- L’Etiopia risponde che le lamentele sono ingiustificate: la diga aumentera’ l’ammontare di acqua diretta in Egitto perche’ diminuira’ l’evaporazione che attualmente avviene nel Lago Nasser, il grande bacino creato decenni fa a ridosso di Assuan e dove parcheggiano l’acqua prima che scorra lungo il Paese;
- In mezzo c’e; il Sudan, che ora sembra avvicinarsi all’Etiopia nella speranza di beneficiare della loro nuova diga;
- Anche Nerone aveva capito che controllare il Nilo, le sue acque e le sue sorgenti voleva dire controllare buona parte dell’Africa
Quando noi europei diciamo “il Nilo”, spesso pensiamo al fiume giusto ma alla mappa geografica sbagliata. Perché mentalmente partiamo dal delta che si affaccia sul Mare Nostrum (anche se quella è solo la coda, non la testa del gigante), poi lo vediamo passare attraverso il Cairo, se abbiamo fantasia ci spingiamo a sud lungo templi e piramidi per ben 920 kilometri (400 più del Po!) fino all’esotica e bellissima Assuan. E lì ci fermiamo.
Ma se la geografia fosse solo quella, non scriveremmo questo articolo e non ci sarebbe la guerra delle dighe tra Etiopia ed Egitto. Un conflitto basato sul controllo di quell’acqua che serve sia all’irrigazione agricola sia per le centrali elettriche, ma anche una battaglia per riscrivere la storia. Quando si arriva ad Assuan in fondo ai famosi, primi 920 chilometri, infatti, il problema anziché finire, inizia. Sulla mappa (ma attenzione: l’acqua fluisce da sud a nord, non da nord a sud) prima il Nilo entra nel Sudan e lo percorre pigramente irrigandone il deserto, poi nella capitale Khartoum si spacca in due rami, il Nilo blu e quello bianco, che si divaricano come un compasso. Il Nilo blu – che va verso (o meglio viene da) est cioè in Etiopia - è più corto, ma più importante perché fornisce a valle l’80 per cento di tutto ciò che fluisce a sud in Egitto.
Sorgenti misteriose
Il rubinetto, quindi, è in mani etiopi. L’Etiopia infatti considera il Nilo blu patrimonio nazionale sacro e intoccabile e ha appena finito di spendere 5 miliardi di dollari (tutto autofinanziato, zero prestiti) per costruire una diga – modestamente chiamata la Grande diga della rinascita etiope e costruita in buona parte dall’italiana Salini Impregilo – che può catturare 74 miliardi di metri cubi. Tutta acqua che prima sfociava nel Mediterraneo dopo aver irrigato i campi di milioni di fellahin (contadini) egiziani e dissetato il Cairo, ma che ora si ferma prima. Molto prima.
Sul lato del Nilo bianco, invece, il fiume che identifichiamo con i faraoni entra nel cuore dell’Africa delle savane, delle zebre e delle giraffe, e in Uganda si divide ulteriormente in un complicato quadro di tributari minori. Tanto che anche Wikipedia si arrende e confessa che non è ancora chiaro se le sorgenti del Nilo – quelle di cui andava alla ricerca il leggendario esploratore Richard Burton – siano il lago Vittoria, il fiume Rukarara o qualcosa d’altro. In ogni caso, sono 6.700 e passa chilometri di fiume. Il più lungo al mondo.
La diga che unisce
Di solito la guerra è una faccenda rumorosa. In questo caso scivola via cheta: è il suono quotidiano del Nilo che da quasi un anno sta riempiendo la diga etiope della Rinascita, che si potrebbe tradurre anche come Rivincita. Che l’Egitto l’abbia fatta da padrone per secoli considerando Sudan ed Etiopia terre sottosviluppate da colonizzare e dominare non è un segreto. Ma tra cinque anni la diga sarà piena e potrà produrre 6 gigawatt di energia. Per una nazione che da una parte ha ambizioni-socio simbolico-economiche almeno continentali (basta vedere per esempio il ben gestito successo commerciale e di immagine della loro compagnia di bandiera aerea), ma dall’altra ha il 65 per cento della popolazione senza accèsso all’elettricità, è una tentazione difficile da ignorare. Da cui il concetto di rivincita. E come ha osservato l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), la diga sembra essere l’unico argomento su cui tutti gli etiopi in questo momento concordano.
