All’ora di pranzo del giorno di San Valentino i seggi nella repubblica presidenziale di Indonesia erano già chiusi. Nello spazio di un mattino 200 milioni di persone si sono ritrovate con i pollici anneriti di inchiostro, dopo essersi messe in coda per votare alle elezioni generali del paese, la terza democrazia più popolosa del pianeta.

Sono state un’impresa organizzativa titanica che ha richiesto oltre 1 miliardo di schede e 4 milioni di urne, sparse in più di 17mila isole. Tra gli antipodi dell’arcipelago corre la stessa distanza che si estende tra l’Irlanda del Nord e il Turkmenistan.

Si vota per le due camere del parlamento, i consigli regionali e locali, ma tra i 258mila candidati ai vari organi dello stato, a pochi minuti dall’inizio dello spoglio, emerge un chiaro vincitore: Prabowo Subianto, ministro della Difesa di 72 anni e candidato alla presidenza della Repubblica d’Indonesia, anche essa oggetto di rinnovo in questa tornata elettorale. I dati provvisori ci dicono che è stato eletto con oltre il 55 per cento dei suffragi.

Chi è Prabowo

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Il risultato conferma le aspettative della vigilia che in una corsa a tre vedeva guidare saldamente Prabowo nei sondaggi. Prabowo non è però nuovo alle elezioni presidenziali, essendosi conteso senza successo il vertice dello stato già alle elezioni del 2014 e del 2019 proprio contro il popolarissimo presidente uscente, Joko Widodo, noto anche come Jokowi.

A quest’ultimo Prabowo deve gran parte della sua forza elettorale, che il presidente in scadenza ha scelto sottotraccia di incanalare sul suo ex sfidante dopo che questo aveva designato come suo candidato vicepresidente Gibran Rakabuming, figlio di Widodo.

Per consentire la candidatura del primogenito di Widodo, che è ancora lontano dai 40 anni richiesti dalla Costituzione, è servita una sentenza della Corte costituzionale, presieduta dallo zio del rampollo presidenziale.

Il sostegno di Widodo, appartenente al partito di sinistra populista Pdi-P, a Prabowo ha sorpreso in tanti anche per la storia stessa del neoeletto presidente, ex generale, conservatore e con simpatie autoritarie, alla testa di una coalizione di destra.

La figura di Prabowo, giavanese e musulmano come il ceto dominante del paese, è controversa nell’opinione pubblica indonesiana, essendo stato capo delle forze speciali durante il repressivo regime di Suharto, al potere dal 1967 al 1998, di cui Prabowo è stato genero. Widodo aveva costruito la sua fortuna elettorale promettendo di opporsi alle élite che avevano pilotato la vita politica sin dalla caduta di Suharto.

Al posto di batterle, orchestrando l’ascesa del primogenito alla vicepresidenza, ne ha creato una tutta sua. I presidenti della repubblica indonesiana non possono ricoprire più di due mandati, e Widodo, al termine del suo secondo, sta cercando di estendere la durata della sua influenza per interposta persona.

Concezione ereditaria

Questa concezione ereditaria delle cariche pubbliche non deve in realtà stupire. Dinamiche di questo tipo sono familiari nel Sud-Est asiatico, come insegna il caso di Ferdinand Marcos Jr. (tra l’altro figlio di un corrotto dittatore), eletto nel 2022 alla guida delle Filippine in tandem con la figlia dell’allora presidente uscente Duterte. In Malesia dal 2018 al 2020 Wan Azizah Wan Ismail, la moglie dell’attuale primo ministro malesiano Anwar Ibrahim, è stata vicepremier in vece del marito.

Cooptare al governo i propri nemici e ingraziarsi power broker sono mosse canoniche della politica indonesiana per assicurarsi il supporto in parlamento per l’approvazione delle leggi e la realizzazione di progetti che trascendono la durata del proprio mandato, come il trasferimento della capitale da Giacarta a Nusantara, nel Borneo, divenuto emblema del disegno politico di Widodo. Si prevede che il piano faraonico arrivi a costare 32 miliardi di dollari. Una vera cattedrale nel deserto se non fosse circondata da foreste.

