- La fiducia degli ucraini nei media nazionali è molto poca, mentre quella nella stampa occidentale è molto maggiore. La stessa tendenza si osserva tra le autorità locali: la parola di un giornalista occidentale pesa più di quella di un giornalista locale.
- Nel 2014 è iniziato tutto allo stesso modo. La cornice della narrazione è stata strutturata dai giornalisti stranieri, che per molti anni si sono rifiutati di chiamare guerra la guerra nel Donbass.
- Per otto anni, la Russia si è abituata al fatto di non aver ricevuto praticamente alcuna punizione per le sue azioni nei confronti dell’Ucraina. Se il mondo avesse ascoltato l’Ucraina, una guerra su vasta scala si sarebbe potuta fermare.
Questo articolo è tratto da SCENARI – l’inserto geopolitico del quotidiano Domani che puoi trovare in edicola ma anche online a questo link: https://bit.ly/3EZ1tjq
Tutte le volte, poco prima della tempesta, i corrispondenti da tutto il mondo si riversano in Ucraina. Nel febbraio del 2022, mentre giungevano le notizie di una possibile invasione russa, centinaia di giornalisti stranieri sono arrivati in Ucraina. I peggiori presagi hanno avuto conferma: l’esercito russo ha attaccato l’intero territorio del paese con missili e razzi, ha bombardato Kiev e altre grandi città, e occupato parte delle regioni meridionali.
I giornalisti sono approdati per raccontare al mondo come uno stato con il secondo esercito più potente al mondo ha attaccato un paese nel mezzo dell’Europa, per il semplice fatto che da anni professava valori occidentali e aspirava a entrare a far parte dell’Unione europea, a differenza della maggior parte dei paesi dell’ex Unione sovietica.
Lo stereotipo
I giornalisti svolgono un ruolo senza precedenti nella copertura di conflitti e guerre. Quelli locali sono sempre stati il primo contatto per la stampa occidentale e sono le persone di riferimento a cui chiedere cosa sta succedendo e dove, con chi è meglio parlare e a cosa dover prestare in primo luogo attenzione.
Parallelamente, sono sempre stati i giornalisti occidentali a dare la cornice entro cui inquadrare gli eventi in Ucraina. Il quotidiano tedesco Bild, ad esempio, è stato tra i primi a dare notizia del piano di Putin di conquista dell’Ucraina, citando le sue fonti di intelligence, mentre le autorità ufficiali ucraine fino all’ultimo hanno respinto pubblicamente un simile scenario.
C’è una ragione storica per tutto questo: la fiducia degli ucraini nei media nazionali è molto poca, mentre quella nella stampa occidentale è molto maggiore. La stessa tendenza si osserva tra le autorità locali: la parola di un giornalista occidentale pesa più di quella di un giornalista locale.
È uno stereotipo quello per cui la stampa occidentale di default “ne sa di più”. Inoltre, la maggior parte dei media in Ucraina sono di proprietà di clan di oligarchi e società connesse a politici, che usano il giornalismo per promuovere interessi politici o commerciali. A un certo punto tutti si sono abituati a questa realtà dei fatti.
Il 24 febbraio ha rappresentato un punto di svolta per tutti. I giornalisti ucraini si sono trovati in una posizione di vulnerabilità senza precedenti: la maggior parte non aveva giubbotti antiproiettile ed elmetti, assicurazione medica ed esperienza di addestramento per la sicurezza.
Più di settanta testate giornalistiche hanno chiuso per la minaccia dell’occupazione, per le azioni militari o considerazioni di natura economica. Per molti la via d’uscita è stata quella di lavorare come fixer, o produttori locali, per la stampa occidentale.
Il racconto dal 2014
Nel 2014 è iniziato tutto allo stesso modo. Quando a Kiev è partita una protesta organizzata contro il potere del presidente Viktor Yanukovich, che si era rifiutato di firmare l’accordo di associazione dell’Ue e aveva invece scelto l’alleanza con la Russia, centinaia di giornalisti occidentali sono venuti a raccontare quello che stava succedendo. Poco dopo è seguita l’annessione della Crimea e l’occupazione del Donbass. Il lavoro principale è stato svolto dai mediatori, a volte rischiando la vita.
