«Ci si vergogna di essere cittadini di New York», annotò nel suo diario il noto avvocato George Templeton Strong nel 1868. «Avere domicilio sull’isola di Manhattan è una cosa da confessare con imbarazzo e vergogna. Il newyorkese appartiene a una comunità governata dalla feccia più bassa di qualsiasi città della cristianità occidentale».

«Gli oltre otto milioni di abitanti di New York City meritano di meglio» di un sindaco, Eric Adams, «che ha riempito il municipio con i suoi compari e le sue assunzioni clientelari» e che ora è stato incriminato, gli avrebbe fatto eco nel 2024 la giornalista del New York Times, Mara Gay.

Capi d’imputazione, questi, minuziosamente dettagliati dalla procura federale di Manhattan e che includerebbero anche il reato di avere ricevuto dal governo turco vari benefit e finanziamenti in cambio dell’autorizzazione a procedere all’apertura di un edificio della diplomazia di Ankara senza passare attraverso le necessarie verifiche di sicurezza.

La maledizione della Grande Mela

È il primo sindaco in carica nella storia della città a essere incriminato, Adams. Ma di certo non il primo a fronteggiare pesanti scandali.

La storia di New York, della città e dello Stato, come quella del vicino New Jersey è scandita infatti da scandali politici nei quali quasi sempre la matrice sono stati la corruzione, l’estorsione e il sesso (o una qualche combinazione dei tre). Nell’ultimo secolo, tra i sindaci della Grande Mela forse solo il leggendario repubblicano progressista Fiorello La Guardia non ne fu sfiorato. Il suo diretto predecessore, Jimmy Walker, fu costretto a dimettersi nel 1932. Nel 1950, l’amministrazione Truman dovette “trasferire” in tutta fretta a guidare l’ambasciata statunitense in Messico il sindaco William O’Dwyer per salvarlo dall’ennesimo caso di tangenti che coinvolgeva la polizia locale. Nel 1986, un altro celebre sindaco, Ed Koch, vide traballare la sua posizione in conseguenza di una vicenda di estorsioni che coinvolgeva diverse figure a lui vicine, incluso il potente presidente del Borough del Queens, Donald Manes, che si suicidò infilandosi un coltello da cucina nel cuore (tutti – Walker, O’Dwyer, Koch e Manes – erano democratici).

Gli scandali segnano la storia della politica e delle democrazie. Ma c’è forse qualcosa di particolare, nel caso di New York e dell’America contemporanea, non fosse altro per il posto che essi occupano nell’immaginario di molti di noi. New York è città-mondo come nessun’altra. Ed è ovviamente simbolo e per certi aspetti sublimazione dell’America e delle sue contraddizioni. Come sa bene chi vi ha vissuto, è però anche provincia: nella sua auto referenzialità e nel suo essere strutturata in piccole comunità chiuse e solidali, fondate su reti di relazioni, scambi e favori.

Ed è a queste tre dimensioni che ci dobbiamo affidare per meglio capire sia lo specifico di questo affaire Adams sia il suo più ampio significato. Gli episodi contestati al sindaco e a vari membri del suo entourage hanno infatti una dimensione specificamente newyorchese, una molto americana e una, infine, decisamente globale.

I flussi di denaro

Di New York abbiamo tutte le stimmate classiche della sua torbida storia, a partire dai contributi illegali alla campagna elettorale da parte d’imprenditori alla ricerca di entrature nell’amministrazione municipale. Flussi di denaro funzionali, si presume, a ottenere agevolazioni e vantaggi in quel settore centrale dell’economia newyorchese – l’immobiliare – che da sempre rappresenta il crocevia corruttivo primario tra pubblico e privato.

Dell’America, abbiamo le porte sempre più girevoli e deregolamentate di questi contesti pubblici e privati. Con costi della politica che levitano incessantemente e regole assenti o non applicate, gli spazi per la corruzione paiono però essersi moltiplicati.

Ovvero paiono essere saltati paletti e confini da sempre opachi, come evidenziano conflitti d’interessi tanto palesi quanto, spesso, non punibili. Solo negli ultimi anni abbiamo avuto la storiaccia di Hunter Biden, lobbista di una società dell’energia ucraina senza competenza alcuna se non, sulla carta, quella delle entrature nell’amministrazione di cui il padre era vicepresidente.

O quella meno nota del Segretario della Difesa di Biden, Lloyd Austin, transitato direttamente dal Consiglio di amministrazione di numerose aziende a quel Pentagono da cui queste ricevono cospicue commissioni. O quella, tanto simile al caso di Adams, del giudice conservatore della Corte Suprema Clarence Thomas, che in 20 anni ha ricevuto da vari imprenditori doni e lussuosi viaggi per un valore accertato di diversi milioni di dollari.

O quelle ancor più eclatanti della famiglia Trump, con la figlia Ivanka – consigliera speciale del padre-presidente – che otteneva dalla Cina trattamento preferenziale e accelerato nella registrazione di più di quaranta marchi commerciali. O, infine, del marito Jared Kushner, genero e anch’egli consigliere speciale di Trump, responsabile per il delicato dossier mediorientale che a mandato concluso creava il suo fondo equity con un capitale di circa 2 miliardi di dollari quasi interamente finanziato dal fondo sovrano saudita.

E questo ci porta al terzo e ultimo cerchio: quello globale. Centrali, nell’incriminazione di Adams, sono i finanziamenti e i favori che avrebbe avuto dal governo turco. Solo un paio di mesi fa vi sono state la condanna e le dimissioni del senatore democratico del New Jersey, Bob Menendez, per una serie di episodi di corruzione che includevano anche pagamenti dall’Egitto. I due casi ci mostrano quanto permeabili siano gli Usa a penetrazioni di attori esteri, che sfruttano le maglie larghe di un sistema fattosi vieppiù poroso e vulnerabile.

Di nuovo, la storia ci offre un ricco campionario di precedenti a cui attingere. E però i casi di Adams, Menendez, come quelli di Ivanka Trump, Jared Kushner o Hunter Biden evidenziano un’ulteriore fragilità di una democrazia, quella americana, che collocandosi al centro dei processi d’integrazione globale contemporanea è ora ancor più esposta a questo tipo d’ingerenze e alla corruzione che esse alimentano.

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