- Nella prospettiva americana, due cose sono rimaste uguali in questi 100 giorni di guerra: l’ambizione del presidente russo Vladimir Putin di rovesciare il governo Zelensky e il rischio di escalation verso un conflitto internazionale vero e proprio, con l’ombra atomica sullo sfondo.
- La Nato al momento si muove con due priorità: permettere all’Ucraina di preservare la propria sovranità, ma anche evitare l’escalation.
- Per questo gli Stati Uniti e la Nato iniziano a ragionare, spinti dai paesi dell’Est europeo preoccupati dall’allargamento regionale della guerra, su dottrine recuperate dalla Guerra fredda: deterrenza e contenimento.
Gli Stati Uniti si stanno preparando a una guerra lunga, questo è chiaro da settimane con le richieste del presidente Joe Biden al Congresso di approvare 40 miliardi di aiuti, soprattutto militari, all’Ucraina. Il primo giugno il dipartimento della Difesa ha annunciato altri 700 milioni di dollari per, tra l’altro, 1000 missili Javelin, sistemi anti-missile, elicotteri Mi-187, veicoli tattici.
Quello che dall’Europa è spesso più difficile capire è perché gli Stati Uniti si sono messi in quest’ottica, che sembra escludere ogni ipotesi di negoziato o accordo diplomatico a breve, e cosa sperano di ottenere.
In un articolo recente sul New York Times, Biden ha provato a spiegare «cosa gli Stati Uniti faranno e non faranno in Ucraina», ma ha sollevato più domande che fornito risposte.
Da un lato Biden dice che Washington continuerà a fornire al Kiev tutte le armi necessarie per resistere, dall’altro che spetta solo agli ucraini decidere cosa fare e quanto combattere. Anche se le possibilità di resistenza dell’esercito di Volodymyr Zelensky dipendono dal sostegno occidentale.
Questa ambiguità si spiega con una visione della guerra, condivisa dai massimi vertici dell’amministrazione Biden e dalla Nato guidata da Jens Stoltenberg, che è diversa da quella che passa nel dibattito europeo: la situazione dal 24 febbraio, giorno dell’invasione, non è davvero cambiata.
Nella prospettiva americana, due cose sono rimaste uguali: l’ambizione del presidente russo Vladimir Putin di rovesciare il governo Zelensky e conquistare l’intera Ucraina, da affidare a un governo fantoccio, e il rischio di escalation verso un conflitto internazionale vero e proprio, con l’ombra atomica sullo sfondo. Anche Zelensky ha dimostrato di condividere questa lettura quando ha ricordato che la Russia controlla “il 20 per cento del paese”.
Kiev da tempo è pronta a sedersi a un tavolo negoziale, ma Putin no. Per questo gli Stati Uniti si stanno preparando a una guerra lunga mesi, forse anni, che però non necessariamente rimarrà nell’attuale stato di relativo stallo.
La Nato al momento si muove con due priorità: permettere all’Ucraina di preservare la propria sovranità, ma anche evitare l’escalation, che è possibile, forse perfino probabile, di sicuro più probabile di quanto emerge nella discussione pubblica europea.
Se Nato e Stati Uniti volessero far vincere Zelensky, avrebbero mandato altre armi, ma tutto ciò che può portare alla vittoria dell’Ucraina può anche avvicinare la terza guerra mondiale: la no-fly zone, con un coinvolgimento dell’aviazione Nato, per esempio, spingerebbe poi a bombardare le postazioni anti-aeree in Ucraina ma anche in Russia, pena vedere aerei occidentali abbattuti.
Ogni intervento umanitario non concordato con la Russia verrebbe visto da Putin come una provocazione.
Il ruolo del nucleare
Che fare quindi? Non moltissimo, ma anche la linea “aspetta e vedi che succede” ha i suoi rischi, specie per la Polonia, che è il punto di accesso di tutto il supporto occidentale all’esercito ucraino. Il rischio che Putin, senza intestarsi l’azione, possa colpire i punti di accesso degli armamenti Nato è sempre maggiore.
Per questo gli Stati Uniti e la Nato iniziano a ragionare, spinti dai paesi dell’Est europeo preoccupati dall’allargamento regionale della guerra, su dottrine recuperate dalla Guerra fredda: deterrenza e contenimento.
Deterrenza perché Putin deve avere ben chiaro che se colpirà un alleato Nato, specie se con armi nucleari tattiche, ci saranno conseguenze irreversibili. Contenimento perché la comunità diplomatica e di intelligence americana sembra aver abbandonato ogni velleità di regime change, con Putin bisognerà convivere, ma se non ci può essere una Russia amica dell’Occidente allora ci deve essere una Russia debole e spaventata.
Le tracce di questo approccio si trovano nella revisione della Nuclear Posture Review (Npr) approvata dall’amministrazione Biden a gennaio 2022, quando l’intelligence Usa era già sicura dell’invasione. Gli Stati Uniti continuano a escludere di usare l’arma nucleare per primi, ma ora considerano «l’uso delle armi nucleari in circostanze estreme per difendere interessi vitali degli Stati Uniti o dei loro alleati e partner».
Significa che anche un attacco nucleare all’Ucraina legittimerebbe una reazione americana. Kiev non ha più armi nucleari dal 1994, quando le ha restituite alla Russia in cambio di una promessa di rispetto dell’integrità territoriale che non è stata rispettata.
Se l’accordo di Budapest del 1994 non è più valido, allora l’Ucraina potrebbe reclamare una protezione nucleare diretta o indiretta. Ogni mossa in questa direzione sarebbe una sfida aperta a Putin. E questo, ai diplomatici più battaglieri dell’Europa dell’Est, pare necessario: «Putin deve sentire l’odore della sconfitta, solo così inizierà a trattare davvero», dice una fonte diplomatica.
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