- L20 riunisce i venti paesi della terra che risultano ultimi secondo le statistiche internazionali dei principali indicatori socioeconomici e ambientali.
- Nato in Italia all’inizio dell’anno per volere di tanti soggetti rappresentativi delle diaspore, di ong, dell’associazionismo laico e religioso, così come della politica e delle istituzioni, “The Last 20” propone un osservatorio sulle aree più marginali e fragili che misuri la temperatura sociale, economica e ambientale del mondo a partire da loro.
- Mira a capovolgere l’ottica del Nord che governa il pianeta, mettendola in discussione visto che produce molti danni e che questi danni li paga soprattutto il Sud.
L’idea è nata a febbraio. L’intento, nell’anno della presidenza italiana, era di intonare un controcanto al G20. Far sentire a quei venti che prendono decisioni per i restanti 180 un’altra voce, quella degli ultimi, con le loro infinite disgrazie, le guerre, le povertà endemiche, ma anche le loro vastissime risorse, le ricchezze sterminate, le bellezze depredate per secoli.
Che senso ha moltiplicare summit per occuparsi del bene del pianeta, proporre soluzioni ai grandi drammi del mondo contemporaneo, senza mai invitare chi li sperimenta sulla propria pelle? Senza mai sentire il punto di vista di chi vive, studia, soffre, ama, lotta dall’interno e comprende, evidentemente, molto più di chi osserva da lontano?
Potere agli ultimi
Ha preso così forma “The Last 20”, il movimento che riunisce i venti paesi della terra – Afghanistan, Burkina Faso, Burundi, Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea Bissau, Libano, Liberia, Malawi, Mali, Mozambico, Niger, Sierra Leone, Somalia, Sud Sudan e Yemen – che risultano ultimi secondo le statistiche internazionali dei principali indicatori socioeconomici e ambientali.
Nato in Italia all’inizio dell’anno per volere di tanti soggetti rappresentativi delle diaspore, di ong, dell’associazionismo laico e religioso, così come della politica e delle istituzioni, propone un nuovo sguardo sul pianeta, un osservatorio sulle aree più marginali e fragili che misuri la temperatura sociale, economica e ambientale del mondo a partire da loro. Mira a capovolgere l’ottica del Nord che governa il pianeta, mettendola in discussione visto che produce molti danni e che questi danni li paga soprattutto il Sud.
La società civile, i lavoratori, i giovani, le culture, i tanti segmenti che formano le comunità degli ultimi della terra esistono, pensano, progettano, propongono e di cose da dire ne avrebbero molte. Sulle proprie incommensurabili risorse, ad esempio, sono i più indicati a suggerire come utilizzarle senza che si trasformino in benedizioni per altri e maledizioni per loro.
«Negli ultimi cinque anni – dice Eulalia Guiliche, rappresentante della comunità mozambicana in Italia – nel nostro paese sono state scoperte grandi riserve di gas naturale, una quantità enorme, seconda solo al Qatar. Non abbiamo neanche fatto in tempo ad apprendere la novità e rallegrarcene, che in quel lembo di terra dove insistono, si sono precipitate le più grandi aziende occidentali come Eni, Total, o altre americane che hanno firmato contratti multimiliardari. L’esclusione dai dividendi della popolazione ha scatenato un conflitto devastante e trasformato una risorsa in un guaio enorme per noi».
Eulalia sta parlando di Capo Delgado, la provincia più settentrionale del Mozambico, un’area dove esattamente da quando i giacimenti sono stati scoperti, si sta consumando un atroce conflitto che ha già fatto circa un milione di sfollati e migliaia di morti.
La Calabria degli L20
Per la prima uscita pubblica, il gruppo dei Last 20, ha scelto Reggio Calabria. Il 22 luglio scorso, da lì ha preso il via un tour che condurrà la carovana L20 in tante città d’Italia e si concluderà a Santa Maria di Leuca i prossimi 2 e 3 ottobre con la stesura di un documento da presentare nelle sedi internazionali.
«La Calabria – dice Tonino Perna, vicesindaco del capoluogo e tra i promotori del movimento – è la regione più povera d’Italia e quando mi hanno chiesto di far partire da qui il G20 mi sono detto:“Noi, in realtà, siamo più vicini ai L20”. Abbiamo messo insieme varie realtà come non si era mai fatto prima, se davvero vogliamo dare una risposta, lo dobbiamo fare partendo da chi vive in condizioni estreme: misuriamo la temperatura del mondo da lì e vediamo cosa cambia. Nascerà un osservatorio sugli ultimi paesi, che siano 20, 25 o 30. L’importante è guardare il mondo da lì per accorciare il divario e contenere le migrazioni forzate di masse».
Tra le proposte al vaglio, sta prendendo corpo quella di coinvolgere le università dei paesi L20, le diaspore e ricercatori di ogni parte del mondo, per dar vita a un nucleo centrale di raccolta e analisi dei dati che rediga un rapporto annuale che approdi a Bruxelles e nelle capitali che contano. I promotori rifiutano l’aggettivo ‘poveri’ accanto ai Paesi che rappresentano, «impoveriti è il termine esatto», dice Anselme Bakudila, delegato L20 della Repubblica Democratica del Congo. «Noi non siamo ultimi perché tali ma per politiche internazionali che ci relegano agli ultimi posti e non ci considerano, al massimo ci tollerano, ci fanno sedere e ascoltare, mai parlare. Abbiamo colto l’occasione del G20 in Italia, dove risediamo, per dar vita a questo movimento e giungere alla stesura di un documento da sottoporre alle autorità G20: mentre decidete per l’universo dovete tenere conto di noi, ma non per buonismo o pietismo, perché noi abbiamo intelligenze, conoscenze, know-how che possono andare ad incidere sulle cause profonde delle ineguaglianze».
Condizionare l’agenda
Il gruppo L20 Congo, ad esempio, sta lavorando a un paper di rivisitazione della Agenda 20/30, uno strumento prezioso, «ma nel quale non ci sentiamo rappresentati perché pensato e diffuso da altri in altre parti del mondo». Hanno modificato l’ordine, gli obiettivi e puntano a elaborare una agenda in cui tutti, soprattutto quei Paesi che sentono i 17 obiettivi drammaticamente impellenti, siano raffigurati.
The Last 20, come tengono a ripetere i vari interlocutori, non vuole essere un movimento di protesta o di denuncia, o perlomeno non solo quello. Intende entrare nei meccanismi decisionali e prendere parte ai processi. Molto importante, in questo senso, l’apporto delle diaspore. Inserite nelle società dei paesi più industrializzati, possono rappresentare un pungolo decisivo per il cambiamento.
«L20 è un summit dal basso nato per dar voce alle diaspore ed alle popolazioni dei Paesi più “impoveriti” del pianeta per far emergere competenze, proposte, istanze che altrimenti rimarrebbero inascoltate», dice Mani Ndongbou Bertrand H., presidente CAMROL, Comunità camerunese di Roma e Lazio, e nel comitato promotore. «Solo attraverso il protagonismo delle diaspore può avvenire un vero riequilibrio nella narrazione sui paesi più “impoveriti” e nelle politiche dei paesi più “arricchiti” che permettano di superare le disuguaglianze crescenti che tengono questi popoli legati a catene di una schiavitù morale, sociale, culturale e economica».
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