Tel Aviv. Dopo una settimana di incertezza che ha tenuto gli israeliani col fiato sospeso, la “cerimonia” di liberazione di tre ostaggi israeliani in mano ad Hamas da 498 giorni si è svolta sabato mattina secondo il copione già visto le settimane precedenti.

Sagui Dekel Chen, Iair Horn e Alexander "Sasha" Troufanov, catturati da Hamas nel kibbutz di Nir Oz, tra le comunità più colpite al confine con Gaza, hanno parlato dal palco allestito dai miliziani di Hamas a Khan Yunis, nel sud della Striscia, per poi essere consegnati agli operatori della Croce Rossa.

La prosecuzione dell’accordo è rimasta in bilico per tutta la settimana dopo che Hamas aveva minacciato di non liberare i tre ostaggi previsti per questo sabato, accusando Israele di aver violato l’accordo, non permettendo, tra le altre cose, l’entrata degli aiuti umanitari pattuiti all’interno dell’enclave.

E non è ancora sicuro che proseguirà, malgrado la liberazione dei tre ostaggi scambiati con 396 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane a vario titolo.

La gioia nella piazza del Museo di arte moderna di Tel Aviv, dove era allestito un maxischermo per seguire in diretta la liberazione, era palpabile. Ma lo era anche l’angoscia per gli altri ostaggi, la cui liberazione è prevista in questa prima fase dell’accordo, che non si sa ancora chi siano e se effettivamente saranno liberati.

«Stiamo lavorando in totale coordinamento con gli Stati Uniti per riavere tutti i nostri ostaggi, sia i vivi sia i deceduti, il più velocemente possibile e siamo pienamente preparati per cosa succederà dopo, per ogni ipotesi» ha fatto sapere l’ufficio del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Sulla seconda fase poi l’incertezza regna sovrana.

L’angoscia per gli altri ostaggi

«Provo un misto di gioia e angoscia» dice a Domani Cecilia Cohen, un israelo-argentina di 44 anni, amica della famiglia Horn, tutti originari dell’Argentina come lei. Eitan, fratello di Iair, è ancora a Gaza e non si ha nessuna notizia di lui. Dice Cohen che non fa parte del gruppo di quelli che dovrebbero essere rilasciati in questa prima fase.

«La famiglia lotterà fino alla fine per la liberazione di tutti gli ostaggi» dice Cohen. «L’accordo poteva arrivare molto prima, ma capisco che non sia semplice trattare con un gruppo di terroristi. Il resto del mondo non ha prestato nessuna attenzione alla questione degli ostaggi. Anche se sono vittime, come i civili palestinesi, ci è sembrato che il mondo non li considerasse tali», spiega Cohen.

Non è previsto che venga liberato in questa prima fase neanche Rom Braslavski, di 20 anni, rapito al festival Nova, dove stava lavorando, racconta la cugina Liron Oberlender, 23 anni, di Rehovot.

«Sappiamo che gli uomini giovani sono in fondo alla lista, malgrado Rom sia asmatico e abbia bisogno di medicinali. Siamo molto, molto preoccupati, non abbiamo saputo più niente di lui».

I tre ostaggi hanno riabbracciato le loro famiglie e poi sono stati portati in ospedale per accertamenti sulle loro condizioni di salute. Dekel Chen vedrà per la prima volta la sua terza figlia, nata due mesi dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre del 2023.

Il Forum delle famiglie degli ostaggi ha fatto sapere che ha organizzato un breve sciopero della fame per lunedì, per ricordare i 500 giorni dal rapimento. Durerà 500 minuti dalle 11:40 di mattina e sarà seguito da una manifestazione presso la piazza degli ostaggi per sollecitare la liberazione di tutti gli altri rimasti a Gaza.

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«Non perdoneremo»

Nel frattempo, anche i detenuti richiesti da Hamas sono stati liberati. Secondo il gruppo Palestinian Prisoners Club, si tratta per la maggior parte di persone arrestate nelle Striscia dopo il 7 ottobre. Fra gli altri, c’è Ahmed Barghouti, ex capo dell’ala militare di Fatah a Ramallah, in Cisgiordania, nonché braccio destro e cugino del più noto Marwan Barghouti.

Entrambi sono in prigione dal 2002, dopo essere stati condannati a vari ergastoli per aver commesso una serie di attacchi terroristici durante la seconda intifada. Ahmed ne aveva accumulati 13. Dopo la scarcerazione non rimarrà in Cisgiordania, ma sarà deportato all’estero passando per l’Egitto, secondo i media israeliani.

In apparente risposta alla cerimonia di rilascio inscenata da Hamas, le autorità carcerarie israeliane hanno fatto indossare ai detenuti palestinesi liberati delle magliette con impressa la stella di David e una frase in arabo: «Non dimenticheremo e non perdoneremo».

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