«Sono al top della loro forma, sono duri, intelligenti, cattivi e proteggeranno il loro paese». Così Donald Trump descriveva ad agosto Vladimir Putin, Xi Jinping e Kim Jong Un. I leader del “nuovo asse del male”, come l’ex presidente americano ha definito Russia, Cina e Corea del Nord. Chiarendo però che «andare d’accordo con loro è una cosa buona, non una cosa cattiva».

Valutazione strategica, invidia personale, o semplici chiacchiere? Difficile rispondere conoscendo l’umoralità di Trump. Ma davanti a un suo possibile ritorno alla Casa Bianca quelle parole assumono un peso non trascurabile.

«Fare affari con la Cina è una buona cosa, ma serve un accordo equo». Fare affari con la Russia, anche. «[I russi] hanno così tante materie prime (…). Possiamo fare grandi affari e accontentare tutti», ha detto Trump. Salvo poi aggiungere che, fosse stato per lui, avrebbe bombardato Mosca subito dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022. Tutto e il contrario di tutto.

Russia e Cina

Altro che realpolitik: in caso di vittoria, la diplomazia spericolata del candidato repubblicano apre non pochi interrogativi sulla postura internazionale degli Stati Uniti, che oggi si regge sulla rete di alleanze tra “like-minded countries”.

Soprattutto alla luce delle rivelazioni esplosive del giornalista Bob Woodward. Nel suo nuovo libro War, il Premio Pulitzer racconta come l’ex presidente americano abbia inviato a Putin i tamponi per il Covid. Sì, proprio quel virus che lo stesso Trump ha ripetutamente definito “cinese”, tanto da avere attribuito le responsabilità della pandemia a Xi Jinping in persona.

Nelle effusioni schizofreniche dell’ex presidente americano verso quelli che chiama “dittatori” si percepisce una sottile distinzione. La Cina non è la Russia. È il rivale numero uno degli Stati Uniti.

A differenza di Mosca, non vuole sovvertire l’ordine globale a guida americana. Peggio. Vuole plasmarlo a propria forma e somiglianza. Non vuole necessariamente rimpiazzare l’America, né tantomeno assumere gli oneri di una leadership mondiale.

Ma che lo voglia o meno questo è esattamente quanto presuppone quel nuovo ordine internazionale. A Washington lo sanno bene. D’altronde se i numeri rispecchiano la gerarchia delle priorità, va notato come nel suo discorso a Mar-a-Lago di agosto Trump abbia menzionato la Cina ben quattordici volte, la Russia solo nove.

Nixon al contrario

La chimica con l’ex agente del Kgb potrebbe quindi non scaturire dalla semplice affinità tra uomini forti. Lo suggerisce l’accusa scagliata contro le amministrazioni Obama a Biden che, secondo Trump, hanno avvicinato Cina e Russia nonostante siano “nemici naturali” da decenni. Quindi il candidato repubblicano sta invece pensando di dividerli? Non è da escludersi.

Come spiega a Domani Zha Daojiong, docente di relazioni internazionali presso la Peking University nonché consulente del governo cinese, «negli Stati Uniti prevale la linea di argomentazione secondo cui sarebbe giunto il momento per un momento “Nixon al contrario”: ovvero di allinearsi con la Russia contro la Cina, nonostante la guerra all’Ucraina». Non per nulla si è tornati a parlare di “nuova Guerra Fredda”.

Secondo l’esperto, questo ragionamento spiega un’apparente incongruenza: considerata la forte dipendenza economica di Mosca da Pechino, i minacciati dazi del 60 per cento sulle importazioni cinesi colpirebbero indirettamente anche la Russia. Ma a Trump questo non importa perché in realtà è a fermare la Cina che punta.

D’altronde, aggiunge l’esperto, le barriere commerciali sono un argomento da campagna elettorale e riscuotono consenso bipartisan: «In altre parole, hanno solo una rilevanza parziale per la politica americana nei confronti della Cina e/o della Russia».

Le trattative

Per Dexter Roberts, senior fellow non residente al Global China Hub dell’Atlantic, rischiano addirittura di avere l’effetto opposto: «Come le sanzioni occidentali hanno legato ancora di più la Russia alla Cina, lo stesso avverrà in senso inverso con le tariffe contro la Cina».

Certo, ammette Zha, Mosca potrebbe sfruttare l’avvicinamento americano per fare il suo gioco. Allentando il cordone ombelicale da Pechino? Questo l’esperto non lo dice ma sembra scontato.

Meno scontata è l’applicabilità dello schema “Nixon al contrario” in politica estera. Soprattutto se Trump cercherà, come ha detto, di mettere fine alla guerra in Ucraina in 24 ore. Allora l’aiuto di Pechino potrebbe tornare più che comodo. Difficile infatti pensare che Putin si affidi agli Stati Uniti senza qualche garanzia cinese.

Ecco che il candidato repubblicano potrebbe dover dare alla Cina qualcosa in cambio. Non a caso proprio Trump ha definito le minacce tariffarie «un bene per i negoziati».

D’altro canto, mentre il tema della sicurezza trova ampio consenso, l’aumento dei dazi (con conseguenti rincari per gli americani) suscita alzate di sopracciglio in molti ambienti americani.

Negoziazione a tre

Per Zha, quello di una negoziazione a tre non è uno scenario così impossibile. A Pechino non dispiacerebbe collaborare. «La guerra tra Russia e Ucraina è costosa. Che finisca è nell’interesse della Cina, indipendentemente da chi propone e attua la mediazione», dice. Persino l’America. E poi partecipare ai colloqui di pace aiuterebbe a riannodare il rapporto con l’Europa.

Certo, ci sono anche non pochi svantaggi. Non è un mistero che l’«amicizia senza limiti» tra Xi e Putin nasca dalla reciproca necessità di svincolarsi dall’accerchiamento americano. Un accerchiamento che potrebbe attenuarsi sotto Trump ma tornare soffocante con il prossimo ricambio nello Studio Ovale.

Con una Russia più autonoma, la Cina non teme di rimanere isolata? Le basta il cosiddetto Sud globale? «Gli Stati Uniti possono scegliere di confrontarsi con qualsiasi paese sulla terra come ritengono opportuno. La Cina non può permettersi questo lusso», sostiene l’esperto, «deve convivere con tutti i governi, indipendentemente dalle loro intenzioni geostrategiche».

Peraltro non è detto che i piani di Trump vadano a buon fine. Come racconta nel suo ultimo libro l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale H. R. McMaster, durante il primo mandato, a suon di complimenti, Putin ha saputo esercitare «un’influenza quasi ipnotica» su The Donald. Insomma, il capo del Cremlino potrebbe optare per la tattica del raggiro. D’altronde «Cina e Russia sono vicine», dice Zha, «sono all’opera fattori di geografia economica mondiale. A prescindere dalle pressioni americane, o dalle scelte di Mosca in Ucraina».

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