- Ho passato a Odessa i due anni di lockdown del Covid-19, durante i quali ho lanciato il mio giornale online The Odessa Journal. Oggi mi trovo nel mezzo di una guerra con la Russia, che solo un mese fa consideravo nei miei articoli molto improbabile.
- Rimanere in Ucraina in questi giorni di guerra è stata un’esperienza spaventosa. La guerra non è ancora finita e non sappiamo cosa ci riservi il futuro.
- A cinque anni dalla cacciata di Yanukovich, il consiglio regionale di Odessa era ancora dominato da una maggioranza filorussa, che non celava la sua subordinazione a Mosca.
Sono arrivato a Odessa cinque anni fa per sviluppare un progetto commerciale. Dopo due anni di lavoro intenso sono rimasto stregato da questa affascinante città e ho deciso di lasciare la mia amata Milano in cerca di una vita più avventurosa. Il destino mi ha accontentato.
Ho passato a Odessa i due anni di lockdown del Covid-19, durante i quali ho lanciato il mio giornale online The Odessa Journal. Oggi mi trovo nel mezzo di una guerra con la Russia, che solo un mese fa consideravo nei miei articoli molto improbabile. Non dimenticherò mai quel giovedì del 24 febbraio quando, intorno alle 5 del mattino, sono stato svegliato dalle esplosioni di un attacco missilistico. Colpivano zone periferiche della città, dove si trovavano gli obiettivi militari.
Già da settimane prima dello scoppio delle ostilità molti amici e parenti mi avevano caldamente consigliato di lasciare la città. Non appena è cominciata l’invasione, gli inviti si sono trasformati in preghiere e appelli insistenti. Ma dopo aver constatato che, né le persone che amo qui a Odessa, né gli amici ucraini avevano intenzione di andarsene, ho capito che scappare via avrebbe creato uno strappo tra me e il luogo dove ho deciso di vivere e realizzare progetti importanti. Non potevo comportarmi come un turista. Ho deciso di restare.
Nel mezzo del cambiamento
Rimanere in Ucraina in questi giorni di guerra è stata un’esperienza spaventosa. La guerra non è ancora finita e non sappiamo cosa ci riservi il futuro. Ma la parte più inquietante non sono state le sirene o le esplosioni in lontananza, bensì le immagini e le notizie della guerra nelle città di Kiev, Kharkov, Mariupol. E il pensiero angosciante che un tale destino potesse capitare presto a Odessa.
Restare a Odessa è stata anche l’occasione per osservare un paese in un momento di svolta. La guerra cambierà l’Ucraina, perché le guerre cambiano i popoli e gli stati. Spesso sono un passaggio obbligato per la definizione di una nazione. In questi giorni, mentre fischiavano le sirene e si combatteva, si stava definendo una nuova nazione ucraina.
Quando sono arrivato a Odessa, ho trovato un paese in bilico tra aspirazione occidentale, nostalgia per l’Unione sovietica e attrazione verso la fratellanza russa. Prima del 2014 il partito delle Regioni aveva fatto eleggere il pupillo di Putin, Viktor Yanukovich, alla presidenza dell’Ucraina. A cinque anni dalla cacciata di Yanukovich, il consiglio regionale di Odessa era ancora dominato da una maggioranza filorussa, che non celava la sua subordinazione a Mosca.
Alle presidenziali del 2019 un 40 per cento degli elettori votava ancora il partito filorusso, mentre alle elezioni comunali di un anno fa il partito filorusso otteneva il 20 per cento. Nonostante questo residuo fervore panrusso, la popolazione di Odessa ha reagito all’attacco con slancio impressionante sostenendo la difesa contro gli invasori.
Gli abitanti hanno affollato gli uffici di reclutamento della difesa territoriale e chi non è stato accettato, a causa dei troppi candidati per i posti disponibili, si è offerto come volontario per riempire sacchetti di sabbia o trasportare i rifornimenti. Tutto questo a dispetto dei sospetti sulla città di Odessa, considerata potenzialmente traditrice per l’uso della lingua russa e il suo glorioso passato imperiale.
Dalla stessa parte
Vladimir Putin è riuscito a riunire un popolo disunito per etnia, lingua e religione. Quando Stalin disegnò gli attuali confini dell’Ucraina, incluse pezzi di Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Moldavia, complicando la composizione etnica del paese. La lingua ufficiale è l’ucraino, ma quella più parlata e letta è ancora il russo, oggi discriminata.
Per quanto riguarda le religioni: ci sono cristiani ortodossi (lacerati tra chi riconosce come autorità religiosa il patriarca di Mosca e chi quello di Costantinopoli), cattolici (divisi in rito romano e rito bizantino), armeni, ebrei e musulmani. Eppure, nonostante queste diversità, nella prova di forza contro un nemico di superiore forza, gli ucraini si sono trovati per la prima volta nella loro storia compattamente dalla stessa parte. Il mondo ha visto un popolo che combatte con fierezza, ma anche con il sorriso e l’ironia. Questo aumenterà l’autostima di una nazione, per secoli il parente meno considerato della famiglia slava.
La leadership ucraina ha impressionato il mondo per la tenuta di fronte alla crisi e per l’abilità nel gestire la comunicazione interna e internazionale. Il presidente Volodymir Zelensky, l’attore catapultato in politica tre anni fa quasi per caso, oggi ha superato lo stress test più difficile per un capo di stato e ne esce molto rafforzato.
Secondo la fonte Bellingcat, l’intelligence di Mosca ha investito una cifra spropositata per pagare spie e collaborazionisti che avrebbero dovuto spianare la strada all’invasore. In perfetto stile russo, gran parte di quei soldi si sono persi nei meandri della corruzione e le liste dei collaborazionisti si sono rivelate delle “anime morte” (che è anche un romanzo di Gogol, grande scrittore russo nato in Ucraina). Quei pochi agenti pagati per passare informazioni sono stati spesso scoperti ed eliminati. La neutralizzazione di questa quinta colonna contribuirà a rendere lo stato ucraino più forte e indipendente.
Queste sono alcune delle riflessioni in tempo di guerra di un milanese che ha studiato questo paese dal punto di osservazione di Odessa, il cancello dell’export e la città più europea dell’Ucraina.
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