- Se oggi è presto per trarre conclusioni circa la fine dell’èra del carro armato, è tuttavia possibile sottolineare l’errore russo, derivato da un eccesso di fiducia nelle proprie truppe corazzate e nella propria capacità di fuoco.
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Al tempo stesso, chi in occidente esulta per l’efficacia dei nuovi sistemi d’arma, dimentica una lezione fondamentale di tutte le guerre dell’èra contemporanea. Le guerre evolvono, i quadri politici mutano, e le armi – soprattutto quelle più versatili – seguono una propria dinamica di diffusione, di passaggio di mano in mano, di gruppo in gruppo.
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Esse sono tanto strumenti quanto fattori determinanti delle volontà politiche. Uno sguardo ai conflitti accesi lungo i confini dell’Europa, dalla Siria alla Libia, ci dovrebbe ammonire circa i rischi e gli scenari che si prefigurano.2
«I prossimi giorni, le prossime settimane saranno decisive», sentiamo ripetere da giorni e settimane. Dopo aver abortito l’offensiva a nord, la battaglia per l’est è stata annunciata come tipica guerra di manovra, con il carro armato come protagonista. Il Donbass è un territorio «un po’ come il Kansas», hanno precisato le fonti statunitensi.
Alla grande parata del Giorno della vittoria sulla Piazza Rossa sono sfilati i gloriosi carri T-34, colonna vertebrale dell’immane sforzo sovietico contro l’occupante nazista.
L’avvento del carro armato fra le trincee e le mitragliatrici della Prima guerra mondiale segnò una rivoluzione, rinfocolando le aspettative circa la possibilità di successo dell’offensiva delle truppe di terra. L’uso combinato di tank e aviazione, associato alle comunicazioni radio, fu il tratto distintivo del ripensamento strategico che guidò il revanscismo dei comandi nazisti nella guerra-lampo sul fronte occidentale, e poi spinse l’offensiva su quello orientale.
Le vulnerabilità dei carri russi
E però, complici il disgelo, la pioggia e il fango, i cingolati russi oggi avanzano lentamente e a prezzo assai caro, mostrandosi vulnerabili alle imboscate e restando lontani dal traguardo di qualsiasi celebrazione di vittoria. Hanno strappato 20-30 chilometri, conquistando in modo tutt’altro che irreversibile una porzione di territorio che – ci informano scrupolosamente i media ucraini – è grande «come il Connecticut».
Succede che sin dal primo giorno le versatili armi anti-carro che l’occidente ha generosamente rovesciato sulla difesa dall’aggressione hanno avuto effetto, magnificando l’attrito incontrato dai russi. Mine, missili Javelin e droni: non solo i Bayraktar turchi, ma anche i piccoli, letali Switchblade e Phoenix ghost, nonché altri esplosivi di èra sovietica che gli ucraini hanno modificato così da poterli sganciare dall’alto, aggirando le protezioni dei mezzi corazzati.
Nella prima fase di guerra per ogni tank russo distrutto se ne contava un altro guasto, impantanato o abbandonato, chiaro indice di demotivazione dei carristi nell’affrontare il combattimento. E così siamo arrivati a circa duecento carri armati catturati, tanto che fra le truppe ucraine ha preso a circolare la gag che Mosca sia diventato il primo fornitore di armi alla resistenza ai russi.
A fare da controcanto alla grande parata moscovita del 9 maggio, la 93ma brigata meccanizzata ucraina ha inscenato una piccola sfilata dei propri trofei, i carri T-80 catturati. Dal fronte le immagini delle carcasse di corazza che brucia invadono i social media, diventano tròpo della disfatta.
Se le stime fornite dagli ucraini sono accurate, i russi avrebbero perso fino a oggi 1.150 carri, un numero equivalente a quelli che i tedeschi lasciarono sul fronte orientale nell’estate del 1943. Limitandosi alle perdite di cui c’è evidenza documentale (foto e video censiti dalla consultancy Oryx), a fronte di 155 carri persi dagli ucraini, l’offensiva russa ha perso finora 643 carri armati (di cui circa la metà catturati, danneggiati o abbandonati).
Col tempo la leadership russa ha acquisito consapevolezza delle proprie difficoltà tattiche e di comando, soprattutto in materia di logistica e approvvigionamenti, disponibilità di soldati e vulnerabilità dei mezzi. Del capo di stato maggiore, il Generale Gerasimov, non s’è vista traccia alla grande parata di Mosca, prova plausibile del suo clamoroso ferimento nel momento in cui, altrettanto clamorosamente, si è recato al quartier generale delle operazioni sul fronte del Donbass.
Sul fronte di Kharkiv, a ridosso del proprio confine, i russi hanno subìto una controffensiva che ha spinto l’artiglieria fuori dal raggio d’azione rispetto alla città. Sfruttando l’unico vero vantaggio risultato evidente fino a ora, ovvero la superiorità sul volume e sul controllo del fuoco, i comandi russi hanno fatto della distruzione della capacità difensiva ucraina il loro obiettivo, martellando pesantemente il fronte opposto, senza risparmio di colpi sul resto del paese, così da tenere inchiodate sul posto e impossibilitate a portare rinforzi nel Donbass.
