- In prevalenza russi e ucraini appartengono infatti alla tradizione cristiana ortodossa, ma pure all’interno della stessa Ucraina le divisioni sono profonde tra gli appartenenti al patriarcato di Mosca e quanti invece si riallacciano a quello di Costantinopoli.
- La sintonia del patriarca di Mosca con Putin e il contrasto con Costantinopoli hanno provocato gravi spaccature nell’ortodossia mondiale, e già nel 2016 il fallimento del concilio panortodosso di Creta.
- Ora il conflitto si è riacceso sul complesso monastico della Lavra delle grotte a Kiev, luogo simbolo tanto per gli ucraini che per i russi.
Nella guerra scatenata dall’aggressione russa all’Ucraina vi è anche una componente religiosa fratricida. In prevalenza russi e ucraini appartengono infatti alla tradizione cristiana ortodossa, ma pure all’interno della stessa Ucraina le divisioni sono profonde tra gli appartenenti al patriarcato di Mosca e quanti invece si riallacciano a quello di Costantinopoli.
Da tempo infatti gli ortodossi ucraini sono divisi, e la guerra ha esasperato il conflitto. La sintonia del patriarca di Mosca con Putin e il contrasto con Costantinopoli hanno provocato gravi spaccature nell’ortodossia mondiale, e già nel 2016 il fallimento del concilio panortodosso di Creta. Ora il conflitto si è riacceso sul complesso monastico della Lavra delle grotte a Kiev, luogo simbolo tanto per gli ucraini che per i russi.
Ebbe infatti luogo nella Rus’ di Kiev il battesimo cristiano della Russia di cui nel 1988 si festeggiò il millenario, quando alle celebrazioni parteciparono anche dei rappresentanti del papa di Roma, il polacco Giovanni Paolo II, che quel mondo conosceva bene.
Un testo medievale, la cronaca di Nestore intitolata Racconto dei tempi passati (Einaudi), riassume in un suggestivo racconto dal sapore leggendario la scelta religiosa di Volodymyr, principe pagano di Kiev.
I suoi inviati, incaricati di riferire sui diversi monoteismi, raccontano infatti dello splendore abbagliante delle liturgie di Costantinopoli. «Vedemmo dove officiavano in onore del loro Dio, e non sapevamo se in cielo ci trovavamo oppure in terra: non v’è sulla terra uno spettacolo di tale bellezza, e non riusciamo a descriverlo; solo questo sappiamo: che là Dio con l’uomo coesiste, e che il rito loro è migliore di quello di tutti i paesi».
Le radici cristiane russe sono dunque nell’attuale Ucraina, che all’inizio mantiene legami con Costantinopoli ma poi progressivamente li allenta. La maggioranza dei metropoliti di Kiev sono greci, dal primo nel 1039 (Theopemptòs, «mandato da Dio») al dotto Isidoro, che aderisce all’effimera unione con Roma decretata nel 1439 dal concilio di Firenze e diviene «il cardinale ruteno». I vescovi sono però in prevalenza slavi e – spiega Giovanni Codevilla nella sua monumentale Storia della Russia (Jaca Book) – è proprio l’adozione dello slavo ecclesiastico a favorire l’allontanamento dei russi da Costantinopoli.
Cinque anni prima della caduta in mano turca della capitale bizantina, la chiesa di Mosca si proclama nel 1448 autocefala, cioè indipendente, staccandosi da Costantinopoli. In seguito, dalla fine del medioevo al settantennio sovietico, la storia dell’ortodossia ucraina s’intreccia con quella della Russia. Invasa dai mongoli, per secoli l’Ucraina viene poi contesa tra un occidente dominato da polacchi e lituani da una parte e l’oriente moscovita dall’altra.
Terza Roma
Ormai schiacciata sotto il dominio turco la «nuova Roma» voluta da Costantino, viene elaborata l’ideologia di Mosca come «terza Roma». Questa visione ambiziosa accompagna nel 1547 l’incoronazione del primo zar, Ivan IV il Terribile, e nel 1589 la creazione del patriarcato russo che s’impone sull’Ucraina.
