Con i suoi viali adombrati dai platani piantati dai colonizzatori e le sue shíkùmén, le case che combinano l’architettura occidentale con quella orientale, l’ex concessione francese di Shanghai è il set ideale per inscenare un Halloween meticcio. E infatti anche in questo autunno inesorabilmente grigio migliaia di giovani si stavano preparando alla notte del 31 ottobre, per fare a gara alla mise più estrosa, portare a spasso qualche zucca e inondare i social di zhàopiàn, fotografie, con i ritratti in strada diventati una mania, perché rimasti tra le ultime possibilità di esaltazione dell’individualità dei cinesi.

Soltanto che quest’anno a Shanghai le celebrazioni di Halloween sono state proibite. «Tutti i cosplay sono vietati e non sarà consentito il trucco di Halloween», si legge in una direttiva delle autorità locali pubblicata da Radio Free Asia. Nella nota si chiarisce che nei riguardi di eventuali trasgressori «inizialmente sarà utilizzata la persuasione verbale, ma in caso di mancata collaborazione dovranno essere adottate misure coercitive». Anche negli edifici non si potranno esporre decorazioni di Halloween, inclusi pipistrelli, zucche, fantasmi, bare e scheletri, mentre non saranno ammessi «elementi legati all’orrore o alla violenza».

Per far rispettare il divieto, da lunedì le stradine racchiuse tra Nanjing lu e la Huaihai sono presidiate da una quantità impressionante di agenti e camionette. Qualche ragazzino col volto macchiato di sangue finto e i vestiti neri si aggira circospetto. Tutti hanno appreso dai social l’ultima interdizione e, dopo il tam-tam in rete, dopodomani qualcuno potrebbe essere tentato di sfidare le forze dell’ordine.

Anomalia intollerabile

Gli “elementi legati all’orrore e alla violenza” stigmatizzati dalle autorità non sono che un pretesto. Il fatto è che il 31 ottobre 2023 in mezzo a trucchi e costumi aveva fatto capolino la politica, della quale il partito comunista (Pcc) rivendica il monopolio dell’esercizio.

Una ragazza travestita da medico aveva finto di raccogliere l’elemosina mostrando il cartello “senza lavoro” (la disoccupazione giovanile è al 17,6 per cento), mentre altri sbevazzavano intabarrati in tute bianche da dàbái, sbeffeggiando i funzionari che nella primavera-estate 2023 hanno fatto rispettare il rigidissimo coprifuoco che ha avuto pesanti ripercussioni sull’economia della megalopoli sul delta del Fiume azzurro. Un ragazzo s’era appeso al collo una gigantografia dello Shanghai Composite Index, con le azioni delle compagnie cinesi in caduta libera.

Prima ancora, nell’ex concessione francese che diede rifugio ai più influenti riformatori e rivoluzionari del paese (Mao compreso) erano esplose le proteste più clamorose dal movimento di Tiananmen represso nel sangue il 3-4 giugno 1989.

Il 26-27 novembre 2022, centinaia di universitari erano scesi in strada mostrando fogli A4 bianchi contro la censura e chiedendo la fine dei lockdown. Un’inedita manifestazione che aveva dato l’abbrivo alla rimozione delle misure di contenimento anti Covid in tutta la Cina.

Da allora i piccoli bar alternativi lungo Changle lu (letteralmente la “via della Felicità eterna”) erano diventati ritrovi sempre più affollati di studenti, che nei fine settimana tracimavano in strada a migliaia. Birra e vino per pochi yuan e chiacchiere fino all’alba, sotto lo sguardo vigile dei poliziotti. Come a piazza Verdi, a Bologna, o piazza Bellini, a Napoli, senza risse né spaccio.

Una situazione intollerabile per le autorità di Shanghai, la metropoli degli affari dove i businessman vedono i leader di Pechino come ideologi con pericolose velleità di grandeur e una parte della gioventù oppone alle direttive puritane uno stile di vita e comportamenti che il partito giudica “decadenti”: piercing e tatuaggi su tutto il corpo, nottate di baldoria e giornate passate a non fare nulla.

“Infiltrazioni straniere”

Per questo tra la fine di luglio e il mese di agosto la via della Felicità eterna è stata finalmente normalizzata – “armonizzata”, secondo il lessico del Pcc – ovvero svuotata dei suoi punti d’incontro, murati nell’ambito dell’ennesimo progetto di riqualificazione urbana. I mattoni che hanno cancellato l’anomalia Changle lu sono poi diventati invisibili, nascosti sotto murales naif che raffigurano gente in bicicletta e coppie felici.

Ora i costruttori potranno “valorizzare” quegli spazi, che – assicura la municipalità – saranno comunque destinati alla “cultura giovanile”. Il modello è quello – onnipresente e opprimente – nel quale, come una pericolosa interferenza, si era innestata l’oasi di Changle lu: le boutique di abbigliamento di Supreme (New York), le birrerie fighe di Goose Island (Chicago) e le sezioni del partito, perennemente deserte, a dimostrazione che il lavaggio del cervello più efficace è consumistico, non ideologico.

Insomma non è affatto un paradosso che nella città che ospita una Disneyland non si possa festeggiare spontaneamente Halloween. Se spendere fa bene all’economia, riunirsi al di fuori delle strutture ufficiali può generare disordini sui quali – secondo il partito – le potenze straniere sono pronte a soffiare, come a Hong Kong nel 2019-2020.

Il provvedimento anti Halloween si inquadra in un clima politico-culturale che sta allontanando sempre di più dall’occidente la Cina, che pure si propone come potenza globale. Un paese nel quale però, ormai da qualche anno, vengono scoraggiate le celebrazioni pubbliche del Natale e dove in molti istituti sono stati eliminati i libri di testo stranieri, per non parlare della promozione governativa dei valori tradizionali di quel Confucio che Mao e prima di lui altri leader cinesi avevano visto come uno dei principali ostacoli alla modernizzazione del paese.

Il timore di nuove proteste e la “fiducia nella nostra cultura” promossa da Xi Jinping si intrecciano nel provvedimento orwelliano varato dalle autorità locali di Shanghai che, vietando Halloween, che negli ultimi anni era stata una valvola di sfogo, potrebbe avere un effetto boomerang.

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