I danesi dovranno decidere se integrare la propria politica di difesa con l’Unione europea dopo 30 anni. I sondaggi premiano chi è a favore. Copenhagen, a causa della guerra in Ucraina, ha già espresso la volontà di aumentare le spese militari
In Danimarca oggi si vota in un referendum per decidere se unirsi alla cooperazione dell’Unione europea sulla difesa. Un passo importante per un paese che è andato sempre controcorrente rispetto alle decisioni degli altri membri della comunità sul tema della sicurezza.
Trenta anni fa, infatti, tramite un referendum, Copenhagen aveva deciso di respingere il trattato di Maastricht e nei successivi accordi di Edimburgo aveva ottenuto gli opt-out su alcuni punti: l’uso dell’euro (bocciato dalle urne danesi nel 2000), le questioni sulla giustizia, sulla polizia e sulla cittadinanza europea, e per l’appunto la politica di difesa.
Pur essendo membro della comunità europea dal 1973, fino a oggi la Danimarca poteva astenersi sulle decisioni riguardo le operazioni militari europee e sullo sviluppo di una difesa comune. Già nel 2015 era avvenuta un’altra votazione per decidere se cambiare la politica di sicurezza del paese, ma i cittadini danesi avevano optato per mantenerla.
Le conseguenze della guerra
Ora però la situazione è cambiata. La guerra in Ucraina ha palesato le esigenze difensive di molti paesi. Lo dimostra la volontà di altri due paesi scandinavi, come Svezia e Finlandia, storicamente neutrali, di entrare nella Nato. La Danimarca, tra l’altro, è uno dei membri fondatori dell’Alleanza atlantica fin dal 1949.
Pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione da parte di Mosca ai danni dell’Ucraina, Copenhagen ha deciso di chiamare di nuovo alle urne i suoi cittadini. La premier socialdemocratica Mette Frederiksen, infatti, l’8 marzo ha chiesto un referendum, sostenendo in prima persona l’abolizione dell’opt-out in modo da aumentare la sicurezza del paese.
Gli ultimi sondaggi mostrano come circa il 44 per cento dei danesi siano favorevoli ad avere una politica di difesa più integrata, contro il 28 per cento circa che si oppone. Ma le stime indicano che probabilmente ci sarà una ridotta partecipazione al referendum e sui 4,3 milioni di cittadini chiamati alle urne uno su quattro è ancora indeciso.
Frederiksen, in un recente dibattito televisivo, ha fatto esplicitamente riferimento alla situazione attuale: «In un momento in cui è necessario combattere per la sicurezza in Europa, dobbiamo essere più uniti con i nostri vicini». Anche per i principali partiti di opposizione la scelta è quella giusta. Il liberale Jacob Elleman-Jensen ha affermato: «Il mondo sta cambiando, e non in modo positivo. Dobbiamo rimanere uniti e rafforzare una cooperazione che aumenta la nostra sicurezza».
A dimostrazione di un ampio sostegno dell’arco parlamentare, dei 14 partiti politici nel paese, ben 11 sono a favore del referendum. Gli unici tre che si sono dichiarati contrari, sono piccole forze, due delle quali di destra euroscettica mentre uno di sinistra. Tra le loro motivazioni, il fatto che un’Europa più unita e forte dal punto di vista securitario possa indebolire la Nato.
Aumento spese militari
Peraltro la Danimarca non ha solo deciso di indire il referendum. Copenhagen si è già impegnata ad aumentare le spese per la difesa e raggiungere la quota del 2 per cento del Pil, come richiesto dalla stessa Alleanza atlantica, entro il 2033. Attualmente la spesa nel settore è ferma a circa l’1,47 per cento. Lo scorso marzo, il parlamento danese ha inoltre varato un piano che prevede un investimento di 1 miliardo di dollari per i prossimi due anni da destinare esclusivamente alla difesa.
Un impegno in linea con quanto fatto da altri paesi europei, che dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina hanno accelerato sulla spesa nel comparto difensivo. A partire dalla Germania che ha lanciato una vera e propria riorganizzazione delle forze militari con un fondo speciale da 100 miliardi di euro.
Così come la Polonia che si è impegnata a far arrivare la spesa al 3 per cento del Pil, aumentando anche i numeri effettivi dell’esercito. Anche l’Italia, tramite le dichiarazioni del premier Mario Draghi, ha esternato la volontà di allinearsi con l’impegno chiesto dalla Nato e raggiungere quindi la soglia del 2 per cento per le spese militari.
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