A Kiev politici e analisti festeggiano la vittoria dei centristi e della destra dialogante di Meloni. Ma la batosta di Macron è un duro colpo per chi sperava in un ruolo maggiore dell’Ue nel conflitto
Il giorno dopo il voto europeo, gli ucraini non sono scesi in piazza a festeggiare la vittoria del fronte centrista, ma tra politici e analisti del paese si respira comunque aria di soddisfazione. Come ha annunciato la presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen, le elezioni hanno confermato l’esistenza di una vasta maggioranza «proeuropea e pro Ucraina». La temuta ondata della destra radicale non ha scompaginato gli equilibri di Bruxelles, e, nell’immediato, gli aiuti a Kiev non sono a rischio.
Ma la sconfitta subita dal presidente francese Emmanuel Macron, al culmine di una campagna elettorale incentrata su un maggior coinvolgimento a sostegno dell’Ucraina, segna comunque una battuta di arresto preoccupante la cui portata è ancora difficile da comprendere.
Kiev e l’Europa
Il voto europeo non ha suscitato grandi entusiasmi tra gli ucraini e, nelle ultime settimane, la rassegna stampa di articoli, analisi e post social sulle elezioni aveva prodotto un magro bottino. Non li si può biasimare, d’altronde. Se circa metà degli europei non si disturba ad andare a votare per il parlamento europeo, perché gli ucraini dovrebbero mostrare un maggiore interesse, con una guerra in casa e i loro problemi politici a cui pensare?
La passione per l’Europa è genuina nel paese, soprattutto nella grandi città e nella parte occidentale dell’Ucraina, quella più povera dove quasi tutti hanno almeno un parente emigrato nell’Unione. Secondo un recente sondaggio, il 71 per cento degli ucraini è favorevole a entrare in Europa, la seconda percentuale più alta di sempre, ma, dato molto interessante, è in calo del 16 per cento rispetto all’87 per cento di favorevoli rilevato l’anno scorso.
Il giorno dopo le elezioni ha prodotto comunque la sua dose di analisi, quasi tutte all’insegna del «Nessuna nuova, buona nuova». L’analista politico Volodymyr Fesenko non manca di notare il dramma francese, con le elezioni anticipate convocate da Macron dopo la batosta, attesa ma superiore ai pronostici, inflittagli da Marine Le Pen. Ma, aggiunge nella sua analisi scritta per l’agenzia Unian, «la posizione del Parlamento europeo riguardo all’Ucraina non cambierà radicalmente».
Sostenere la Russia e abbandonare l’Ucraina, scrive Fesenko, rimane «politicamente tossico» in Europa. Anche se viene notato il successo della destra radicale, gli analisti di Kiev sottolineano le divisioni presenti in questo campo e contrappongono gli autentici sovranisti pro russi con la destra rappresentata da Giorgia Meloni, con cui, come scrive Fesenko, «si può parlare». Stessa analisi del giornalista e deputato del partito di opposizione nazionalista Solidarietà europea, Nikola Knyazhitsky, che cita esplicitamente i «filo russi» tedeschi di AfD e «l’italiana Meloni, che sostiene l’Ucraina».
Il problema di Macron
“Nessuna nuova, buona nuova” è un detto che vale quando la situazione presente è, se non la migliore, almeno tollerabile. E questo non è il caso dell’Ucraina. L’offensiva russa contro Kharkiv è stata arrestata, ma per fermarla Kiev ha dovuto spostare truppe da altri settori, e questo ha permesso ai russi di continuare a erodere territori nel Donbass, settore chiave del fronte. Il regime di Putin sembra avere le energie politiche ed economiche per proseguire indefinitamente il conflitto all’attuale livello di intensità, mentre per Kiev la prospettiva più rosea oggi è quella di riuscire a difendere quanto già controlla.
Nel frattempo, le infrastrutture elettriche del paese sono state fatte a pezzi dai bombardamenti russi. I blackout sono già iniziati in tutto il paese e l’inverno si annuncia difficile, con la prospettiva per milioni di ucraini di restare senza luce, riscaldamento e acqua calda per ore ogni giorno. Insomma, senza un intervento esterno, le prospettive per gli ucraini sono piuttosto fosche.
La strategia del governo di Kiev per invertire questa rotta era chiara: coinvolgere sempre di più gli alleati nel conflitto. Era questo, in sostanza, l’obiettivo politico dietro la richiesta di usare armi Nato in Russia. Questo piano ha trovato poche sponde in Europa e Stati Uniti, dove le opinioni pubbliche sono sempre più fredde nei confronti della causa ucraina e timorose di un’escalation che li coinvolga direttamente.
Persino l’amica Meloni ha frenato, ribadendo il suo simbolico “no” all’uso di armi italiane sul suolo russo (simbolico perché l’Italia non è tra quei paesi che fornisce a Kiev armi in grado di colpire in profondità il territorio nemico).
Macron, invece, era tra i pochi leader ad aver assecondato questo piano, promettendo, primo in tutto l’occidente, di inviare truppe nel paese con compiti di addestramento, un piano così ambizioso che è stato criticato persino dalla Casa Bianca. Ma quella che a Washington e Roma suona come una spericolata avventura, per Kiev è una delle poche strade concrete per arrivare a una soluzione positiva del conflitto. Se nel loro complesso le elezioni europee non hanno prodotto risultati sconvolgenti, hanno però assestato colpi molto duri a queste speranze.
I vincitori simbolici di questo voto sono i francesi del Rassemblement national, contrari all’uso di armi francesi in territorio russo, e i tedeschi di AfD, che si sono espressi contro le sanzioni alla Russia. I loro risultati non sono sufficienti a causare un’inversione della linea ufficiale di appoggio all’Ucraina. Ma sono abbastanza da segnare una battuta d’arresto alla sua ulteriore espansione. Abbandonare l’Ucraina alla Russia è politicamente tossico in Europa. Questa settimana sembra che lo sia diventato anche aiutarla più di quanto già facciamo.
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