- Il torpore militare dell’Europa è sicuramente un fallimento europeo, il risultato dell’inerzia e protezionismo dei vari establishment nazionali, ma anche un fallimento della strategia americana post Guerra fredda nei confronti dell’Europa.
- Nonostante numerosi segnali politici di un progressivo disimpegno dalla sicurezza del continente europeo, gli Stati Uniti mantengono un approccio paternalistico, sfruttando la dipendenza dell’Europa dalle risorse militari americane per esercitare un vero e proprio potere di veto sulla direzione della difesa europea.
- Ciò ha portato a una situazione paradossale in cui i leader americani hanno insistito a gran voce affinché l’Europa facesse di più in materia di difesa, tuttavia opponendosi periodicamente a qualsiasi iniziativa con marchio Ue in questo settore. Il testo fa parte del nuovo numero di Scenari, in digitale dal 17 giugno. Per leggere tutti i contributi è possibile abbonarsi qui.
Il motto dei gestaltisti “il tutto è più della somma delle singole parti” aiuta a comprendere perché, nonostante le spese di difesa dei membri europei della Nato collettivamente ammontino a cifre che tengono di gran lunga testa a quelle di Russia e Cina, lo stato della sovranità europea in materia di sicurezza e difesa lasci molto a desiderare. Così come conferma il nuovo European sovereignty index dello European council on foreign relations (Ecfr), sicurezza e difesa sono aree in cui gli stati membri hanno una performance complessiva mediocre, con una media di 5,9 su 10. Nonostante i livelli di spesa per la difesa a livello nazionale e le dimensioni delle forze collettive dovrebbero renderla una potenza globale, oggi sul fronte militare l’Ue è molto più debole della somma delle sue parti. La guerra in Ucraina sembra aver risvegliato gli europei dal loro letargo, ma cosa ha indotto questo letargo?
Ambivalenza americana
Il torpore militare dell’Europa è sicuramente un fallimento europeo, il risultato dell’inerzia e protezionismo dei vari establishment nazionali, ma anche un fallimento della strategia americana post-Guerra fredda nei confronti dell’Europa, la quale è rimasta praticamente invariata dagli anni Novanta. All’epoca tale strategia non prevedeva, giustamente, la promozione dell’Ue come attore globale forte e indipendente, ma mirava a preservare il primato della Nato e degli Stati Uniti come garante della sicurezza nel continente.
Tuttavia, più di un ventennio dopo, la politica statunitense continua a trattare l’Europa come quella di un tempo: un insieme di stati vagamente collegati in alleanze multilaterali e trattenuti dal tagliarsi la gola a vicenda solo grazie a interessi economici condivisi. Ma l’Ue oggi è molto più di un consorzio economico. È un’entità politica e un importante attore internazionale, e gli Stati Uniti hanno sempre più bisogno che l’Ue rinforzi il suo profilo di attore internazionale aumentando la propria autonomia strategica e capacità di condivisione degli oneri transatlantici. Tuttavia, mentre gli obiettivi strategici degli Stati Uniti sono cambiati, la politica americana nei confronti dell’Europa resta per lo più immutata.
Nonostante numerosi segnali politici di un progressivo disimpegno dalla sicurezza del continente europeo, gli Stati Uniti mantengono un approccio paternalistico nei confronti dei partner europei, sfruttando la dipendenza dell’Europa dalle risorse militari americane per esercitare un vero e proprio potere di veto sulla direzione della difesa europea. Ciò ha spesso portato a una situazione paradossale in cui i leader americani hanno insistito a gran voce affinché l’Europa facesse di più in materia di difesa, tuttavia opponendosi periodicamente a qualsiasi iniziativa con marchio Ue in questo settore.
Questa ambivalenza statunitense è particolarmente accentuata verso i tentativi di Bruxelles di creare una base industriale e tecnologica di difesa europea (Edtib). Basti pensare all’opposizione americana all’iniziativa di cooperazione strutturata permanente dell’Ue (Pesco), un innocuo tentativo di instaurare meccanismi di finanziamento comuni per sostenere progetti di difesa congiunti tra i diversi stati membri.
L’industria della difesa statunitense, preoccupata di essere potenzialmente esclusa dal mercato europeo, ha pressato il proprio governo affinché si opponesse fermamente agli sforzi dell’Ue nell’integrare le sparpagliatissime politiche di difesa nazionali. Gli Stati Uniti hanno persino avvertito l’Unione di possibili ripercussioni se le aziende statunitensi non fossero state ammesse ai progetti Pesco, e infatti così è stato. Questa reticenza sistematica è comprensibile dal punto di vista dell’industria della difesa statunitense.
