- La segretaria della Spd, Saskia Esken, dà come prima collega europea la sua benedizione a Elly Schlein: può essere «portatrice di speranza per il Pd, un partito che ne ha molto bisogno dopo le ultime elezioni».
- «Penso che dopo alcuni decenni segnati dal neoliberismo oggi, per quanto riguarda le esigenze di politica e società civile, ci troviamo in un decennio socialdemocratico, un decennio che rende necessaria la politica socialdemocratica». Insomma, è tempo di sinistra.
- «Dobbiamo continuare a essere pronti a farlo e risolvere la domanda su come gestire il diverso peso del fenomeno sui paesi sulla frontiera esterna e quelli che non ne hanno».
Con Elly Schlein Saskia Esken ha in comune la radicalità e il fatto che «non l’hanno vista arrivare». Rivale del cancelliere Olaf Scholz nella corsa alla segreteria della Spd nel 2019, la segretaria - confermata nel 2021 alla guida dei socialdemocratici – guida l’ala sinistra del partito e si confronta quotidianamente con un cancelliere tutt’altro che radicale. Le sue priorità sono molto simili a quelle immaginate per il suo Pd da Schlein: transizione energetica, un approccio costruttivo al fenomeno dell’immigrazione e un’impostazione saldamente di sinistra.
Oggi ha incontrato la neosegretaria. Che idea si è fatta di lei e cosa si aspetta dalla sua segreteria?
Credo che Elly Schlein possa essere portatrice di speranza per il Pd, un partito che ne ha molto bisogno dopo le ultime elezioni. Questa speranza può arrivare da una una figura sorprendente, che ha portato alle urne anche persone che non sono iscritte al partito ma lo guardano con simpatia e se ne sentono parte. Sono legati dalla speranza che dalla segreteria Schlein possa uscire un Pd unito e saldamente posizionato a sinistra, nella socialdemocrazia. Auguro al nostro partito gemello grande successo proprio lungo questa strada.
Tornando al quadro politico italiano in generale, come valuta la situazione?
Credo che la democrazia in un certo senso è continuamente a rischio e va sempre rafforzata dalle azioni delle persone democratiche. Dobbiamo stare attenti agli sviluppi. Abbiamo appena assistito al tentativo di svuotare lo stato di diritto da parte di un governo democraticamente eletto in Israele. In quel contesto, abbiamo visto che una società democratica è pronta a opporsi chiaramente e far sapere che così non va, e che lo stato di diritto è degno di una protezione che non siamo pronti a mettere da parte.
Secondo lei c’è il rischio che la democrazia italiana si sviluppi in direzione illiberale così come è successo a Ungheria e Polonia? Nei primi mesi la destra ha dato prova di essere pronta a intervenire con il pugno di ferro sui diritti e nelle politiche migratorie, ma anche nei confronti della libertà di stampa.
La speranza che le persone si mettano in gioco per la democrazia e per la sua protezione esiste in tutti i paesi democratici, e anche in quelli che stanno ancora conquistando la democrazia. Ma è un fatto grave se la libertà d’espressione e la libertà di stampa vengono limitate, se i diritti di gruppi minoritari vengono ridotti. I diritti dei gruppi minoritari sono diritti umani e dobbiamo difenderli in ogni momento. Ho molta fiducia nel fatto che la società civile italiana abbia la forza di difendersi nel caso in cui la sua democrazia venga danneggiata.
L’anno prossimo si vota per il parlamento europeo. Quanto è pericoloso lo scenario in cui il Ppe decida di allearsi con le destre?
Il Ppe deve avere ben chiaro – e gli va ricordato – che una collaborazione con le forze di estrema destra in Europa non può essere accettata e che ci faremo sentire se dovessero essere fatti tentativi di questo genere. Dobbiamo poter essere sicuri del fatto che forze democratiche, come per esempio la Cdu in Germania, non si giochino la fiducia che accordano loro gli elettori collaborando con forze politiche di quel genere.
Come valuta la possibilità che ci sia un’alleanza tra Pse e popolari?
Nel parlamento europeo le maggioranze vanno cercate e trovate di volta in volta, a seconda del tema. Ed è lo stesso nel Consiglio europeo, anche in quel caso non esistono coalizioni dei paesi forti contro i piccoli, ma si lavora sulle convinzioni e si portano avanti progetti comuni. È un buon modo di lavorare, dovremmo continuare a utilizzarlo. Spero molto che le esperienze che la popolazione tedesca ha avuto con un governo a guida socialdemocratica e quelle che hanno potuto avere gli elettori in altri paesi a guida socialdemocratica rendano evidente che siamo per l’unità di un’Europa politicamente e non soltanto economicamente forte. Ci impegneremo insieme perché i diritti dei lavoratori in Europa giochino un ruolo sempre più importante, in modo da poter sperare in buone performance per i nostri partiti gemelli nel resto d’Europa.
Non sono molti i partiti della famiglia socialista attualmente al potere in Europa. Una posizione complessa per organizzare la campagna elettorale per le Europee.
