- Delle infrastrutture istituzionali che facevano parte del regime comunista sovietico sono due quelle che sono sopravvissute al suo collasso: la chiesa ortodossa russa e i servizi di sicurezza.
- L’apertura degli archivi del Kgb ha ormai offerto ampia documentazione relativa ai rapporti e alla subordinazione della chiesa ai servizi di sicurezza del Cremlino.
- La posizione di Kirill sulla guerra in Ucraina non dovrebbe quindi sorprendere.
Delle infrastrutture istituzionali che facevano parte del regime comunista sovietico sono due quelle che sono sopravvissute al suo collasso: la chiesa ortodossa russa e i servizi di sicurezza.
L’apertura degli archivi del Kgb ha ormai offerto ampia documentazione relativa ai rapporti e alla subordinazione della chiesa ai servizi di sicurezza del Cremlino. Ad esempio, il Patriarca Alessio II sarebbe stato un informatore del Kgb. Durante il suo funerale il patriarca Kirill, allora capo ad interim della chiesa ortodossa, si allontanò per qualche minuto dicendo di non sentirsi bene.
Un membro dell’ufficio stampa del Cremlino spiegò che Kirill era svenuto. Riuscì comunque a tornare poco dopo per partecipare alla cerimonia. I legami tra la gerarchia religiosa e il Kgb erano quindi pienamente strutturati. Esisteva infatti una speciale sottodivisione (il quarto dipartimento della quinta amministrazione) del Consiglio sovietico per gli affari religiosi che gestiva questo dossier.
Anche nella Federazione russa i legami tra potere politico e potere religioso non rispondono alla separazione delle sfere che un grande storico del diritto come Harold Berman ha identificato come elemento centrale della tradizione giuridica occidentale.
La separazione delle sfere, nella ricostruzione di Berman, è utile prima di tutto alla religione al fine evitare la coercizione sotto il giogo del potere statale. Il 23 febbraio, il giorno prima dell’aggressione russa, il patriarca Kirill ha tenuto un lungo discorso in occasione della festività del Difensore della Patria.
In quel discorso avvertiva: «Viviamo in tempi di pace, ma ci sono anche minacce ai nostri confini»: Poche ore dopo il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Dopo l’attacco, il patriarca ha mantenuto un lungo silenzio che è probabilmente la testimonianza più viva del suo collasso morale.
L’intervento successivo non ha fatto che peggiorare le cose: un invito ad «entrambe le parti» a cessare le ostilità alla luce degli «eventi correnti». Il coraggio di Kirill non c’era, se c’era si era nascosto bene. Attorno a mezzogiorno del 24 febbraio Kirill era stato già anticipato dal comunicato del primate della chiesa ortodossa russa in Ucraina fedele al Patriarcato di Mosca. In quel comunicato Onofrio accusa Putin di commettere lo stesso peccato di Caino: l’uccisione del fratello.
Onofrio inchioda così Putin (e Kirill) alle loro responsabilità morali. Sergei Chapnin, che per anni ha diretto la Rivista del Patriarcato di Mosca, prima di essere messo alla porta per le sue posizioni critiche della gerarchia, ha scritto che «è ormai molto chiaro quali siano state le preoccupazioni del patriarca negli ultimi anni.
Adempiere agli ordini ideologici del Cremlino, cooperare con le autorità, nella massima inosservanza dei precetti evangelici, sostituendoli con il riferimento ai “valori tradizionali” convenientemente manipolati per ogni occasione».
Il discorso del 6 marzo, tenuto nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, non deve allora sorprendere. Kirill attacca i «cosiddetti valori che oggi vengono offerti da chi rivendica il potere mondiale».
Questi valori sarebbero quelli rappresentarti dall’edonismo individualista libertario che più volte Kirill ha criticato nei suoi interventi e nei suoi scritti. Nello specifico, secondo Kirill, «le richieste rivolte a molti di organizzare una parata gay sono una prova di lealtà a quel mondo molto potente e sappiamo che se le persone o i Paesi rifiutano queste richieste allora non entrano in quel mondo, ne diventano estranei».
Apocalisse
La visione di Kirill diviene quindi apocalittica, a prescindere dal dibattito sul nucleare, perché riguarda la «salvezza umana, di dove andrà a finire l’umanità».
È il frutto di una progressiva campagna che ha portato a sostituire l’ideologia sovietica con un messianesimo panslavista in cui solo la croce dell’ortodossia può garantire la salvezza a tutti i popoli slavi che facevano parte dell’impero sovietico.
Agli argomenti teologici si affianca la riscoperta di alcuni pensatori come Pitirim Sorokin, uno degli autori che ha ispirato la svolta conservatrice nella Russia post sovietica. Kristina Stoeckl, professoressa all’università di Innsbruck, nei suoi studi degli ultimi anni ha approfondito il posizionamento e la narrazione della Chiesa ortodossa russa sui diritti umani e l’ordine liberale internazionale.
Anche alla luce di questi studi, la posizione di Kirill non dovrebbe quindi sorprendere. È una posizione che ha portato la Russia ad essere il punto di riferimento di una variegata costellazione transnazionale di movimenti politici e culturali che hanno esercitato un’influenza decisiva in molti paesi occidentali (inclusi gli Stati Uniti e l’Italia).
Come ha sostenuto Olivier Roy in una recente intervista all’Obs: «Putin ha sacrificato il suo soft power, che gli aveva consentito negli ultimi venti anni di essere un attore globale, per una visione puramente territoriale della potenza russa». Del resto, apocalitticamente, abbiamo visto tutti nelle ultime ore Matteo Salvini occuparsi di rifugiati. E qualcuno in Polonia sorprendersi per questo.
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