Il 29 maggio in Sudafrica si è tenuta la tornata elettorale più in bilico dalla fine dell’apartheid. Dopo mesi di fosche previsioni, nonostante lo scrutinio ancora in corso, è finita l’egemonia dell’African National Congress che non ottiene per la prima volta in 30 anni la maggioranza assoluta dei voti per l’Assemblea Nazionale, fermandosi al 42 per cento.

Non c’è stata la riedizione del 1994 che molti preconizzavano ma si entra in una fase nuova, che chiude la partita in due tempi dell’egemonia dell’Anc (il primo segnato da una forte espansione dell’accesso al welfare, il secondo da triplicazione del debito, fossilizzazione della povertà e mistificazione di rendite per l’élite di partito come redistribuzione della ricchezza).

A poco è valsa la volata dell’African National Congress nelle ultime settimane di campagna, durante le quali ha posto fine a un decennio di blackout, istituito – senza individuarne precise coperture – l’assistenza sanitaria universale e abolito pro tempore i tetti di spesa alle donazioni elettorali per far fluire nelle sue casse le ingenti risorse della sua holding finanziaria “Chancellor House”.

Ramaphosa, il presidente uscente e leader dell’Anc, è passato dall’essere il sindacalista inarrestabile ed eroe negoziale della fine dell’Apartheid al proiettare l’ombra di un maestro del traccheggiamento.

Novità e astensione

In concomitanza alla Camera politica, sono stati eletti i consigli delle nove province della nazione arcobaleno (di tre delle quali l’Anc perde il controllo esclusivo), che nomineranno in seconda battuta i membri del consiglio nazionale delle province, il “senato delle autonomie” sudafricano.

Simmetricamente, nel voto per l’assemblea nazionale, la neonata Mk di Jacob Zuma, ex presidente del Sudafrica e dell’Anc a cui ha dichiarato guerra aperta, registra un’ottima performance nella terra natale del suo leader, il KwaZulu – Natal, attestandosi al 45 per cento. La Democratic alliance supera il 50 per cento dei consensi nel capo occidentale ma non riesce a sfondare nel resto delle circoscrizioni. Anche questa volta il malcontento preferisce rifluire nell’astensione, piuttosto che beneficiare la principale forza di opposizione.

Nonostante infatti vi fossero state attese in coda ai seggi anche di sette ore, l’affluenza è stata solo del 58,6 per cento, in calo di 7,4 punti rispetto al 2019. Ma la percentuale dei votanti scoraggia ancora di più se si considera che in realtà solo il 44 per cento degli aventi diritto al voto si è recato alle urne: in Sudafrica la registrazione nelle liste elettorali non è obbligatoria e l’affluenza viene calcolata sull’ammontare dei loro iscritti.

Il bivio

Così come avvenuto localmente dopo le amministrative del 2021, il venir meno del monopolio di governo dell’Anc potrebbe indurre le sue anime deteriori ad arraffare per l’ultima volta il più possibile prima di essere scalzate dall’esecutivo, piuttosto che favorire un processo di riforma interno al partito.

Per alzare la posta nelle trattive, Jacob Zuma, che è alla ricerca della grazia presidenziale per sfuggire alle indagini per corruzione a suo carico, per bocca di sua figlia ha già reso noto alla stampa che l’Mk non formerà una coalizione con l’Anc.

Il trivio al quale si trova costretto dalle urne l’eterno indeciso Ramaphosa è tra tirare a campare puntellato da un arcipelago frastagliato di micropartiti, ammiccare al radicalismo populista, incubo degli investitori, ritrovando “l’unità familiare” con le sue propaggini staccate Eff ed Mk, bramose di porsi alla guida delle province di Gauteng e KwaZulu-Natal, o infine formare un governo di scopo con la Democratic Alliance per smantellare l’ingerenza dell’Anc nello stato e nell’economia e restituire le risorse minerarie, l’impianto normativo e l’azione amministrativa al servizio della comunità.

La storia ci insegna che in genere nessuno demolisce il proprio sistema di dominio, per quanto foriero di storture, per ottenerne uno funzionale ma in mano agli avversari. Tuttavia «chi non applica nuovi rimedi deve essere pronto a nuovi mali» (Bacone) perché il potere come l’acqua scivola via da chi vuole arrestarne il flusso, afferrandolo tra le sue dita. Nondimeno fare da stampella sarebbe un mestiere difficile anche per la Da, che condividerebbe il peso di tutti i fallimenti di governo senza però potersi intestare il merito dei suoi eventuali successi.

Tra poco più di due settimane, al momento dell’elezione del nuovo capo di Stato e di governo in seno all’assemblea nazionale, vedremo quale via avrà imboccato Ramaphosa, il temporeggiatore.

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