Penso che dopo alcuni decenni segnati dal neoliberismo oggi, per quanto riguarda le esigenze di politica e società civile, ci troviamo in un decennio socialdemocratico, un decennio che rende necessaria la politica socialdemocratica. È un periodo che mostra, in Germania, ma anche in altri paesi europei, che l’approccio socialdemocratico riesce a garantire la tenuta delle società, la prosperità sociale e macroeconomica, e che possiamo convincere molti elettori di questo fatto. Non è una situazione così complessa, almeno non in tutti i paesi, ma credo che ci siano molti esempi di successo: l’abbiamo percepito al congresso dei partiti socialisti d’Europa, che si è riunito a Berlino. La socialdemocrazia ha la forza di proporre in situazioni di crisi le politiche necessarie a uscirne. Le persone lo percepiscono, quindi ho grande fiducia in un buon risultato.
Nelle discussioni interne si è già pensato al nome di uno Spitzenkandidat? Sanna Marin sarebbe disponibile...
La questione della candidatura emerge qua e là, ma non abbiamo ancora trovato una risposta.
Il cancelliere Scholz e la ministra degli Esteri Baerbock hanno segnalato un’apertura su una soluzione europea per gestire la questione dei migranti. Si aspetta una svolta nel dialogo europeo, considerato che resta comunque l’ostilità di paesi come Ungheria e Polonia a contribuire a un progetto comune?
Resto fiduciosa, anche se devo ammettere che sono tanti anni che cerchiamo una soluzione europea che si collochi in un sistema d’asilo solidale europeo. Abbiamo un obbligo umanitario a sostenere persone che sono in fuga da zone di guerra e che vogliono salvarsi da una persecuzione, ma anche di garantire la loro sicurezza. Dobbiamo continuare a essere pronti a farlo e risolvere la domanda su come gestire il diverso peso del fenomeno sui paesi sulla frontiera esterna e quelli che non ne hanno, quelli economicamente e socialmente forti e quelli che hanno più bisogno di sostegno. D’altra parte in molti paesi europei, nello specifico in Germania, lo sviluppo demografico rende quasi necessaria l’immigrazione.
Se continuiamo ad accogliere person che sono attive non solo nella produzione di beni, ma anche nei ruoli di cura o in altri impieghi utili alla società – tutti quegli ambiti in cui abbiamo bisogno di migranti e che dobbiamo organizzare bene – dobbiamo risolvere questo paradosso, per sviluppare al meglio il ruolo dell’Unione europea in termini di obblighi umanitari.
Come si traduce in pratica questo approccio?
Possiamo e dobbiamo offrire alle persone che fuggono dalle zone di guerra non solo protezione e asilo ma anche accesso al nostro mercato del lavoro, all’istruzione e all’integrazione, in modo che diventino membri della nostra società per tutto il tempo che lo desiderano. Sicuramente la possibilità di ottenere una formazione professionale è interessante per i giovani, a prescindere se continueranno a fare quel mestiere per il resto della vita da noi o nel loro paese di provenienza. I paesi di provenienza che si trovano in guerra civile, che vengono distrutti o contro cui è in corso una guerra hanno bisogno di giovani che ricostruiscano i paesi applicando la formazione che hanno ricevuto. Se riusciamo a vedere l’immigrazione come occasione, è un contesto in cui possiamo tutti vincere.
Su pochi temi il governo italiano e quello tedesco si sono trovati così d’accordo come sull’opposizione allo stop ai motori endotermici al 2035 previsto dall’Unione europea. Non è una contraddizione che un’alleanza come la coalizione Semaforo sia contro questo divieto?
Sono dell’idea che dobbiamo portare a casa la transizione alla mobilità sostenibile: soprattutto per quanto riguarda i privati, portandoli verso l’elettrico. Chiaramente quest’intenzione significa anche migliorare i mezzi pubblici, in modo che le persone possano spostarsi senza macchine, anche nelle zone rurali.
Anche il mio collegio è in una zona rurale e so che è impossibile lavorare senza una macchina in quel contesto. Io guido una macchina elettrica, ma sono cosciente di essere una privilegiata e potermelo permettere. Da socialdemocratica devo ammettere che ci sono tante persone che non si possono permettere questa transizione, e che dobbiamo sostenerla economicamente.
Infatti, abbiamo dato grandi incentivi negli ultimi anni. Ora sono un po’ calati ma restano forti. Ma l’idea che i carburanti generati con energie rinnovabili, i cosiddetti efuels (quelli per cui il ministro delle Finanze si è battuto in Europa, ndr), possano avere un ruolo rilevante nella mobilità privata al di là dei consumi di una piccola fetta di persone privilegiate, mi sembra piuttosto stravagante.
All’orizzonte c’è anche la ridiscussione del patto di stabilità europeo. Le premesse non sono buone, il ministro delle Finanze Christian Lindner ha replicato con poca flessibilità alla richiesta di regole meno rigide sui conti avanzata dal governo Meloni. Che aspetto può avere un compromesso in un contesto simile?
Tutto dipende dal fatto che le misure di sostegno economico che sono legate a situazioni di crisi permettano strade diverse per gli stati membri, visto che anche le condizioni di vita nei tanti paesi dell’unione sono differenti. Ma è evidente che dobbiamo insistere sul fatto che i mezzi vengano impiegati in maniera trasparente e per finanziare gli obiettivi individuati all’origine.
È quella la linea rossa dove finisce la flessibilità, visto che i fondi finanziati dalle tasse, che vengono impiegati in quel contesto e redistribuiti, e anche i soldi ottenuti con i prestiti sono limitati. Dobbiamo collegarli a degli obiettivi precisi, altrimenti la questione ci sfugge di mano.
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