Assaltati cinque ospedali e la sede di una tv di Guayaquil. Almeno tredici morti tra cui due agenti di polizia. Il presidente Noboa dichiara lo stato di «conflitto interno» e ha ordinato il dispiegamento dell’esercito. Ma da tempo il paese è controllato da gang autoctone e straniere
Ospedali assaltati, staff televisivo preso in ostaggio, spari per le strade. A Guayaquil «si è scatenato l’inferno», ha detto il vescovo di Esmeraldas Antonio Crameri. È il risultato della guerra dichiarata ai clan da parte del presidente dell’Ecuador Daniel Noboa che ha scatenato un’ondata di violenza in tutto il paese con scontri che si sono registrati anche nella capitale Quito.
Al momento sono tredici le vittime, tra cui due agenti di polizia, e settanta le persone arrestate. Noboa, eletto a novembre, ha dichiarato lo stato di emergenza per «conflitto interno» e ordinato il dispiegamento immediato dell’esercito mettendo sul campo oltre tremila unità tra agenti e militari. «È finito il tempo in cui i detenuti per traffico di droga, i sicari e la criminalità organizzata dettano al governo cosa fare», ha detto il presidente.
L’evasione del boss
A portare alla guerriglia è la ricerca del latitante Adolfo Macia, ex tassista e leader della più grande organizzazione criminale del paese, Los Choneros. Macia è evaso la scorsa domenica dal carcere di Guayaquil e il governo ha deciso di usare tutti i mezzi a sua disposizione per cercarlo. Centinaia di uomini stanno pattugliando palmo a palmo la provincia costiera di Manabi, che dagli anni Novanta è sotto il controllo de Los Choneros.
Ad aumentare la tensione è stata la scelta di Noboa di designare ventidue gruppi criminali come «organizzazioni terroristiche e attori non statali belligeranti». E la reazione non si è fatta attendere. Esplosioni e scontri a fuoco si sono registrati in diverse città del paese, anche nella capitale Quito. Uomini armati hanno attaccato nelle ultime ore cinque ospedali e hanno fatto irruzione sul set della Tc Television, un canale pubblico di Guayaquil, città nel sud-ovest del paese, prendendo in ostaggio giornalisti e altri dipendenti. Nei video circolati online gli aggressori hanno chiesto alla polizia di non «scherzare con la mafia». Dopo diverse ore sono stati tutti arrestati e gli ostaggi sono stati liberati. Nessuno di loro è stato ferito, ma sono ancora sotto schock. «Tutto quello che so è che è ora di lasciare questo paese e andare molto lontano», ha detto la giornalista Alina Manrique che si trovava in studio nel momento dell’attacco.
Preoccupazioni internazionali
«Siamo estremamente preoccupati per le violenze e i rapimenti odierni in Ecuador», ha scritto su X Brian Nichols del Dipartimento di Stato americano, aggiungendo che gli Stati Uniti sono disposti a fornire assistenza alle autorità ecuadoregne. La situazione preoccupa anche i paesi limitrofi come il Perù che ha rafforzato la sicurezza lungo il confine con l’Ecuador.
Intanto la Cina ha annunciato la sospensione delle operazioni al pubblico nella sua ambasciata e in tutti i consolati in Ecuador. La scelta di Pechino è stata seguita da altri paesi, mentre il governo ha deciso di evacuare gran parte degli edifici istituzionali.
Il ministero della Salute dell'Ecuador ha disposto la sospensione a data da destinarsi di tutti i servizi ambulatoriali, ricoveri e interventi chirurgici programmati, annunciando che sono previsti solo i servizi di emergenza.
Potere criminale
Per il momento Noboa non ha intenzione di cedere alla violenza e al ricatto dei clan. Proclamare lo stato di emergenza gli ha permesso di adottare di misure di sicurezza straordinarie tra cui un coprifuoco che durerà per i prossimi 60 giorni.
Ma quello che è accaduto nelle ultime ore è soltanto l’apice di una spirale di violenza che va avanti da mesi. Lo scorso agosto Fernando Villavicencio, uno dei candidati alle elezioni presidenziali in Ecuador, è stato ucciso in pieno giorno a colpi di pistola al termine di un comizio in una scuola della capitale. Negli ultimi anni i cartelli del narcotraffico hanno incrementato il loro potere nel territorio, arrivando a controllare anche un quarto delle carceri presenti nel paese.
L’Ecuador è diventato in poco tempo un importante hub di trasbordo per la cocaina peruviana e colombiana diretta verso gli Stati Uniti e l’Europa – nascosta soprattutto nei carichi di platani, ananas e banane.
Il traffico di droga è in gran parte controllato anche da gruppi e cartelli mafiosi stranieri provenienti non solo dal Sudamerica (Messico, Colombia, Perù) ma anche dai Balcani e soprattutto dall’Albania. In Ecuador era infatti attiva una costola del cartello albanese Kompania Bello, il primo che sia mai stato identificato dalle forze dell’ordine e azzerato con un’indagine internazionale nell’autunno del 2020. A capo c’era Dritan Rexhepi che dal Sudamerica dirigeva l’organizzazione e trasportava ingenti carichi di droga in tutta Europa attraverso i porti olandesi.
Ma la crescita dei gruppi criminali è stata accompagnata dall’aumento della violenza nelle strade. Tra gruppi criminali a volte ci si allea per fare affari, altre per sedare faide e omicidi scaturiti per il controllo del mercato. E gli scontri tra gang rivali vengono risolti con il sangue come accaduto nell’aprile del 2022, quando in un ristorante di Guayaquil il boss albanese Ergys Dashi è stato ucciso con venti colpi di pistola. Nell’aprile del 2023, invece, nella provincia di Esmeraldas in un agguato sono morte nove persone. L’aumento degli omicidi è riflesso nelle statistiche: dal 2016 ad oggi sono quintuplicati.
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