Mentre il presidente Zelensky parla sempre più spesso della possibilità di votare durante la guerra i suoi rivali affilano le armi. Il parlamento decide ancora per consenso, ma dopo un anno e mezzo di guerra affiorano le prime divisioni e lo spettro di un nuovo populismo ucraino
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky non molla: nonostante le enormi difficoltà organizzative, la contrarietà dell’opposizione e le proteste delle ong continua a tenere aperta la porta a nuove elezioni in tempo di guerra: «Saranno possibili se parlamento e governo lo vorranno». Mentre sui giornali internazionali la guerra a Gaza ha sostituito quella che combatte Kiev, in Ucraina alle notizie sul conflitto si affiancano sempre più spesso quelle che riguardano la politica interna.
Le possibili elezioni, in particolare, hanno dominato per tutta l’estate giornali e talk show politici. Ufficialmente sono vietate dalla Costituzione e dalla legge marziale, ma sono fortemente volute da alcuni alleati dell’Ucraina e da una fazione all’interno del partito di Zelensky, Servitore del popolo. Per personaggi come il presidente del Parlamento, Ruslan Stefanchuk, ad esempio, sono un modo per rinnovare un parlamento che si è dimostrato spesso incapace.
Più di metà dei 400 deputati che siedono alla Verhovka Rada appartengono a Servitore del popolo, il partito fondato nel 2019 per sostenere la campagna presidenziale di Zelensky. Come nel caso del Movimento 5 stelle nel 2013, il suo successo è stato così ampio e inaspettato che sono finiti eletti personaggi di ogni tipo.
Uno di loro, Oleksandr Kunytskyi, è sotto indagine per aver picchiato una persona e averla mandata in ospedale. A luglio, un altro deputato è stato sospeso dopo essere stato fotografato in un hotel a 5 stelle delle Maldive, nonostante il divieto per gli uomini tra i 18 e i 60 anni di lasciare il paese. Ma non ci sono solo i singoli casi, è proprio l’intero partito che si è dimostrato inaffidabile.
Un mese fa, durante una votazione chiave per l’integrazione europea, oltre metà dei deputati di Servitore del popolo ha fatto passare una norma che ritardava di un anno l’entrata in vigore dell’obbligo di pubblicazione di redditi e patrimoni dei parlamentari. Zelensky ha dovuto mettere il veto al provvedimento e l’intero processo è dovuto ripartire da capo.
E Zelensky?
Anche se nel corso di questa estate Zelensky ha parlato almeno quattro volte di elezioni, non lo ha mai fatto con particolare entusiasmo, sottolineando le enormi difficoltà organizzative di una simile impresa. I più pragmatici tra i suoi alleati sono contrari. «Non ci saranno elezioni fino alla vittoria», ha detto chiaramente il suo ministro degli Esteri, Dmitro Kuleba. «Il voto ora è impossibile», conferma Vadym Halaichuk, segretario internazionale del partito.
Ma in pochi dubitano che un voto sarebbe tutto nel suo interesse. «Ma certo che Zelensky vuole le elezioni e penso che riuscirà a organizzarle», ha detto pochi giorni fa un noto intellettuale ucraino a una cena a porte chiuse con un gruppo di giornalisti europei.
Con un gradimento vicino al 90 per cento, Zelensky avrebbe la quasi certezza di essere rieletto. E con le spalle coperte per un secondo mandato avrebbe la libertà di decidere se chiedere nuovi sacrifici per proseguire il conflitto oppure iniziare trattative per farlo finire.
Secondo alcuni, a Zelensky conviene solidificare in fretta questo consenso. Come ha scritto il commentatore politico Pavlo Kazarin: «Se non fosse per la guerra, Zelensky probabilmente avrebbe già sperimentato la volatilità dell’amore del popolo». I sondaggi sembrano dargli ragione. Secondo il 77 per cento degli ucraini, Zelensky è direttamente responsabile dei casi di corruzione nel governo e nell’esercito.
«Le persone criticano il team, non direttamente Zelensky – dice Anton Grushetsky, direttore dei programmi dell’Istituto di sociologia di Kiev, uno dei più rispettati istituti demoscopici ucraini – Ma gradualmente stanno iniziando a biasimare anche il presidente».