Dall’ortodossia di Mosca si separa allora, guardando a Roma, una parte di ucraini di rito bizantino (detti ruteni), ma questa unione con il cattolicesimo romano, approvata nel 1596 dal sinodo di Brest, ha vita difficile: non solo è osteggiata dai russi, ma anche dai polacchi che vogliono latinizzare gli uniati, come con disprezzo vengono chiamati.
Al tempo della rivoluzione, e più ancora con la seconda guerra mondiale, il regime sovietico e il patriarcato di Mosca concedono agli ortodossi ucraini una certa autonomia. Poi, nel 1946 i greco-cattolici ucraini vengono brutalmente liquidati e le loro proprietà passano agli ortodossi. Ad animare la resistenza alla dittatura sovietica rimangono solo i greco-cattolici, tra cui il metropolita Josyf Slipyj.
Incarcerato e confinato per un trentennio in Siberia, nel febbraio 1963 viene liberato ed esiliato a Roma. La vicenda ispira sessant’anni fa Morris West, che nei panni di Pietro immagina divenire papa il cardinale ucraino Kiril Lakota, torturato come Slipyj e interpretato da Anthony Quinn nel film L’uomo venuto dal Kremlino.
Per cortesia ecumenica nei confronti della gelosa ortodossia russa Roma però non concede ai greco-cattolici ucraini l’agognato patriarcato, ma solo un «arcivescovato maggiore», anche se Slipyj e i suoi due primi successori vengono creati cardinali. Non così l’attuale, Svjatoslav Ševčuk, fiero sostenitore delle ragioni ucraine, che pure Bergoglio conosce dai tempi di Buenos Aires. Ma se i cattolici di rito bizantino sono compatti contro Mosca, nei confronti del patriarcato russo l’ortodossia ucraina è profondamente divisa.
Sin dall’impero bizantino strettissimo è il legame tra potere politico e potere religioso («sinfonia») e altrettanto forte nelle chiese ortodosse è il radicamento nazionale, accentuatosi nell’età dei nazionalismi. Non a caso nel 1872 un sinodo panortodosso condanna gli eccessi nazionalistici del «filetismo» (dal greco phylè, «tribù»), anche se la frammentazione della galassia ortodossa rende quasi impossibile decidere chi sia responsabile di questa tendenza bollata come eretica.
Dopo il crollo dell’Unione sovietica, l’Ucraina diventa indipendente e molti ortodossi ucraini cominciano a guardare a Costantinopoli: fatti insopportabili agli occhi di Kirill, il potente patriarca di Mosca, più ispiratore che «chierichetto» di Putin, secondo la sferzante definizione del papa di Roma, certo non ostile ai russi.
Gelosie
Oggi gli ortodossi sono divisi in tre chiese (una filorussa e due che sostengono Kyiv), ma – ha spiegato Marta Dell’Asta, che dirige la rivista specializzata «La Nuova Europa» – le controversie attuali «non nascono tanto da visioni contrastanti quanto da gelosie e servitù politiche».
Lo scontro si è ora acutizzato sul monastero delle Grotte di Kyiv. Questo luogo simbolo legato all’origine della Rus’ – un enorme complesso che comprende edifici commerciali abusivi gestiti da monaci, accusati non a torto di collaborazionismo filorusso – è stato infatti tolto dal governo ucraino agli ortodossi legati a Mosca e assegnato a quelli della chiesa autocefala, della quale nel 2019 il patriarcato di Costantinopoli ha riconosciuto l’indipendenza.
Ma questo trascina molti fedeli e parte del clero in un conflitto che «ricalca ancora una volta la vecchia immagine di un’ortodossia politica e nazionale», nonostante l’opposizione di numerosi intellettuali ortodossi, non solo in Ucraina.
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