La politica mondiale è dominata dagli uomini: solo il 27 per cento dei seggi parlamentari sono occupati da donne a livello globale e meno del 13 per cento è alla guida di governi (fonte UN Women). Le donne sono spesso assegnate a ministeri legati a questioni sociali, pari opportunità o diritti umani. Ad alimentare il divario è il fatto che le donne in politica continuano a essere considerate non per le loro idee, ma per il loro genere.
La politica mondiale è dominata dagli uomini: solo il 27 per cento dei seggi parlamentari sono occupati da donne a livello globale e meno del 13 per cento è alla guida di governi (fonte UN Women). Le donne sono spesso assegnate a ministeri legati a questioni sociali, pari opportunità o diritti umani. Tuttavia, rimangono sottorappresentate in settori come la difesa, l’economia e l’energia; questo riflette quanto sia ancora limitato il loro accesso a ruoli più strategici. Ad alimentare il divario è il fatto che le donne in politica continuano a essere considerate non per le loro idee, ma per il loro genere.
Climax dell’hate speech
Negli ultimi anni, la politica ha visto crescere una retorica carica di violenza verbale e discriminazione. Dall’Europa agli Stati Uniti, figure pubbliche e politici hanno utilizzato il linguaggio come arma per marginalizzare oppositori, perpetuare stereotipi di genere e disumanizzare gruppi sociali. L’uso dei social media ha contribuito ad amplificare e rendere virale questo tipo di violenza.
«È importante differenziare quelli che sono attacchi personali sporadici, rispetto a quelli coordinati dove c’è anche la presenza di automazione o un tentativo di disseminazione sistematica attraverso varie piattaforme», spiega Lucina Di Meco, esperta di uguaglianza di genere e co-fondatrice del progetto #ShePersisted che affronta il tema della disinformazione di genere in politica. Nella ricerca “Monetizing Misogyny”, condotta da Di Meco, emerge come le donne in politica sono più bersagliate dall’odio e dalla disinformazione online rispetto agli uomini.
L’odio verso le donne non è legato solo ad alcune nicchie online, ma è parte delle strategie di comunicazione di alcuni politici che attaccano le avversarie facendo riferimento ad aspetti della vita privata o assegnando appellativi sessisti. L’obiettivo è polarizzare il discorso e disincentivare la partecipazione femminile alla vita pubblica, mantenendo uno status quo dominato da logiche patriarcali.
«La discriminazione si esprime in molti modi: con il linguaggio d’odio, con forme denigratorie, ma anche il rifiuto di un emendamento per la parità di genere nel linguaggio istituzionale da parte del Senato è una forma di cancellazione. Non esistono solo senatori, ma anche senatrici; non esistono solo ministri, ma anche ministre», spiega Fabrizia Giuliani, docente di filosofia del linguaggio presso l’università La Sapienza e coordinatrice del comitato tecnico scientifico dell’osservatorio sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne e sulla violenza domestica.
Giuliani pone l’accento sulla lingua usata come mezzo per cancellare: «La lingua deve essere coerente con la realtà e accompagnare la nostra vita e i mutamenti. Esistono donne ministre, presidenti e chi si rifiuta di usare il femminile sta facendo un’operazione ideologica e di grande forzatura sulla lingua».
Una lunga lista
Durante la campagna presidenziale del 2016, Donald Trump ha più volte definito Hillary Clinton «nasty woman» («donna cattiva»), un’etichetta che mirava a delegittimare la sua professionalità.
Altro caso emblematico è Tucker Carlson, giornalista statunitense, che ha ripetutamente usato un linguaggio discriminatorio e sessista contro donne in politica. Ad esempio, ha definito Alexandria Ocasio-Cortez una «bigotta nichilista senza figli» e ha ironizzato sul suo aspetto fisico. Sempre Carlson ha descritto Kamala Harris come «l'ex fidanzata di Montel Williams», correlando la figura politica a fatti della vita personale. Carlson ha anche sostenuto che il femminismo ha peggiorato la società e minimizzato il gender pay gap attribuendolo alle scelte delle donne, ignorando le strutture sistemiche che lo alimentano.
L’uso normalizzato di una retorica aggressiva amplifica le disuguaglianze: le donne vengono colpite sul piano personale con una strategia più ampia di discredito che cerca di minare la loro legittimità e il loro diritto a ricoprire posizioni di potere. Dall’Australia alla Scozia sono diversi i casi in cui le donne in politica devono fare i conti con epiteti derisori, allusioni all’aspetto fisico, stereotipi di genere e umorismo sessista. Un episodio recente è quello che ha coinvolto Irene Montero, eurodeputata spagnola, che durante una seduta in aula a Strasburgo si è sentita chiamare «cara Irene» da un collega che, invece di instaurare un dialogo alla pari, l’ha apostrofata in modo infantilizzante.
«Tutti gli appellativi di diminutio sono forme di stigmatizzazione funzionali a mandare un messaggio: quello non è il tuo posto», fa notare Giuliani. Poi aggiunge: «Ci sono poi modalità più vistose: gli insulti, le vignette, parlare delle donne per il loro aspetto fisico. Lo stesso non avviene con gli uomini. Esiste un doppio standard che non è accettabile».
Partecipazione
Il linguaggio discriminatorio influenza la partecipazione delle donne e ha impatti soprattutto sulle giovani donne. «Le donne che sono già in politica e decidono di abbandonare questa carriera lo fanno perché a un certo punto il costo emotivo e a volte anche finanziario – per potersi proteggere dagli attacchi – diventa troppo alto. Il disincentivo per le giovani donne è amplificato dagli effetti dei social», afferma Di Meco.
I dati sulla violenza psicologica e verbale subita dalle donne in politica mostrano che il 44,4 per cento delle parlamentari intervistate ha subito minacce di morte, stupro o violenza fisica, spesso attraverso i social media. La violenza psicologica è risultata essere la forma di abuso più comune, con episodi che includono denigrazioni, intimidazioni e commenti sessisti da parte di colleghi e cittadini.
Gli attacchi non colpiscono solo le donne prese di mira, ma indeboliscono anche i principi e i valori che queste donne rappresentano: la parità di genere, la tutela dei diritti sessuali e riproduttivi, i diritti Lgbt.
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