Vecchia conoscenze
Una cosa è certa: il panorama politico ucraino offre pochi rivali a Zelensky. L’ex presidente Petro Poroshenko, leader di Solidarietà europea (che con 27 deputati è a grandissima distanza il secondo partito in parlamento), è in teoria il più attrezzato. È uno degli ultimi oligarchi a controllare un canale televisivo indipendente e ha forgiato inattaccabili credenziali nazionaliste durante il suo mandato presidenziale. La classe media intellettuale ucraina che sostiene il conflitto lo considera ancora uno dei candidati più affidabili, ma per la grande maggioranza degli ucraini è comunque un “politico di professione”, ancora più compromesso con la corruzione e le élite economiche del paese rispetto a Zelensky. Il suo gradimento oggi non arriva al 10 per cento.
Situazione ancora peggiore per l’ex prima ministra Yulia Tymoshenko, eroina della Rivoluzione arancione del 2004. Il suo partito, Patria, è il terzo in parlamento e si è posizionato come il più forte avversario dei diritti Lgbt e il principale difensore della cosiddetta “famiglia tradizionale”. Ma in tempo di guerra non è un tema che le ha permesso di raccogliere molti consensi. La società ucraina è molto conservatrice e la maggioranza di Zelensky è molto attenta a non alienarsi questo elettorato.
Ad esempio, da settimane è in discussione una legge sul riconoscimento delle unioni civili, il cui testo è stato preparato da alcuni parlamentari di opposizione con l’aiuto di associazioni Lgbt. Il governo sarebbe al lavoro su una sua proposta più moderata, nella speranza di togliere terreno sia ai liberali che ai conservatori come Tymoshenko. L’ex prima ministra intanto viaggia su un consenso intorno al 5 per cento.
E volti nuovi
Sondaggi ed esperti indicano che i più credibili rivali di Zelensky arrivano tutti dal mondo fuori della politica. Il più credibile di tutti è Serhii Prytula, una sorta di Zelensky 2.0. Comico, attore, presentatore, dopo l’attuale presidente era l’intrattenitore più famoso del paese. Ma a differenza del russofono Zelensky, Prytula è sempre stato un convinto nazionalista ucraino, impegnato in attività di volontariato a favore dell’esercito fin dal 2014.
Poco prima dell’invasione aveva annunciato la sua intenzione di formare un partito politico, ma con lo scoppio della guerra ha messo da parte qualsiasi ambizione politica e si è concentrato sulla sua attività di volontariato. La sua fondazione è una delle più grandi del paese e in un anno e mezzo ha raccolto decine e decine di milioni di dollari. A novembre dell’anno scorso, una raccolta fondi per acquistare alcuni blindati britannici ha ottenuto 5,5 milioni di euro in 24 ore.
Politicamente, lo zoccolo duro dei suoi sostenitori è sovrapponibile a quello di Poroshenko: 18-40enni della classe media provenienti dall’Ucraina centrale e occidentale. Ma la sua attività di volontario e intrattenitore lo ha reso popolare in tutto il paese e oggi il suo gradimento è secondo solo a quello di Zelensky.
A pari merito di Prytula in popolarità troviamo il comandante in capo delle forze armate ucraine, il generale Valery Zaluzhny. Appena 50enne, cresciuto nell’Ucraina post indipendenza con il sogno di vedere il suo paese entrare nella Nato, Zaluzhny è considerato da molti l’uomo che ha salvato il paese. Dai modi modesti e autoironici (è noto per girare con una spilla del personaggio di Star wars “Baby Yoda”), Zaluzhny non ha mai manifestato apertamente ambizioni politiche. La legge marziale, inoltre, gli impedisce di candidarsi. Dopo il conflitto, però, potrebbe avere buone carte da giocarsi.
Imprevisti populisti
A causa del conflitto, la politica ucraina procede in gran parte per consenso. Si discute fuori dal parlamento, si trova un accordo e poi si vota tutti insieme e rapidamente (la Rada è un possibile bersaglio di missili russi e nessuno si trattiene volentieri al suo interno). Questo significa che sulle grandi questioni la politica presenta un fronte apparentemente unito: tutti sono per la vittoria totale, l’ingresso nella Nato e nell’Unione europea, per le privatizzazioni e liberalizzazioni, mentre sui diritti civili si cerca una mediazione tra liberali e conservatori.
Ma dopo oltre un anno e mezzo di guerra emergono le prime divisioni che in futuro potranno diventare determinanti. Abbandonare parte dei territori occupati in cambio dell’entrata nella Nato, ad esempio. Oppure limitarsi a negoziare con l’Europa un’affiliazione parziale per non dover sottostare a tutte le regole dell’Unione.
Per il momento, queste proposte arrivano da figure ai margini della scena politica. Come il controverso ex consigliere di Zelensky, Oleksii Arestovych. «Oggi il suo messaggio è troppo lontano dal sentire delle persone – dice Grushetsky – Ma in futuro questo tipo di politica populista potrebbe funzionare».
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