- I porti in acque profonde e il terreno a poco prezzo fanno dell’Ucraina il granaio d’Europa e collocano il paese tra i maggiori esportatori di grano, mais e olio di girasole. Ma dal 24 febbraio 2022 l’agricoltura è moribonda
- Oltre al morso delle sanzioni Usa-Ue contro Mosca, l’impennata dei prezzi dell’energia ha aumentato i costi di produzione, trasporto e vendita al dettaglio degli alimentari
- Le Nazioni unite stimano che a causa della guerra 345 milioni di persone nel mondo soffrano di carenze di cibo e fame, più del doppio rispetto al 2019
Howard Graham Buffett, uomo d’affari americano, filantropo, fotografo, agricoltore e ambientalista – figlio dell’ultramiliardario Warren Buffett – è tra i grandi donors per l’Ucraina, con decine di milioni di dollari già elargiti. Non perché siano spesi in missili, armamenti e carri armati, ma per contribuire ad alleviare la crisi alimentare globale scoppiata con l’invasione russa.
Agricoltura moribonda
Le prime mosse Buffett le ha fatte proprio nel settore agricolo. I porti in acque profonde e il terreno a poco prezzo fanno dell’Ucraina il granaio d’Europa e collocano il paese tra i maggiori esportatori di grano, mais e olio di girasole. Kiev vende all’estero milioni di tonnellate di cereali all’anno grazie a un suolo che Buffett definisce «il migliore del mondo». Lo chiamano chernozem: una terra nera ricca di materia organica presente nel 65 per cento del seminativo. «Molti pensano che si possa fare agricoltura con sementi transgeniche o fertilizzanti sintetici ma la più grande limitazione alla produzione agricola è proprio il suolo», spiega il filantropo.
Dal 24 febbraio 2022 l’agricoltura lì è moribonda. Sui campi martoriati dalla guerra migliaia di pezzi di metallo, detriti e ordigni letali inesplosi, missili e mine. Così la Howard G. Buffett Foundation, sui 150 milioni donati in totale, ne ha destinati 25 per lo sminamento dei terreni agricoli a est, sud e nord occupati o devastati dal conflitto (40 per cento è la porzione di suolo ucraino che va scandagliato e bonificato dagli esplosivi).
Esportatori di grano
Qualunque reazione susciti, la guerra come fenomeno su grande scala è non solo geopolitica, come lotta tra superpotenze per il dominio, c’è anche un effetto collaterale più ampio. Il conflitto tra la Federazione russa e il blocco dell’occidente a guida Usa/Nato ha creato un gap di offerta che ha destabilizzato i prezzi del cibo. Una situazione tanto terribile che il World Food Program dell’Onu (Wfp) l’ha definita «una crisi alimentare globale come nessun’altra». Le conseguenze a catena dello stop al processo agricolo ha attraversato quei confini. Il mezzo miliardo di cittadini “ricchi” dei 27 paesi dell’Ue soffre per l’inflazione alle stelle dei prodotti alimentari, ma il dato più drammatico è che decine di nazioni vulnerabili e povere della Terra sono sull’orlo della carestia, specialmente in Africa orientale.
Non c’è bisogno di addentrarsi in analisi sofisticate, gli eventi hanno una loro tragica semplicità. Russia e Ucraina sono i principali esportatori di cereali e insieme rappresentano più di un quarto del commercio mondiale di grano. Oltre al morso delle sanzioni Usa-Ue contro Mosca, l’impennata dei prezzi dell’energia ha aumentato i costi di produzione, trasporto e vendita al dettaglio degli alimentari. La Russia e il suo alleato Bielorussia sono anche i produttori leader di cloruro di potassio, componente chiave dei fertilizzanti. Gli agricoltori di tutto il mondo ne sono colpiti.
L’accordo
La situazione potrebbe essere da Code Red, ma la scorsa estate è non fosse intervenuta la Black Sea Grain Initiative, un accordo tra Russia e Ucraina stipulato con la Turchia e l’Onu che ha permesso la parziale ripresa dell’export di cereali, derrate alimentari e fertilizzanti, grazie a un corridoio marittimo da alcuni porti del Mar Nero non bloccati dai russi. Prorogato lo scorso novembre, scadrà a fine marzo 2023, sotto il controllo di Abdullah Abdul Samad Dashti, un vice ammiraglio in pensione del Kuwait nominato coordinatore dal segretario generale dell’Onu António Guterres. I cereali ucraini continuano così ad essere venduti in 42 paesi, quasi il 44 per cento va a nazioni a reddito medio-basso, il 64 per cento verso economie in via di sviluppo. La Cina è il principale destinatario, seguita da Spagna e Turchia. Mezzo mondo dipende dal grano di Kiev.
Nel 2023 il raccolto ucraino scenderà a causa della guerra a 40 milioni di tonnellate, da un record di 86 milioni di tonnellate nel 2021, di cui circa 15 milioni destinati all’export, stima Alex Lissitsa, presidente dell’Associazione Club dell’agroalimentare ucraino. Secondo Denys Marchuk, vicepresidente del Consiglio agrario, l’area seminata a cereali potrebbe diminuire di almeno il 30 per cento. Pesa anche il fattore umano: molti agricoltori sono ora arruolati o hanno abbandonato le loro terre. In una fattoria a 300 chilometri a sud di Kiev, 40 dei 350 dipendenti combattono al fronte. Un quinto dell’economia ucraina è nel settore agricoltura, che assorbiva (prima) un quinto della forza lavoro.
Le Nazioni unite stimano che a causa della guerra 345 milioni di persone nel mondo soffrano di carenze di cibo e fame, più del doppio rispetto al 2019. Per il Fmi i paesi maggiormente esposti alla mannaia di scarsità e prezzi elevati sono 48 in Africa, Asia e nelle Americhe. Grave la situazione in Afghanistan e in Yemen, già devastati da conflitti locali. Non si può ignorare che pure nel club dei “ricchi” come Stati Uniti, Uk, le nazioni Ue, il forte aumento dell’inflazione dei prodotti alimentari abbia messo in sofferenza milioni di “invisibili”, le persone più povere, in difficoltà per comprare il cibo essenziale (le file di migliaia di italiani alla Caritas e in altre associazioni di volontariato dovrebbero essere nella coscienza di tutti).
I dati italiani
Per l’Italia, l’ultimo dato Istat sull’inflazione dei “prodotti alimentari non lavorati” indica +9,5 per cento (dicembre 2022) mentre continua l’accelerazione dei “beni alimentari lavorati” a +15,2 per cento, top degli ultimi 40 anni.
Un futuro raffreddamento dei prezzi è scontato, ma il trend rimane instabile e suscettibile a eventuali shock geopolitici. In tale scenario, fondamentale è che la Black Sea Grain Initiative sia rinnovata: quando a ottobre Putin ha minacciato di staccare la spina al patto, i prezzi globali del cibo sono schizzati +5/6 per cento. Corollario: la peggiore crisi alimentare dai tempi della seconda guerra mondiale finirà solo quando Russia e Ucraina firmeranno un cessate il fuoco.
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