Date le economie di scala esistenti e future, per sostenere la base industriale americana della difesa ad alta tecnologia è necessario disporre di forti mercati di esportazione, e l’Europa è una parte importante di questi mercati. Il problema, però, è la mancanza di reciprocità, in quanto gli Stati Uniti non consentirebbero alle aziende europee un accesso analogo agli appalti della difesa statunitense.
Mentre l’opposizione alla Pesco è avvenuta con grandi fanfare, gli Stati Uniti hanno manifestato opposizione alle ambizioni di difesa europee anche in maniera più sommessa, sfruttando, ad esempio, la propria influenza con i membri dell’Ue più dipendenti dalle garanzie di sicurezza statunitensi o quelli più euroscettici per agire come veri e propri cavalli di Troia per sabotare dall’interno iniziative europee in questo settore. La tendenza americana a mettere il bastone tra le ruote agli europei sul fronte difesa rende irrealistica la realizzazione di proposte audaci o ambiziose, inducendo l’Ue a proporre iniziative di nicchia che spesso sono poco più di rompicapo burocratici estremamente limitati e poco ambiziosi. Questo, a sua volta, va a rafforzare l’opinione di Washington che l’Ue non sia in grado di occuparsi di difesa. Un cane che si morde la coda, come farlo smettere?
Autonomia e competizione
Storicamente, l’integrazione europea è iniziata grazie agli Stati Uniti ed è stato il sostegno americano alle proposte europee a determinarne il successo. Qual è, dunque, il giusto livello di autonomia strategica a cui ambire per poter ottenere questo supporto? Quali sono le aree prioritarie per la cooperazione europea in materia di difesa (ad esempio, trasporto aereo strategico, capacità cyber, intelligence) che gli Stati Uniti possono sostenere, o quantomeno non bloccare? Come possono gli Stati Uniti e l’Europa raggiungere un’interdipendenza più equilibrata nel mercato della difesa? Gli europei da soli non possono rispondere a queste domande, ma si tratta di decisioni da prendere congiuntamente da entrambe le sponde dell’Atlantico.
Il 21 e 22 aprile di quest’anno il vicesegretario di Stato americano Wendy Sherman ha incontrato il segretario generale del Servizio europeo per l’azione esterna Stefano Sannino a Bruxelles nel primo confronto del dialogo Stati Uniti-Ue sulla sicurezza e la difesa. Questo nuovo formato di dialogo offre un canale promettente per risolvere gli interrogativi sopramenzionati. Ma il dialogo, fine a sé stesso, cosa di cui l’Ue spesso pecca, ha un’utilità limitata. Sia l’Unione che gli Stati Uniti devono impegnarsi per concretizzare un’agenda sostanziale di cui, a due mesi dal primo incontro, ancora non si vede l’ombra.
In futuro, entrambe le parti dovrebbero adoperarsi per evitare che le questioni industriali finiscano per monopolizzare il dialogo transatlantico. Più l’Ue investirà nella propria industria della difesa, più la concorrenza tra le aziende europee e quelle statunitensi diventerà inevitabilmente sempre più forte. Bisognerà, dunque, pensare a come mitigare questa competizione partendo, ad esempio, dallo stabilire aree di complementarità. Inoltre, Washington e Bruxelles potrebbero favorire sinergie tra il forum di dialogo sulla sicurezza e la difesa e il Consiglio Ue-Stati Uniti per il commercio e la tecnologia (Ttc) discutendo in maniera più sistematica su come allineare le rispettive politiche sugli screening degli investimenti e sulla protezione della ricerca e della proprietà intellettuale e delineando iniziative volte a facilitare lo scambio di informazioni sui controlli di esportazioni e importazioni, soprattutto nell’ambito delle tecnologie critiche a duplice uso.
In ultimo, ma non meno importante, è necessario che il forum di dialogo sulla sicurezza consideri anche come garantire un maggiore allineamento strategico tra Stati Uniti e Unione europea, proprio come quello che gli Stati Uniti si stanno impegnando a ottenere con alleati come Giappone, Corea del sud e Australia. Nello stabilire legami duraturi con le democrazie asiatiche, Stati Uniti e Ue potrebbero agire più in sintonia e coordinare meglio le loro rispettive politiche e priorità.
Una maggiore autonomia strategica europea può supportare il “tilt” americano verso l’Indopacifico e produrre una migliore divisione degli oneri, rafforzando così il legame transatlantico anziché indebolirlo. La Nato non è una transazione ma un’alleanza: più Ue non equivale a meno Nato, bensì al rendere gli europei dei partner migliori per gli Stati Uniti. In questo contesto è importante che gli americani rimuovano il freno all’integrazione nella difesa europea perché, tra l’altro, sarebbero i primi a beneficiarne.
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