Sequestrare l’acqua
Dietro una carta geografica c’è sempre un po’ di storia. Infatti, quando necessario, l’Egitto rispolvera i trattati di epoca coloniale ancora in vigore che impedirebbero ai paesi upstream come Sudan, Uganda e Etiopia di sfruttare le acque del Nilo. «Non c’è alcun merito nell’essere una nazione a monte come l’Etiopia e nessun demerito a essere una nazione a valle come l’Egitto. Il Nilo è stato creato da Dio per tre popoli, non per uno solo. L’Etiopia ha molte altre risorse di acqua, noi solo questa. Con che diritto ce la vogliono sequestrare?», tuona il quotidiano egiziano Al Ahram.
L’Etiopia risponde che le lamentele sono ingiustificate: la diga da 5 miliardi aumenterà l’ammontare di acqua diretta in Egitto perché diminuirà l’evaporazione che attualmente avviene nel Lago Nasser, il grande bacino che gli egiziani hanno creato decenni fa a ridosso di Assuan, dove parcheggiano l’acqua prima che scorra lungo il paese.
Tra vertici falliti, dichiarioni belligeranti, tentativi inconcludenti da parte di Mosca e Washington di mediare, e accuse reciproche di disonestaà, il clima è ormai preoccupante.
Tra i due litiganti
Non sarebbe il primo conflitto causato dal grande fiume. Nel 1956 il presidente egiziano Nasser nazionalizzò il Canale di Suez con la giustificazione che l’Egitto doveva trovare una fonte di reddito per finanziare la costruzione della diga di Assuan, progetto indispensabile per un’altra Rinascita: quella egiziana. Prima di Nasser, infatti, le royalties del Canale finivano a Francia e Gran Bretagna. La diga di Assuan era a sua volta necessaria per accumulare riserve sufficienti da rendere il Nilo meno soggetto alla stagionalità delle piogge africane, a monte. Chi di diga ferisce, di diga perisce, verrebbe da dire. Tra i due colossi c’è un terzo incomodo, l’unico che non ha le risorse per imprigionare il Nilo: il Sudan. Questo gigantesco paese in bilico tra Africa e mondo arabo, da sempre rivale dell’Egitto ma da bastione islamico diffidente anche nei confronti dell’Etiopia copto-imperiale, sembra arrivato alla conclusione che se la diga non può essere fermata, almeno se ne possono condividere i benefici. Quali? L’accesso all’energia elettrica concesso dagli etiopi, o il freno alle inondazioni distruttive degli anni scorsi che la diga promette. Alla fine, quindi, per vari motivi l’Egitto è rimasto quasi isolato. E la neutralità americana sul tema ha recentemente incrinato le relazioni tra Washington e il Cairo.
Il destino del Nilo
A capo dell’Egitto c’è, come sappiamo, non un politico tradizionale, ma un generale. E i generali capiscono le carte geografiche, e a volte cercano di modificarne i confini, o almeno di proteggerli. Nessun osservatore esclude che, prima che la diga si riempia del tutto facendo sgorgare elettricità e assetando l’Egitto, Al Sisi sia pronto a mettere in campo il suo formidabile esercito. Difficile però accusarlo di essere l’unico a sognare espansionismo o egemonismo. In quello che è ancora un capitolo di storia romana poco conosciuto ma storicamente accertato, anche Nerone aveva capito che controllare il Nilo, le sue acque e le sue sorgenti voleva dire controllare buona parte dell’Africa. Così tra il 62 e il 67 prima di Cristo, partendo dalla lontana Roma alcuni centurioni risalirono il mitico Nilo (i romani che controllavano l’Egitto, e avevano esplorato anche il lago Chad e il fiume Niger, non si fermavano di fronte a nulla). Ne scrive Seneca. Poi ci fu una seconda spedizione, per esplorare il regno di Kush (la Nubia, territorio del Nilo blu). I romani forse si fermarono in quella che oggi si chiama Meroe, 200 chilometri a nord di Khartoum, terra di piramidi belle quanto quelle egizie. O forse andarono anche più a sud, verso l’Uganda. E forse questa spedizione spiega i sandali stile centurione, le spade da legionario e il colore rosso delle shuka (le coperte simili a quelle dei soldati romani) delle popolazioni che oggi si chiamano masai, tra Kenya e Tanzania, e che allora erano più a nord.
La certezza è che questo rubinetto del Nilo ha tubature lunghe che scendono nei recessi dei secoli scorsi. Per farlo funzionare bene, ed evitare allagamenti, occorre che qualcuno nei prossimi 4 anni trovi un bravo idraulico. Nel frattempo, come in tutti o conflitti moderni, i cyber soldati sono già al lavoro. Recentemente i siti governativi etiopi si sono popolati di strani fumetti che mostrano soldati egiziani mozzare le teste di schiavi neri, e tra teschi e geroglifici gli avvertimenti dicono: «se il nostro Nilo perde acqua, ricordatevi che arriva il Faraone».
© Riproduzione riservata
© Riproduzione riservata