- Il presidente turco è riuscito a portare a Istanbul i due rivali politici libici, Abdulhamid Dbeibah e Fathi Beshaga, dopo gli ultimi scontri per il controllo della capitale Tripoli.
- Il suo lavoro di mediazione però potrebbe non essere sufficiente. Il proliferare di milizie e la presenza di altri attori esteri limitano il controllo di Ankara nel paese nordafricano.
- La Turchia resta però la potenza maggiormente in grado di influenzare il futuro della Libia, a discapito anche di un’Italia sempre più relegata al ruolo di spettatrice.
Il presidente Recep Tayyip Erdogan è ormai noto per il ruolo di mediatore nel conflitto in Ucraina, ma quest’ultimo non è l’unico teatro di guerra in cui il capo di Stato turco ha saputo inserirsi in qualità di negoziatore. Anche in Libia, paese ancora alle prese con l’instabilità derivante dalla caduta del regime di Muhammad Gaddafi, la Turchia sta cercando di mediare tra le parti in lotta per evitare che la situazione degeneri ulteriormente e per tutelare i propri interessi, a discapito di altri attori presenti sul terreno. O che dovrebbero essere maggiormente presenti, come l’Italia.
Proprio nel tentativo di scongiurare lo scoppio di un nuovo conflitto, il primo settembre il presidente turco ha ricevuto a Istanbul il primo ministro Abdulhamid Dbeibah, capo del governo con sede a Tripoli, e Fathi Bashaga, scelto come premier dal Parlamento di Tobruk dopo lo scadere del mandato di Dbeibah e insediatosi a Sirte in attesa di prendere ufficialmente il potere. La sua nomina era stata decisa dai parlamentari della Cirenaica a dicembre in risposta alle mancate elezioni previste ormai da tempo dall’Onu e rimandate ancora una volta a data da destinarsi.
La rivalità tra i due leader, sostenuti a loro volta da milizie interne così come da potenze estere, è sfociata in un nuovo round di scontri armati a fine agosto, costato la vita a 32 persone e conclusosi con il ritiro delle forze fedeli a Bashaga, che puntavano a prendere il controllo di Tripoli. Secondo diverse fonti, a determinare la fine degli scontri è stato l’impiego da parte delle forze filo-Dbeibah di droni di produzione turca contro le milizie in marcia verso la capitale. Sull’uso dei TB2 non sono giunte conferme da parte del governo di Tripoli, ma i rumors sono stati sufficienti per incidere sull’andamento degli scontri e per ricordare a Bashaga che per la Turchia Tripoli è una linea rossa da non superare.
Essere riuscito a portare a Istanbul entrambi i leader libici è quindi un chiaro segno dell’influenza che Erdogan esercita nel paese nordafricano, particolarmente rilevante per gli interessi dello Stato turco. Il presidente ha anche esteso nuovamente l’invito per un incontro ad Aguila Saleh, presidente del parlamento di Tobruk, atteso da mesi ad Ankara per sancire ufficialmente il suo riavvicinamento alla Turchia. Un riavvicinamento che ha segnato un punto di svolta nelle relazioni tra Tobruk e Tripoli, a tutto vantaggio di Dbeibah, soprattutto se si considera che Saleh è persino arrivato a sostenere un maggior coinvolgimento di Ankara nella contesa libica.
Equilibri delicati
Ma a favorire la Turchia è stato anche il miglioramento delle relazioni con gli Emirati Arabi Uniti, presenti nel paese nordafricano a sostengo del generale Khalifa Haftar, altro attore rilevante nella definizione degli equilibri in Libia. La riconciliazione tra i due paesi preoccupa però sia Bashaga, che non vuole vedere un rafforzamento della posizione di Dbeibah, che quegli attori esteri che hanno sostenuto negli anni il generale.
Ossia Egitto, Russia e Francia, sganciatisi in parte da Haftar e avvicinatisi invece al premier di Sirte con una mossa poco apprezzata dalla Turchia. Per il Cairo e Parigi è importante evitare che Ankara rafforzi ulteriormente la presa sulla Libia e sostenere Bashaga è un modo per limitare le possibilità di avvicinamento tra quest’ultimo e la Turchia. Il premier di Sirte è stato visto per un certo periodo come una possibile figura di raccordo tra Ankara e le forze che controllano l’est del paese, ma la situazione attuale non lascia intravedere una futura riconciliazione tra le parti.
Bashaga è uscito indebolito da questo ultimo tentativo di prendere il controllo di Tripoli - impresa già inutilmente tentata da Haftar tra il 2019 e il 2020 - ma ciò non vuol dire che sia pronto a rinunciare alle proprie aspirazioni, a tutto vantaggio della posizione anti-turca di Francia ed Egitto. Ma a pesare sul futuro della Libia è anche la proliferazione di milizie dalle alleanze variabili e che non permettono agli attori esterni di controllare quanto vorrebbero l’andamento del conflitto.
Una posizione di forza
Nonostante l’alto grado di incertezza, la Turchia gode di una posizione di maggiore forza in Libia rispetto agli altri attori esteri coinvolti nella lotta per il potere ed è pertanto in grado di espandere la propria influenza in Africa, con i vantaggi che ne conseguono. Esercitare un controllo su chi governa la Libia vuol dire avere accesso alle risorse energetiche del paese e avere voce in capitolo nella delimitazione dei confini marittimi, un aspetto di grande importanza per Erdogan.
Attraverso gli accordi sulle zone economiche esclusive la Turchia può contendere alla Grecia parti del Mediterraneo rilevanti dal punto di vista energetico, rendendo così indispensabile il coinvolgimento turco nello sfruttamento di determinati giacimenti o di rotte commerciali. Uno scenario che dovrebbe far suonare un campanello d’allarme anche in Italia, ormai relegata a una posizione di spettatrice nel contesto libico.
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