L’esito delle elezioni in Polonia, anzitutto sfavorevole al Pis, il partito Diritto e giustizia, al governo da non pochi anni, in secondo luogo, premiante in termini di voti per Coalizione civica, l’opposizione progressista pro Europa, contiene molti insegnamenti.
Il primo insegnamento, poiché la partecipazione elettorale è cresciuta significativamente giungendo a un invidiabile 73 per cento, dice che quando cittadini e cittadine percepiscono, anche grazie alla campagna elettorale, che la posta in gioco è alta, decidono di dedicare parte del loro tempo e delle loro energie per andare alle urne, per farsi contare e contare. Ottimo insegnamento democratico.
Ne consegue anche che l’importante affermazione di Coalizione civica dipende dall’essere riuscita a caratterizzarsi come schieramento a favore dell’Unione europea, quella che c’è e che può essere migliorata, contro le politiche di impronta sovranista del Pis. Vero e sincero europeista di lungo e coerente corso, Donald Tusk si è battuto anche in nome dello stato di diritto, della rule of law, e contro le ripetute violazioni dei principi e dei valori che stanno alla base degli stati democratici e della stessa Unione europea.
Una parte decisiva dell’elettorato polacco ha indicato con il suo voto che ritiene importantissimi proprio quei principi e quei valori che stanno in totale contraddizione con l’immagine che vuole dare di sé il Partito del diritto e della giustizia e con i contenuti delle sue politiche ripetutamente stigmatizzati dal parlamento europeo e sottoposti a sanzioni dalla Commissione europea.
Democrazia sotto attacco
A essere comunque sconfitto non è soltanto il sovranismo e il suo esercizio, ma gli elementi di più o meno sottile autoritarismo che permeano l’ideologia e la pratica politica del Pis e dei suoi governanti e dirigenti. Rimane da temere quanto quei governanti e dirigenti intenderanno fare per non cedere il potere politico alla coalizione che si sta formando a sostegno del probabile governo guidato da Tusk.
La lezione “polacca” di maggiore rilevanza riguarda la democrazia, le definizioni del suo stato attuale, le analisi che si concentrano sulla sua, non meglio precisata e troppo spesso ripetitivamente, quasi compiaciutamente, denunciata, crisi, le sue prospettive future, qui in Europa e altrove. A chi ha gli strumenti per ascoltare e capire, i risultati polacchi mandano il messaggio che, fintantoché esistono le condizioni minime, di base per una competizione politico-elettorale equa, i cittadini hanno la possibilità di cambiare idee, voto, governi.
In Polonia, non era in crisi la democrazia in quanto tale, come ideale. Era sotto attacco da parte di alcune élite, comprese quelle religiose cattoliche, il funzionamento delle istituzioni, a partire dall’istituzione giudiziaria e dal rapporto governo/parlamento. Non esisteva una crisi generalizzata, tutto coinvolgente. Esistevano problemi di funzionamento e di funzionalità. La situazione appariva, ed effettivamente è, seria e delicata poiché quei problemi, in piccola misura fisiologici, venivano talvolta sfruttati e manipolati talvolta deliberatamente creati dalle élite politiche sovraniste appoggiate da élite economiche e religiose.
La democrazia si conferma il meno peggiore dei modelli di governo realmente esistenti poiché consente a tutti i protagonisti, popolo (sì, scelgo proprio questo termine che è la traduzione di demos) e élite, di imparare. Quando toccano il fondo i modelli autoritari e totalitari di governo si infrangono in misura diversa e variabile. Le democrazie rimbalzano.
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