- La giornalista americana, dimissionaria dal New York Times nell’estate 2020 per «l’ostilità di alcuni redattori», ha fondato un proprio portale, The Free Press, assumendo dieci persone per combattere «la narrazione dominante» dei media tradizionali.
- Weiss, nata giornalisticamente come progressista, è sempre più diventata l’icona dei conservatori americani, specie dopo la partecipazione alla stesura dei cosiddetti “Twitter Files”.
- È ormai evidente come Weiss, nonostante la sua blanda critica del blocco temporaneo inflitto ai giornalisti che su Twitter criticavano alcune scelte di Elon Musk, ormai abbia scelto di essere la beniamina della galassia conservatrice americana.
Difficile incasellare una personalità complessa come quella della giornalista Bari Weiss nella linea editoriale di un quotidiano tradizionale. Anche per quello ha lanciato The Free Press, una media company indipendente creata partendo dalla sua newsletter personale chiamata Commons Sense, aperta dopo essersi dimessa dal New York Times nel luglio 2020 per far sentire la propria voce contro «la cancel culture» e difendere «la libertà di parola» contro gli «eccessi della wokeness».
The Free Press avrebbe una redazione vera e propria composta da dieci persone, formata per soddisfare la richiesta di notizie e approfondimenti che escano dalla logica tradizionale dei media, anticipando l’uscita della pubblicazione di quattro giorni per sfruttare la sua partecipazione alla stesura dei “Twitter Files”, una serie di thread pubblicati su Twitter dedicati alla precedente gestione del social network, voluti fortemente dal nuovo capo della piattaforma Elon Musk.
La strada fatta
La formazione di Weiss come giornalista è stata molto classica. Nata nel 1984, studia per un triennio alla Columbia, dove fonda The Current, un periodico di attualità e cultura e vicende riguardanti la comunità ebraica americana.
Da quella posizione riesce comunque ad avere il tempo per fondare insieme ad altri studenti Columbians for Academic Freedoms, un’associazione che denuncia l’eccessivo antisionismo di alcuni docenti. Grazie a una borsa di studio, nel 2007 fa il suo ingresso per la prima volta nella redazione del Wall Street Journal.
Passa per un’esperienza in Israele nella redazione di Haaretz e per un paio di anni, dal 2011 al 2013, è una delle principali firme politiche di Tablet Magazine, un periodico progressista sempre facente parte della galassia dei media ebraici.
Nel 2013 torna dove aveva cominciato la sua esperienza nei media maggiori, in quel Wall Street Journal che nel frattempo è divenuta una delle testate più fortemente critiche delle politiche economiche di Barack Obama. Lì si occupa sia della parte dedicata agli editoriali sia delle recensioni dei libri.
La salita al Times
Nel 2017 segue il suo ex capo e mentore Bret Stephens al New York Times. Per un altro giornalista sarebbe stato il coronamento di una carriera fulminante, entrare come editorialista in quello che viene comunemente considerato il più autorevole quotidiano americano, la pubblicazione che sembra settare gli standard giornalisti a livello mondiale, sarebbe stato un traguardo.
Non per lei, il cui ingresso è fortemente voluto dall’allora capo della sezione delle opinioni James Bennet per espandere il range ideologico delle opinioni: alla redazione del Times, in quel periodo di inizio 2017, è ancora vivo lo shock per non aver saputo prevedere la crescita del trumpismo.
Per questo l’ingresso di Weiss e di Stephens viene salutato come un’iniezione di freschezza per meglio capire quel pezzo di paese che aveva preferito l’inesperto personaggio televisivo Donald Trump rispetto a una politica preparata e dal lungo curriculum come Hillary Clinton.
E già dal primo anno Bari Weiss non passa certo sotto silenzio, criticando la prima manifestazione avvenuta sotto la nuova presidenza Trump, la Women’s March del 21 gennaio 2017. Per Weiss alcune organizzatrici avevano idee «da brividi» riguardo all’antisemitismo, rendendo così incoerente gli obiettivi della marcia contro «la retorica dell’odio» trumpiana.
Non solo: in altri suoi editoriali ha messo nel mirino l’intersezionalità, quel particolare sistema di valori promosso da alcuni segmenti del progressismo americano che divide l’umanità per «livello di oppressione»: facendo una sintesi brutale, vale a dire che se un individuo è parte di certe categorie, storicamente vessate e svantaggiate, fa parte degli oppressi.
Invece se una persona discende da famiglia ricca o ha un background familiare assimilabile a chi in passato opprimeva una minoranza etnica, entra nel campo dei privilegiati. Weiss descriveva questa modalità di pensiero come un «sistema castale» dove il destino dei singoli è «predeterminato».
