La “mobilitazione parziale” russa, sintomo della debolezza di Putin, aumenterebbe i rischi per la sicurezza del paese dove negli ultimi giorni la presenza russa è raddopiata
Il quotidiano finlandese Helsingin Sanomat annuncia che il governo finlandese guidato da Sanna Marin nella notte tra il 29 e il 30 settembre 2022 chiuderà le frontiere ai “turisti russi”.
La decisione arriva dopo che nei giorni precedenti un gran numero di cittadini russi è entrato in Finlandia a seguito della mobilitazione imposta da Mosca per sostenere lo sforzo bellico in Ucraina. Secondo le stime il numero di russi nel paese è raddoppiata.
Le dichiarazioni di Sanna Marin e la mobilitazione in Russia
«Il turismo e i viaggi russi devono essere fermati, compreso il transito attraverso la Finlandia», ha dichiarato la prima ministra, Sanna Marin. Il rischio per la sicurezza, secondo il governo, dovrebbe essere rivalutato proprio in relazione all’annuncio del 21 settembre 2022 della “mobilitazione parziale” in Russia.
Vladimir Putin ha disposto il divieto di espatrio a tutti gli uomini di età compresa tra i 18 e i 65 anni destinati ad andare a combattere in Ucraina. La chiamata alle armi, da quanto emerso, dovrebbe riguardare solo ex militari che saranno comunque sottoposti a un periodo di addestramento.
Gustav Gressel, senior policy fellow presso l’European Council on Foreign Relations, ha dichiarato che i vertici della Difesa «stanno reclutando nelle campagne e reclutando tra le minoranze, arruolandole con forza, cercando di risparmiare Mosca, San Pietroburgo e i centri urbani più grandi. Non solo perché queste sono le élite e i loro stessi figli, ma anche perché sono, nella mente di Putin, persone più preziose di altre. Quindi la sensazione che saranno usati tutti come carne da cannone è probabilmente corretta».
I segni della debolezza di Putin
Nella composizione del quadro sulla salute della Federazione russa occorre anche prendere in considerazione la scelta di Putin di indire referendum di annessione alla Russia nelle regioni ucraine del Donbass, del Lugansk, di Kherson e di Zaporizhzhia.
I quesiti referendari hanno dato esito positivo, ma Usa, Unione europea e Cina non sono disposti a ritenerli validi perché, dicono, violano i principi di sovranità territoriale sanciti dalla Carta dell’Onu. Il 30 settembre, ha annunciato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, «si terrà una cerimonia per firmare gli accordi sull’ingresso di nuovi territori nella Federazione Russa».
Secondo l’analista geopolitico Filippo Del Monte, «sia la mobilitazione parziale che il referendum sono segnali di debolezza per Putin, ma sono anche espressione della volontà dei circoli governativi moscoviti di arrivare a chiudere in fretta la partita ucraina, fermando militarmente e politicamente la controffensiva di Kiev».
Le prossime mosse dell’Ue
Intanto, mercoledì 28 settembre la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen ha annunciato di aver sottoposto al Consiglio un nuovo pacchetto di sanzioni alla Russia, il sesto, i cui effetti dovrebbero colpire anche quelle regioni ucraine nelle quali si sono svolti i referendum. Tra le misure previste nel pacchetto, anche il tetto al prezzo del petrolio.
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