- Le cosiddette AI generative, gli automi del linguaggio, minacciano l’esistenza dei mestieri intellettuali che parevano irraggiungibili dal secolare e implacabile processo di automatizzazione dell’industria.
- Ecco dunque che gli sceneggiatori americani tentano d’imporre il principio che “gli scrittori sono umani”. Vale a dire che quando un testo non proviene da mano umana non può godere della protezione prevista dal copyright. In concreto è probabile che si sviluppino due situazioni: il potenziamento dei migliori o più adattabili fra gli sceneggiatori che useranno l’AI per il brain storming; la dilatazione oltre ogni misura dello User Generated Content.
- S’impone peraltro all’Europa in particolare, la necessità di allestire i propri sistemi di AI “intellettuali” per non dipendere, automaticamente, da quelle altrui.
L’industria nasce sostituendo gli umani con le macchine. Le prime a perdere il mestiere furono le filatrici e tessitrici casalinghe, seguite in breve da ogni tipo di mestiere perché il processo di automatizzazione ha continuato a montare su se stesso incorporando competenze e gesti d’ogni genere. Oggi è il turno, a quanto pare dei mestieri intellettuali incalzati e sostituiti delle AI generative, gli automi del linguaggio. Primi fra tutti a vedersi sul lastrico sono a migliaia i programmatori di computer, i redattori del marketing, i consulenti di viaggio, gli avvocati, gli illustratori di fumetti fino ad arrivare al culmine degli sceneggiatori che incorporano ogni tipo d’umanesimo per volgerlo a spettacolo.
Intelletto e macchina
È mai possibile, parecchi si domandano che attività mentali fra le più sofisticate siano replicate e sviluppate dalle macchine? E se questo può accadere, non sarà perché la mente è macchina in se stessa e dunque in tutto e per tutto replicabile? Calvino non aveva dubbi in proposito quando definiva il linguaggio semplicemente come “la più complicata e imprevedibile di tutte le sue – dell’Uomo - macchine” (Cibernetica e fantasmi, 1967). Il tema cattura ed accalora perché se tutto è macchinismo, svaporano il bagaglio spirituale, il di qua e l’al di là, la morale, la logica, l’estetica ed ogni postulato di “valore”.
Del mestiere degli sceneggiatori e affini
In mezzo a tanto filosofico trambusto, gli sceneggiatori americani sono, fra i mestieri intellettuali, gli unici che dispongano di un’associazione, la Writers Guild, e che possano confrontarsi non come sparsi singoli, ma come categoria con le imprese che producono spettacoli. E tentano d’ottenere una gestione non catastrofica, ma regolata e graduale della integrazione delle AI nel loro mestiere e, implicitamente, anche in tutte le attività di carattere artistico che fino a ieri parevano immuni dagli automi.
Ecco dunque che nelle trattative per il rinnovo del contratto è comparso, nuovo di zecca, il capitolo “Professional Standards and Protection in the Employment of Writers” (Standard professionali e garanzie nella realizzazione di testi) in cui gli sceneggiatori mirano a imporre il principio che “gli scrittori sono umani” e che, di conseguenza, quando un testo non è di mano umana non può godere della protezione del copyright. Il ragionamento è chiaro: se chiedo alla AI di fornirmi un soggetto o una sceneggiatura, la macchina non crea, ma ricombina e quel che fa per me può farlo per chiunque altro le formuli analoga richiesta. Di conseguenza con i prodotti delle macchine gira a vuoto insieme con il copyright, lo stesso sfruttamento economico del prodotto.
L’intrattenimento a valle degli automi
Fissata la regola, se mai ci si arrivasse, possiamo immaginare che il mondo della scrittura a fini di spettacolo si porrebbe rispetto all’uso delle AI in modo multiforme.
Gli sceneggiatori più reattivi impareranno (anzi, stanno di certo già imparando) ad avvalersi del dialogo con l’AI per una sorta di brain storming da cui far scaturire mappe di trame, moventi e personaggi da cui trarre spunti o da buttare nel cestino. E può anche darsi che quest’andare e venire fra macchine e cervelli conduca alla scoperta di chiavi d’espressione finora inesplorate grazie all’incontro fra l’instancabile operosità della macchina e lo spunto creativo del cervello umano che rispetto al software s’alimenta anche sentimenti imperscrutabili e di pulsioni inconsce.
È tuttavia inevitabile che cresca anche, e tumultuosamente, lo spaccio di puri e sbrigativi prodotti di travestiti, a fini di copyright, da lavoro umano (non mancheranno certamente le teste di legno pronte alla bisogna). Cresceranno di conseguenza le imprese di produzione poste al crocevia di vari automatismi di spettacolo (voce, movimenti, trame, riprese ed editing automatico o blandamente assistito da un factotum umano) adatte a sfornare, senza troppi complimenti, schemi di intrattenimento a basso costo per nicchie minime, ma solide, di pubblico. Il porno, come sempre, farà da battistrada, ma altre ossessioni e manie si possono servire.
Al fondo, e questo forse è ciò che maggiormente conta, si stanno ampliando oltre misura gli spazi per il contenuto generato dagli utenti e per modelli di business sufficienti all’esistenza di imprese di comunicazione individuali moltiplicate rispetto ai pur numerosissimi influencer.
Urge l’automa intellettuale dell’Europa
Tanto più pare pericolosa vista dall’Europa l’inesistenza di capacità di calcolo e di Intelligenza Artificiale collocate fuori dalla dominanza di quelle cinesi e americane. Perché se il robot alla fin fine deve trionfare, sarà meglio avere il tuo piuttosto che pagare per essere ospite, e dunque prigioniero..
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