Una semplificazione forse eccessiva ma che comunque ravvivò il dibattito su una questione che fino a quel momento era rimasto nelle aule universitarie e magari in qualche magazine d’orientamento libertario come Reason. In un altro pezzo criticò il presunto illiberalismo della sinistra americana con un titolo eloquente “Siamo tutti fascisti adesso”.
A far spezzare il rapporto fiduciario tra Weiss e il New York Times però non è stato un editoriale scritto da lei, bensì quello pubblicato dal senatore repubblicano dell’Arkansas Tom Cotton il 7 luglio 2020. Il contenuto del pezzo, assai discutibile, di fatto chiedeva un intervento dell’esercito americano per reprimere e fermare le manifestazioni violente del movimento Black Lives Matter scaturite all’indomani della morte di George Floyd a Minneapolis nel marzo 2020.
L’intervento scatenò un’ondata d’indignazione, culminata con una richiesta di dimissioni destinata a James Bennet firmata da circa un migliaio di membri dello staff del giornale. Bennet si dimise e Bari Weiss descrisse la cosa come il frutto di una «strisciante guerra civile» all’interno del giornale tra i nuovi «social justice warriors» e chi invece, specie tra i redattori più anziani, avrebbe voluto difendere la libertà di parola.
Secondo alcuni, come la sua collega Taylor Lorentz, questa rappresentazione era riduttiva e insultante, oltreché tagliata con l’accetta. A quel punto, probabilmente, Bari Weiss aveva già deciso: con una lettera pubblicata sul suo sito personale il 14 luglio 2020 annunciò le sue dimissioni dal giornale.
Tra le motivazioni addotte, anche quella riguardante l’ambiente di lavoro «tossico». Quella rottura genera la Bari Weiss che conosciamo oggi: non più la «liberal critica con l’estrema sinistra» che nel novembre 2018, durante un’ospitata nella trasmissione satirica Real Time with Bill Maher, affermava che «alcuni ebrei americani hanno barattato i propri valori con la difesa di Israele da parte di Donald Trump» o che ad esempio criticava l’allora candidato alla Corte Suprema Brett Kavanaugh per essere «esploso di rabbia» durante le sue audizioni nel settembre 2018.
La nuova Weiss
Bari Weiss è molto cambiata. Difficile non vederlo, specie quando nel novembre 2021 tentò, per ora senza successo, di fondare una nuova università privata ad Austin, in Texas, descrivendola come «fieramente indipendente», anche se la quasi totalità dei docenti erano legati a doppio filo a think tank o strutture accademiche finanziate dal miliardario conservatore Charles Koch.
Risulta anche complicato non vedere un cambiamento in colei che è stata scelta personalmente da Elon Musk, insieme al progressista Matt Taibbi e al conservatore Michael Shellenberg, per indagare sulle decisioni prese dal vecchio management di Twitter nei confronti di argomenti controversi come la scelta di limitare la diffusione della storia legata al laptop di Hunter Biden, figlio del presidente Biden, o quella di bannare a vita Donald Trump in seguito agli eventi del 6 gennaio 2021, dove grazie a Twitter l’allora presidente incitò la folla nelle ore cruciali dell’assalto al Campidoglio. Per Weiss questa è stata una scelta «censoria».
La stessa Weiss che ha scelto mettersi in proprio creando Commons Sense, una newsletter sul portale Substack, con il quale ha fatto grossi numeri: 283mila iscritti a oggi, di cui una parte non rivelata paga un abbonamento di cinque dollari al mese e che in questi giorni si è trasformata in The Free Press, sponsorizzata anche nelle maggiori città americane con mezzi molto tradizionali come manifesti pubblicitari.
Non è stato rivelato chi ha finanziato questa ingente spesa, ma è ormai evidente come Weiss, nonostante la sua blanda critica del blocco temporaneo inflitto ai giornalisti che su Twitter criticavano alcune scelte di Elon Musk, ormai abbia scelto di essere la beniamina della galassia conservatrice americana incarnata dal governatore della Florida Ron DeSantis, con il quale ha in comune l’ostilità verso le restrizioni legate al Covid, ivi compresa la mascherina.
Anche se su altri temi, quali il matrimonio egualitario, hanno opinioni molto diverse (Weiss è sposata con la giornalista Nellie Bowles, anche lei dimessa dal New York Times), la parabola umana e professionale di Bari Weiss mostra come una parte del mondo liberal e progressista, ostile alla vena censoria e regolatrice presa da un parte del partito democratico americano, sia disposto a fare un pezzo di strada insieme con i conservatori repubblicani. Non sappiamo però se siano disposti a unire le forze fino alle presidenziali del 2024.
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