I rapporti dell’amministrazione Biden con la Corte Suprema sono stati tesi sin dal primo giorno di mandato, anzi, si può dire anche da prima delle elezioni, con la frettolosa sostituzione della giudice progressista Ruth Bader Ginsburg, scomparsa nel settembre 2020, con la conservatrice Amy Coney Barrett, confermata dal Senato prima del voto. Per il presidente questa Corte a vasta maggioranza conservatrice si è sempre caratterizzata come un corpo “nemico”.

A maggior ragione dopo le ultime sentenze emanate nel corso del mese di giugno del 2024 che, nell’ordine, hanno reso incostituzionale l’uso delle quote razziali nella selezione delle università così come il piano per cancellare il pagamento dei debiti studenteschi per i redditi inferiori a 125mila dollari.

Allo stesso modo una web designer del Colorado potrà rifiutarsi di progettare siti per i matrimoni omosessuali in quanto ciò rappresenta una libertà che le viene garantita dal Primo emendamento. Pertanto, la legge statale anti discriminazione dello stato è cancellata.

A poco vale di consolazione il rigetto della teoria estremista della “legislatura indipendente”, un concetto caro alla destra ipertrumpiana secondo cui le legislature statali possono disegnare a piacimento i seggi elettorali anche per il Congresso, senza interferenze federali.

Secondo Biden questa «non è una corte normale». Sottintendendo che ben tre giudici sono il frutto dell’attivismo giudiziario della coppia formata dal suo predecessore Donald Trump e dal leader repubblicano al Senato Mitch McConnell, che attraverso diverse forzature sono riusciti a trasformare radicalmente la Corte, rendendola una sorta di ordigno pronto a distruggere i provvedimenti progressisti.

L’aborto

Già lo scorso anno la tensione era alle stelle quando con la sentenza Dobbs v. Jackson è stata cancellata la protezione federale del diritto all’aborto, con ben quattordici stati che hanno attuato divieti assoluti.

Qualche mese prima era trapelata una bozza della sentenza e la sicurezza dei giudici era stata messa in pericolo: l’8 giugno 2022 uno squilibrato aveva fatto irruzione nella casa del giudice Brett Kavanaugh in Maryland con l’obiettivo di ucciderlo, prima di ripensarci e di farsi arrestare.

Un clima che è diventato irrespirabile e che ha reso necessario un rafforzamento delle scorte dei membri della Corte, soprattutto per quanto riguarda i conservatori.

Anche il prossimo anno si prospetta un mandato di fuoco per Corte, a cominciare da un dibattimento che riguarda le agenzie federali di regolamentazione: allo stato attuale vale una vecchia sentenza del 1984 Chevron v. Natural Resources, dove si stabiliva che in caso di incertezza gli organismi nazionali avevano la supremazia.

Una sentenza unanime che alcuni avvocati del mondo conservatore vorrebbero vedere ribaltata. Un ulteriore riduzione dei poteri della presidenza e del Congresso. Uno studio dell’University of Southern California, condotto da Rebecca Brown e Lee Epstein ha stabilito che l’attuale Corte è la più interventista di sempre, anche più di quella diretta dal progressista Earl Warren, che con una storica sentenza del 1954, Brown v. Board of Education, dichiarò incostituzionale la segregazione razziale.

A differenza di Warren però, la corte di Roberts appare anche agli occhi dell’opinione pubblica come un organismo fazioso, guidato da interessi politici e sempre più delegittimato.

Riforme

È presto per fare previsioni, ma l’amministrazione Biden potrebbe anche considerare alcune proposte emanate dalla commissione bipartisan composta da 34 esperti che nel dicembre 2021 stilò un report con alcune idee riformatrici.

La più semplice dal punto di vista costituzionale è anche la più controversa: aumentare il numero dei giudici. Attualmente le Corti d’appello federali sono tredici, mentre i giudici della Corte suprema sono nove.

Potrebbe essere dunque portato a tredici il numeri dei membri del supremo organismo giudiziario, anche perché la Costituzione americana è silente sul loro numero, che in teoria può essere cambiato con un semplice provvedimento legislativo.

Più appetibile per il mondo conservatore, invece, è l’introduzione dei termini di mandato: gli Stati Uniti rimangono l’unico paese democratico del mondo a non averne. Questa soluzione, per quanto più gradita anche all’opposizione repubblicana, richiede un emendamento costituzionale che deve essere ratificato almeno da trentotto stati su cinquanta. Una strada lunga e accidentata che potrebbe risolversi con un nulla di fatto e per di più politicizzerebbe ancor di più la nomina dei giudici.

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