Allo stesso modo, la cornice della narrazione è stata strutturata dai giornalisti stranieri. Per molti anni si sono rifiutati di chiamare guerra la guerra nel Donbass, hanno riconosciuto le «Repubbliche popolari del Donbass» e hanno chiamato l’annessione della Crimea la «restaurazione della giustizia storica». I giornalisti ucraini si sono spesso trovati in una posizione esposta lavorando per i media occidentali, che pubblicavano documenti che in un modo o nell’altro giustificavano le azioni della Russia. Non riuscivano a far capire alle redazioni occidentali che l’aggressione militare che avevano visto non poteva essere giustificata.
Per otto lunghi anni, gran parte della stampa occidentale ha convinto il proprio pubblico che l’annessione della Crimea e l’occupazione del Donbass avevano determinate ragioni. Giornalisti, politici e diplomatici ucraini letteralmente hanno gridato che i russi si erano appropriati dei nostri territori e che i “ribelli” locali avevano poco a che fare con questa cosa e che l’aggressione non era giustificata. Non sono stati ascoltati.
Molti hanno dato spazio agli oppositori e ai giornalisti russi che non volevano concentrarsi sulla sottrazione illegale dei territori. Le loro voci a volte sono state ascoltate più di quelle degli ucraini, che hanno visto con i propri occhi gli ufficiali russi rapire e torturare gli ucraini.
Per otto anni, la Russia si è abituata al fatto di non aver ricevuto praticamente alcuna punizione per le sue azioni nei confronti dell’Ucraina.
Molti hanno cercato di convincere gli ucraini della necessità di comprendere e accettare l’azione russa e negoziare la pace. Ci è stato detto: da voi la corruzione è tanta, avete gli estremisti di destra, non siete bravi abbastanza, quanto l’Europa ha bisogno, non siete degni di essere membri dell’Ue.
Se il mondo avesse ascoltato l’Ucraina, una guerra su vasta scala si sarebbe potuta fermare. Se i media occidentali avessero comunicato al loro pubblico le vere ragioni della guerra di annientamento della Russia contro l’Ucraina, forse almeno l’esercito ucraino avrebbe armi a sufficienza per resistere meglio all’aggressione militare. Forse, dopotutto, Putin potrebbe non aver osato attaccare.
Una voce importante
Oggi più che mai è importante dare voce ai giornalisti e alle persone locali che hanno qualcosa da dire. Nella guerra con la Russia, l’Ucraina difende i confini dell’Europa, la sua integrità e sicurezza, quindi oggi siamo i vostri occhi e le vostre orecchie, le vostre gambe e le vostre braccia. Seguiamo quello che succede giorno per giorno. Contiamo i giorni dall’inizio dell’invasione e attendiamo la sua fine come un miracolo.
Eppure le fondazioni occidentali continuano a invitare a discussioni pubbliche gli ucraini insieme ai russi, ci invitano a competere insieme per borse di studio e sovvenzioni. Il Die Welt assume una propagandista russa, diventata famosa unicamente per essere andata in diretta con una protesta sulla televisione di stato, mentre decine di giornalisti ucraini non riescono a lavorare e provvedere ai bisogni primari.
I giornalisti russi sono costantemente sui giornali, raccontano di come soffrono per le azioni delle autorità russe, dell’impossibilità di usare i loro conti in banca perché sono stati sanzionati, di come sono costretti a patire la censura militare russa secondo cui la guerra non può essere chiamata guerra. I giornalisti ucraini intanto vanno in onda da rifugi antiaerei e raggiungono zone militari pericolose per mostrare come l’esercito russo bombarda e giustizia i civili.
Dall’inizio dell’invasione, i russi hanno ucciso dodici giornalisti. Tra questi c’erano sia giornalisti occidentali che locali. Tristemente i giornalisti danno la vita e compromettono la propria salute per mostrare al mondo cosa succede nel mezzo dell’Europa.
L’Ucraina difende l’Europa e i valori europei dalla Russia. Difendiamo duramente la libertà del mondo democratico, conosciamo il prezzo di questa libertà ed è tempo di fare i conti con il fatto che la nostra voce è importante. Perché siamo europei e siamo uguali. E siamo tutti uguali anche di fronte alla morte.
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