza di fuoco, protezione e mobilità che nessun’altra arma possiede.
«I dati a nostra disposizione arrivati dall’Ucraina», ha scritto Rob Lee, ricercatore del think tank americano Foreign Policy Research Institute che visita regolarmente il conflitto, «indicano che il carro armato ha ancora una funzione critica nei conflitti moderni e che le sue vulnerabilità sono state esagerate». Le perdite subite dai russi non erano dovute a un cambio epocale nelle condizioni del campo di battaglia, ma solo al loro impiego sbagliato.
Né gli ucraini né i russi sembrano intenzionati ad abbandonare quest’arma. Ciascuno dei due paesi ha circa 1.500 carri armati in servizio attivo e, come dimostrano gli sforzi diplomatici della scorsa primavera, Kiev è ansiosa di ottenerne di nuovi, sopratutto se di fabbricazione occidentale.
Anche il conflitto che sta conducendo Israele contro Hamas ha mostrato ancora una volta la centralità di quest’arma. Le previsioni secondo cui la città di Gaza si sarebbe rivelata una trappola mortale per le forze corazzate israeliane si sono rivelate infondate. Le milizie di Hamas hanno pubblicato una dozzina di video di attacchi ai carri armati israeliani e quasi nessuno, sostengono gli esperti, sembra mostrare un’eliminazione.
Le perdite dichiarate da Israele, circa 75 soldati in oltre un mese di offensiva di terra, indicano che in ogni caso i veicoli hanno svolto la loro funzione principale: proteggere i loro equipaggi.
Mostri del passato
La notizia della morte del carro armato circola da quando queste macchine hanno fatto la loro comparsa sui campi di battaglia della Prima guerra mondiale, oltre un secolo fa. Nel 1919, appena concluso il conflitto, un generale britannico annunciò che il carro armato era un «accidente» della storia, prodotto da circostanze che non si sarebbero più ripetute. Dopo la Seconda guerra mondiale, si disse che la bomba atomica li aveva resi obsoleti, e dopo il conflitto dello Yom Kippur, nel 1973, l’onore passò ai primi missili teleguidati, utilizzati con successo dagli egiziani contro Israele.
Costosi, difficili da mantenere, proni ai guasti, sono in molti negli eserciti e nei governi che li finanziano a sperare di liberarsi finalmente di queste macchine costose e ingombranti, mentre ai civili il carro armato ricorda in genere animale preistorico, un bersaglio facile, goffo e rumoroso, e i carristi dei condannati a morte, chiusi in una scatola nella quale sono sordi e quasi ciechi. Hollywood ha offerto il suo contribuito a questo mito.
Da Indiana Jones a Salvate il soldato Ryan, il carro armato è il mezzo scelto dagli antagonisti che alla fine si rivela inevitabilmente più pericoloso per il suo equipaggio che per l’eroe determinato a distruggerlo. Ma se Indiana Jones rimane una leggenda, anche i carristi ammettono che oggi il loro lavoro è cambiato.
Un nuovo mestiere
Quando trent’anni fa il capitano Tkachenko frequentava l’accademia di Dnipro, la dottrina militare prevedeva enormi battaglie tra i carri armati Nato e quelli del Patto di Varsavia. Oggi, se ucraini o russi provassero ad ammassare centinaia di veicoli nello stesso punto del fronte verrebbero immediatamente individuati dai droni e bombardati dall’artiglieria. «Il campo di battaglia oggi è sempre più trasparente e questo ha conseguenze non solo per i carri armati», dice Mykola Bieliskov, analista militare della fondazione Come back alive, una delle principali organizzazioni volontarie che finanziano le forze armate ucraine.
Il risultato è che oggi gli scontri carro contro carro sono una rarità. I carristi di un battaglione della quattordicesima brigata meccanizzata, impiegati sul fronte di Kupiansk, ricordano un unico scontro di questo tipo, quando l’estate scorsa hanno eliminato un carro russo a 750 metri di distanza. Nell’unità di Tkachenko viene celebrato ancora come un episodio leggendario la volta in cui un loro carro è riuscito a eliminare un T72 russo in panne e il T80 che era arrivato per rimorchiarlo via.
I carri finiscono così per essere usati in modi creativi e flessibili. Tkachenko calcola che circa metà delle missioni della sua compagnia sono di fuoco indiretto: i carri armati rimangono distanti dal fronte e sparano a bersagli fuori dalla loro visuale diretta. È un ruolo che fa inorridire i teorici militari, che considerano il carro armato sprecato per eseguire un compito che può svolgere in modo più economico pezzo di artiglieria. Ma secondo Bieliskov è «un buon esempio di improvvisazione e di adattamento», che dimostra come il carro armato resta utile anche quando le condizioni impediscono di farne l’uso migliore.
I carri rimangono vulnerabili ai guasti e alle mine. Liuti, “febbraio”, nome di battaglia di un carrista della 33esima brigata meccanizzata impegnata sul fronte di Orikhiv, ricorda che quando questa estate il suo carro armato è rimasto bloccato a pochi metri dalle linee russe, l’equipaggio e alcuni soldati di fanteria che li accompagnavano hanno dovuto difendersi per ore con le loro armi leggere fino a che non sono arrivati i soccorsi.
Ma nonostante i problemi, i carri armati restano ossi duri da rompere. Questa estate, la propaganda russa ha usato in lungo e in largo le immagini di una colonna di blindati ucraini messa fuori combattimento sullo stesso fronte dove era impegnato Liuti. Ma poche settimane dopo, quando gli ucraini hanno occupato la stessa posizione, i carri erano ancora lì e dopo essere stati portati nelle retrovie sono stati riparati e sono tornati in battaglia.
Il principe
L’Ucraina ha avuto a lungo un legame particolare con i carri armati. Nelle sue fabbriche venne disegnato il leggendario T34, il carro che guidò le armate sovietiche fino a Berlino e, dopo la guerra, l’innovativo T64. Nel 1990, il gigantesco stabilimento Malyshev di Kharkiv, che oggi continua a operare sotto i bombardamenti russi, produceva più di un terzo di tutti i carri armati dell’Unione sovietica.
Ora questo legame speciale si attenuato, il carro armato non attira più l’attenzione e l’orgoglio nazionale di un tempo. «Oggi il simbolo della guerra moderna sono i droni, i sistemi di guerra e sorveglianza elettronica», dice Bieliskov, «e non hai la preminenza in questi sistemi, non puoi usare efficacemente né la fanteria né i carri armati». Ma nonostante questo, conclude, è ancora presto per parlare di ritirarli. I carristi come il capitano Tkachenko non potrebbero essere più d’accordo.
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