Questi meccanismi consociativi sono dovuti anche all’impianto proporzionale della legge elettorale che richiede la formazione di maggioranze eterogenee nella Camera bassa, preminente su quella alta, e una continua negoziazione con i vari veto-player. È il caso appunto di Jokowi che nel 2019 aveva nominato suo ministro della Difesa l’appena sconfitto avversario Prabowo.

Prabowo, non senza concorso in causa, eredita un paese dalle istituzioni democratiche più fragili. L’agenzia anti corruzione del paese, un tempo autorevole, è stata privata nel 2019 della prerogativa di effettuare intercettazioni e assumere personale indipendente. D’altro canto il neoeletto presidente ha dichiarato in passato che l'Indonesia ha bisogno di una guida autocratica. Diffusa è dunque la paura che l’inesperta democrazia indonesiana piombi in una nuova stagione autoritaria.

Molti indonesiani sono troppo giovani per ricordarsi di cosa significhi vivere sotto un regime illiberale come quello di Suharto. La metà degli elettori ha meno di 40 anni. Nelle scuole indonesiane si studia poco il periodo di governo di Suharto e l’opinione pubblica si forma largamente su TikTok. Su questo social è stato possibile per Prabowo riconfigurare la propria immagine di uomo di apparato compromesso con un regime sanguinario in un nonno smanioso di insegnare a tutti i suoi goffi passi da balera.

In campagna elettorale Prabowo aveva promesso che avrebbe mantenuto l’impostazione di politica economica del suo predecessore.

Confronto Usa-Cina

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Le principali misure, che in questi 10 anni di Widodo hanno consentito una crescita media annua del Pil del 5 per cento e riscattato il paese dalla scomoda categoria delle Fragile Five, sono state la facilitazione degli investimenti diretti esteri, l’espansione della rete infrastrutturale e una politica di “downstreaming” per lo sfruttamento del nichel, che prevede l’onere per le imprese estrattrici di processarlo in loco. La sua filiera è responsabile di metà della crescita globale di questo stato. Il nichel è infatti essenziale per realizzare le batterie dei veicoli elettrici e l’Indonesia ne è la nazione coi più grandi giacimenti minerari.

Tuttavia la Jokowinomics è un frutto avvelenato da raccogliere: il protezionismo indonesiano rimane vantaggioso fino a quando la domanda dei suoi minerali resta alta nel mondo, ma nulla può contro le soluzioni tecnologiche, come le batterie al litio-ferro-fosfato e quelle agli ioni di sodio, che rendono superfluo il nichel nella realizzazione degli accumulatori di energia. Questa politica industriale va in cortocircuito quando mira a intercettare gli investimenti in uscita dalla Cina in settori in cui l’Indonesia non può godere di alcuna rendita di posizione.

Il fronte più scivoloso che aspetta Prabowo al varco è il confronto sempre più surriscaldato tra Stati Uniti e Cina. Prabowo ha dato segnali di volersi attenere alla linea tradizionale di paese non allineato, con lo scopo di giocare da ago della bilancia e ottenere concessioni da entrambi i blocchi. Ma eventuali dazi o sanzioni sulle aziende cinesi colpirebbero a cascata anche quelle indonesiane alla cui catena del valore appartengono.

La Cina, già prima partner commerciale dell’Indonesia con un interscambio da 74 miliardi nel 2020, sta tentando di attrarre la nazione nella sua sfera tramite corposi investimenti. La posizione dell’Indonesia fa gola a tutti, affacciandosi su alcuni dei choke point – i colli di bottiglia – più vitali per i traffici marittimi globali.

Gli Stati Uniti, alle prese con pulsioni elettorali protezionistiche che li privano di una strategia di proiezione commerciale nella regione, provano a mantenere saldo il legame con Giacarta attraverso le esercitazioni navali congiunte e le forniture militari. In quest’era assetata di denaro chissà se sia ancora vero che «non con l’oro ma con la spada si riscatta la patria», come diceva Marco Furio Camillo.

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