Il Congo Brazzaville, guidato da quasi 30 anni dall’ex colonnello Denis Sassou Nguesso, dovrebbe diventare uno dei grandi fornitori di gas dell'Italia. Lo prevede il piano tracciato nel 2022 dall'allora premier Mario Draghi, all'indomani dell'invasione russa dell'Ucraina e della decisione, condivisa da quasi tutti i membri dell'Ue, di ridurre la dipendenza dalle forniture di Mosca. La strada è stata seguita fedelmente anche da Giorgia Meloni, che ha inserito l'ex Congo francese tra i Paesi partner dell'Italia nel Piano Mattei.

Tra le nazioni più povere e meno democratiche al mondo, la repubblica africana è ricca di giacimenti di gas, ma questo non basta da solo a spiegare l'interesse italiano. Eni negli ultimi anni si è ritagliata uno spazio importante nel Paese, anche grazie all'esperienza maturata sul campo dal suo amministratore delegato, Claudio Descalzi, che sulle rive del fiume Congo ha lavorato e ha trovato moglie.

La sentenza

Il rapporto tra Eni e la repubblica africana non si è incrinato neanche dopo che la società italiana, in cambio di vantaggiosi rinnovi di alcune concessioni, è stata costretta a fare entrare come partner una piccola impresa petrolifera controllata da pubblici ufficiali molto vicini al presidente Sassou Nguesso. Lo ha ricostruito un'inchiesta della Procura di Milano, chiusa con un patteggiamento e il pagamento da parte di Eni di 11,8 milioni di euro.

Nella sentenza, datata marzo 2021, i giudici del tribunale hanno scritto che la multinazionale controllata dal ministero dell'Economia «è stata vittima e persona offesa di quella che oggi viene qualificato come reato di induzione indebita o meglio di concussione per induzione».

In altre parole, la società italiana è stata costretta a pagare per lavorare. Nonostante questo, Eni è rimasta saldamente nel Paese, è diventata il secondo produttore di idrocarburi dopo il gruppo francese TotalEnergies e oggi è attiva in dieci concessioni per l'estrazione di idrocarburi, soprattutto gas. Proprio questa è la materia prima con cui l'Italia vuole rimpiazzare una parte delle forniture garantite per decenni via gasdotto dalla Russia.

La ricerca

Con questo obiettivo, nell'aprile del 2023 Eni e la Repubblica del Congo hanno avviato davanti alla costa di Point Noire, nei pressi del mega giacimento Marine XII, il progetto Congo Lng, un complesso di impianti per liquefare ed esportare il metano congolese via nave. Investimento annunciato: 5 miliardi di dollari.

Secondo un'inchiesta realizzata dall’Unità investigativa di Greenpeace Italia, però, i piani di Eni in Congo vanno molto a rilento, e così anche i progetti di diversificazione energetica dell'Italia.

«Appena il 15 per cento dei quantitativi di gas annunciati in pompa magna da Eni è arrivato finora in Europa dal Congo, con un contributo praticamente nullo al fabbisogno energetico dell’inverno 2023-2024», ha sintetizzato Greenpeace presentando la sua ricerca.

Alle richieste di commento inviate dall'ong per conoscere i motivi del prolungamento dei tempi, Eni ha risposto sostenendo che non c'è alcun ritardo. «Il miliardo di metri cubi annuale della prima fase si riferisce alla capacità di trattamento e liquefazione di Lng dell'impianto Congo Lng, non al volume da produrre nel 2024», ha risposto l'azienda. Insomma, Eni non ha mai annunciato che dal Congo sarebbe partito 1 miliardo di metri cubi di gas verso l'Italia già nell'inverno scorso.

Per capire meglio bisogna tornare a ottobre del 2022, quando Descalzi vola a Brazzaville per incontrare il presidente Sassou Nguesso. «In primo piano i progressi nella valorizzazione e commercializzazione delle risorse di gas nel paese che, tramite l’utilizzo di impianti galleggianti Lng, consentiranno di esportare circa 1 miliardo di metri cubi di gas nell’inverno 2023-2024», scrive Eni nel comunicato stampa di quel giorno.

