- Con lo spoglio ancora in corso la commissione elettorale ha annunciato che il partito del potere, Russia unita, ha ottenuto, anche questa volta, la maggioranza assoluta dei seggi.
- Il paradosso di queste elezioni è che il voto intelligente ha favorito i comunisti. Eppure, da ieri sera sembra, che i comunisti siano l’unica alternativa democratica a Putin.
- Žuganov è lo stesso leader che aveva partecipato alle elezioni presidenziali del 1996, ritenute le più irregolari della storia elettorale russa, ma “sostenute dai consiglieri americani che avevano aiutato a vincere Eltsin” contro il pericolo comunista di un reflusso autoritario.
Con lo spoglio ancora in corso la commissione elettorale ha annunciato che il partito del potere, Russia unita, ha ottenuto, anche questa volta, la maggioranza assoluta dei seggi. Rispetto alle elezioni politiche del 2016 il partito comunista, guidato da Gennadij Žuganov, ha aumentato i voti di quasi 6 punti percentuali, il partito liberaldemocratico di Vladimir Žirinovskij ha dimezzato il proprio consenso elettorale, attestandosi al 7.5 per cento.
Seguono Russia giusta al 7.3 e, come avevano previsto diversi istituti di ricerca, il partito creato da Aleksej Nechaev nel marzo del 2020, “Gente nuova”, ha superato la soglia di sbarramento con il 5,4 per cento.
Nei prossimi giorni avremo un quadro più puntuale della distribuzione dei voti e della partecipazione elettorale nel territorio federale e la composizione sociologica dei deputati che faranno parte dell’ottava legislatura della Duma.
Tuttavia, vi sono sufficienti elementi per trarre alcune considerazioni sul significato e sulle strategie adottate dai diversi attori in gioco con una premessa di natura politico-istituzionale.
La debolezza del parlamento
Anche dopo la riforma costituzionale approvata l’anno scorso, il parlamento è rimasto un organo debole che si limita ad approvare automaticamente le decisioni presidenziali e governative, senza una discussione nelle commissioni (il termine Duma deriva dal verbo “dumat’” che significa “pensare”) e un’azione di controllo sull’operato di governo.
È una prassi che si è consolidata durante la presidenza putiniana per evitare la conflittualità con i gruppi parlamentari, che aveva coinvolto il presidente Boris Eltsin e i comunisti, attraverso la creazione di un partito egemone, Russia unita, capace di gestire i lavori della Duma senza alcun intralcio dell’opposizione sistemica.
Alla debolezza istituzionale si aggiunge anche la scarsa fiducia dell’opinione pubblica russa nei confronti del parlamento che, in diversi sondaggi, si attesta al 30 per cento, ben lontano dal 60 per cento che la figura monocratica del presidente ha sempre ottenuto.
Il voto di questo fine settimana costituisce un termometro dello stato di salute dell’élite al governo sia in termini di mantenimento dei consensi di Russia unita sia nella ridefinizione del “peso elettorale” di ciascuna fazione componente il “cerchio ristretto” del presidente (con evidenti conseguenze per il voto presidenziale del 2024).
I programmi elettorali di Russia unita sono contraddistinti dalla generalità delle tematiche che mirano ad accontentare vari strati della popolazione: è un “partito pigliatutti” che cerca di massimizzare i voti.
In questo modo non si accontentano solamente diversi elettori, ma anche le diverse “sensibilità” presenti nel partito che sinora Putin è riuscito politicamente a gestire per garantire la stabilità politica del paese.
È piuttosto irrilevante, invece, che il partito presidenziale ottenga la maggioranza assoluta o relativa perché la riforma costituzionale è già stata approvata e, in caso di ulteriori modifiche, può contare sul sostegno del partito di Žirinovskij, di Russia giusta e ora anche di Gente nuova che ha cercato di attirare i consensi dei sostenitori di Navalnyj, ma è un prodotto, come dicono in Russia, di “tecnologia politica” a sostegno del Cremlino.
Voto intelligente?
A questo punto è lecito chiedersi se il “voto intelligente” sostenuto da Navalnyj - che consiste nell’indebolire elettoralmente Russia unita – sia effettivamente intelligente e abbia una qualche utilità pratica.
Il paradosso di queste elezioni è che il voto intelligente ha favorito i comunisti. La conferma di questa ipotesi deriva dall’aumento dei seggi nell’arena maggioritaria, mentre la buona performance in quella proporzionale (con liste bloccate) ha raccolto anche il malumore degli elettori che vivono nelle zone rurali e sono insoddisfatti per la condizione sanitaria ed economica in cui vivono, come hanno illustrato alcuni sondaggi nei mesi precedenti.
Ma c’è un aspetto che merita attenzione. La strategia di Navalnyj si è concentrata solo ed esclusivamente contro Russia unita e non per sostenere un programma politico alternativo al governo, rappresentato, ad esempio, da altri partiti minori.
Qui si ripresenta il problema irrisolto della frammentazione e della mancanza di coesione dei partiti extra-parlamentari che limitano l’accesso al parlamento. Ne è un esempio la formazione Jabloko del fondatore Grigorij Javlinskij che ha rifiutato l’endorsement di Navalnyj in diretta Tv.
Forse per timore di ricatti e problemi procedurali con la commissione elettorale oppure per attriti personali del passato tra Javlinskij e Navalnyj, certamente questa decisione ha determinato ancora una volta l’esclusione dell’opposizione al regime.
In questo modo, Navalnyj ha rafforzato il partito comunista che, sebbene non sia del tutto associabile al Pcus, ha certamente una componente nostalgica di quel periodo e, soprattutto, una nazionalista ed estremista.
È rassicurante per il futuro della Russia rafforzare il partito comunista il cui il leader chiede alle autorità russe di «sbarazzarsi dell’intera banda che ha occupato Kiev, composta da nazisti e fascisti che prendono tutte le decisioni sotto la guida diretta della Cia» e che ritiene agenti segreti, finanziati dall’Occidente, Navalnyj e i suoi sostenitori di cui non hanno mai condiviso le battaglie politiche?
Eppure, da ieri sera, leggendo la stampa occidentale sembra, che i comunisti siano l’unica alternativa democratica a Putin, dimenticando che Žuganov è lo stesso leader che aveva partecipato alle elezioni presidenziali del 1996, ritenute le più irregolari della storia elettorale russa, ma “sostenute dai consiglieri americani che avevano aiutato a vincere Eltsin” (fonte: Times del 16 luglio 1996) contro il pericolo comunista di un reflusso autoritario.
Ammesso e concesso che la strategia di Navalnyj sia stata intelligente e verosimilmente ostacolata da brogli elettorali, non è stata utile a destabilizzare la “verticale di potere”, a unire l’opposizione extra-parlamentare e a individuare un profilo di oppositore che rispecchia quella “anima russa” che sinora Putin è stato capace di rappresentare nel bene e nel male.
Javlinskij ha affermato: «Per ora esistiamo perché le autorità hanno bisogno dell’opposizione come di una decorazione, ma un giorno il vento potrebbe cambiare».
Putin ha fermato con ogni mezzo il vento occidentale, incarnato da Navalnyj, nelle sue mani, ma tre anni sono lunghi da passare e dovrà stare attento che il vento siberiano Buran non provochi una tempesta.
La sparatoria all’Università nella città orientale di Perm’, con otto morti e sette feriti, sembra non avere una matrice terroristica, ma è indicativa del profondo disagio sociale delle popolazioni più ad est.
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