Sul campo, i combattenti ucraini ribadiscono ai reporter occidentali che stanno combattendo un nemico che usa tattiche sovietiche, «obsolete già trent’anni fa», e non si cura nemmeno dei propri morti, mentre loro studiano «l’Afghanistan e Israele».
Guerra e tecnologia
Il marchio della propaganda, nel definire il pensiero del nemico obsoleto, è più che tangibile. Tuttavia, è un fatto che mentre Mosca si premura di organizzare la celebrazione della Grande guerra patriottica fin dentro a Mariupol, nelle viscere d’acciaio dell’Azovstal gli asserragliati del battaglione Azov convocano nientemeno che una conferenza stampa aperta a chiunque. Possono farlo perché la rete Starlink funziona senza problemi, sostanzialmente pagata (milioni di dollari secondo Technology 202) dal governo degli Stati Uniti attraverso SpaceX di Elon Mask: equipaggiamento satellitare, migliaia di terminali, trasporto e ore di lavoro per tenere a bada gli hacker del Cremlino.
A fronte di questi sviluppi si è riacceso l’ampio dibattito attorno al rapporto fra guerra e tecnologia, e dunque sulla “fine del carro armato”. Possiamo dunque dire che l’èra del carro armato, le cui sagome stile-Risiko ancora campeggiano sulle mappe in uso nei nostri talk show, stia volgendo al termine, come è finita l’epoca della cavalleria e quella della battaglia navale?
Esempi storici
Prendiamo la guerra arabo-israeliana del 1967 quale culmine della centralità del carro armato nel definire la guerra, l’evento che ne esaltò il ruolo-chiave nel decidere le sorti del conflitto contro un nemico numericamente preponderante, facendone il fulcro di ogni esercito che si rispetti. Già pochi anni dopo, nella guerra dello Yom Kippur del 1973, l’utilizzo di nuovi missili controcarro (come Sagger e Atgm, missili terra-aria portabili) indusse a un ripensamento circa la necessità di protezioni e accorgimenti tattici. Erano disponibili armi piuttosto economiche, se rapportate al costo di un tank, e questo comprometteva l’utilità delle truppe corazzate, soprattutto in ambiente urbano.
La prima guerra del Golfo ha riportato al centro dell’attenzione la superiorità tecnologica dei carri occidentali, rispetto a quelli iracheni di fabbricazione sovietica. Dopo un mese di martellamento aereo il Kuwait viene liberato in un centinaio di ore, con un’avanzata che evita le città.
La seconda guerra del Libano (2006) vede però l’arrivo di nuovi Atgm a guida laser (Kornet), capaci di colpire un carro da 5km di distanza e di perforare qualsiasi corazza. La soluzione impiegata da Israele fu ancora una volta il miglioramento delle combinazioni tattiche con l’aviazione e lo sviluppo di un sistema di protezione radar (Trophy) capace di abbattere il missile in arrivo e comprometterne il punto di partenza.
Le armi di Kiev
In Ucraina abbiamo visto i carri russi trasportare Atgm sul tetto, in rudimentali casse di legno, legati con la corda come si farebbe sul portapacchi della macchina. I Javelin in uso alle truppe ucraine rappresentano l’ultima generazione delle armi anti-carro, un ulteriore sviluppo verso un’arma poco costosa, facile da usare da manipoli di fanteria leggera, capace di colpire con efficacia i tank sui lati meno protetti.
Gli ucraini sono addestrati e assistiti dall’intelligence e dai consiglieri occidentali. Decapitati di una dozzina di generali, i russi stanno dimostrando scarse capacità nell’azione combinata e nella manovra, oltre a non avere risorse per poter ammassare le truppe richieste per un’offensiva efficace. Soprattutto, Mosca sta perdendo sul campo di battaglia elettromagnetico, quello delle intercettazioni del disturbo dei segnali gps, radar, radio e digitali. I militari si sono spesso trovati ciechi: obbligati a usare i cellulari sulle reti ucraine, hanno così rivelato le proprie posizioni. Gli ucraini sono addestrati in questo campo sin dal 2015, per esempio nel campo di Yavoriv (Lviv), bombardato dai russi a metà marzo.
Rischi e scenari
A chi fece presente loro l’opportunità di prendere in considerazione le opinioni del papa attorno alla spartizione dell’Europa durante la Conferenza di Yalta, pare Stalin rispose chiedendo sarcasticamente quante divisioni avesse costui. Se oggi è presto per trarre conclusioni circa la fine dell’èra del carro armato (“le prossime settimane saranno decisive”), è tuttavia possibile sottolineare l’errore russo, derivato da un eccesso di fiducia nelle proprie truppe corazzate e nella propria capacità di fuoco.
Al tempo stesso, chi in occidente esulta per l’efficacia dei nuovi sistemi d’arma, dimentica una lezione fondamentale di tutte le guerre dell’èra contemporanea. Le guerre evolvono, i quadri politici mutano, e le armi – soprattutto quelle più versatili – seguono una propria dinamica di diffusione, di passaggio di mano in mano, di gruppo in gruppo. Esse sono tanto strumenti quanto fattori determinanti delle volontà politiche.
Uno sguardo ai conflitti accesi lungo i confini dell’Europa, dalla Siria alla Libia, ci dovrebbe ammonire circa i rischi e gli scenari che si prefigurano. Dal Mali al Kosovo, i liberatori di oggi verranno guardati con crescente insofferenza domani.
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