Arriva Meloni

Dodici giorni dopo, a Brazzaville arriva Meloni. Ribadisce, in conferenza stampa con il presidente Sassou Nguesso, l'importanza per l'Italia degli «accordi commerciali con l'Eni per l'importazione di gas naturale liquefatto nel prossimo inverno». Di sicuro non è andata così: tramite le immagini satellitare, Greenpeace ha verificato che solamente due carichi di gas sono partiti finora dall'impianto Congo Lng, esportando in tutto 150 milioni di metri cubi di gas, cioè appunto il 15 per cento di quanto annunciato.

C'è anche un altro fatto inedito messo in luce dalla ricerca. La prima delle due navi partite finora dal Congo per trasportare gas in Italia non ha seguito un percorso lineare. Prima di scaricare il gnl al rigassificatore di Piombino «ha navigato a vuoto nel Mediterraneo per 27 giorni, sprecando 800 mila euro di gas (pari al consumo annuo di 3.243 famiglie italiane) e rilasciando invano in atmosfera 8 mila tonnellate di CO2 equivalenti», scrive Greenpeace Italia. Possibile? I ricercatori dell'ong hanno tracciato il percorso della nave Gaslog Savannah, partita da Point Noire il 2 marzo e arrivata a Piombino il 7 aprile dopo un lungo girovagare tra le acque di Gibilterra, delle Baleari e della Sardegna.

Destinazione Piombino

«Per arrivare in Toscana da Gibilterra, un viaggio che di norma richiede due giorni e mezzo, la Gaslog Savannah ha impiegato 27 giorni e mezzo, invertendo la rotta 54 volte e percorrendo quasi 18 mila chilometri, una distanza pari a poco meno della metà della circonferenza terrestre», ha calcolato Greenpeace. Il motivo di questo strano giro è che il terminal di rigassificazione di Piombino aveva già diverse navi in coda, dunque la Gaslog Savannah ha dovuto aspettare e, non potendo fermarsi (il gnl viaggia a -160 gradi), ha preferito proseguire senza meta per quasi un mese.

Non era meglio ritardare la partenza dal Congo? Oppure scaricare il gas in un altro terminal europeo? Eni ha risposto che «la decisione di destinare il primo carico all’Italia è in linea con la strategia di assicurare la security of supply (la sicurezza delle forniture, ndr)», e che quella adottata, considerando che si trattava del primo carico di un progetto (il Congo Lng) non ancora terminato, è stata «la soluzione più efficace dal punto di vista operativo considerando l'intera supply chain».

Secondo Greenpeace, però, lo strano giro della Gaslog Savannah ha anche dato qualche beneficio a Eni. Vantaggi su un tema delicato come quello del flaring, la pratica di bruciare in torcia il metano associato all’estrazione di idrocarburi, che provoca emissioni di anidride carbonica e di sostanze direttamente nocive per la salute umana. La multinazionale guidata da Descalzi si è impegnata per ridurre il gas flaring, ma secondo Greenpeace Italia le cose in Congo non stanno andando bene. La società ha detto che il progetto Congo Lng servirà anche per esportare, invece che bruciare in atmosfera, gas che la società ha stoccato in riserve situate nel Paese.

La vicenda della nave Gaslog Savannah dimostrerebbe però che viaggi così lunghi e dispendiosi in termini energetici rendono vano, se non addirittura controproducente, lo sforzo annunciato per l'ambiente. Se i 2,7 milioni di metri cubi di metano sprecati per far girare la nave a vuoto fossero stati bruciati in torcia alla fonte, è il calcolo della ong, questo avrebbe comportato un risparmio in termini di emissioni di circa 1511 tonnellate di CO2 equivalente.

Insomma, per Greenpeace il progetto Congo Lng non è la soluzione al problema del flaring nella repubblica africana. Ma offre un vantaggio rilevante a Eni: in questo modo, si legge nella ricerca, l'azienda «cancella dai propri bilanci parte delle sue emissioni da flaring, guadagnando nei rating Esg. Le emissioni in realtà sono solamente spostate lungo la filiera».

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