Dopo decenni di lotte, in Argentina ecco la svolta: il presidente Alberto Fernández ha inviato alle camere il progetto di legge per legalizzare l’aborto. La femminista Olga Cristiano lotta per questo diritto da quando a Buenos Aires a farlo erano solo in otto
• Il presidente argentino Alberto Fernández ha inviato al Congresso un progetto di legge per legalizzare l’aborto. È la prima volta nella storia che il governo propone un disegno di legge di questo tipo.
• Dal 1983 al 2019, in Argentina, sono state registrate 3200 morti causate da aborti clandestini. Ogni ora, il paese registra 54 casi di aborto, 1300 al giorno.
• Olga Cristiano, fondatrice della “Campagna per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito”, racconta la lotta delle femministe argentine e cosa significa per loro l’annuncio del presidente.
Dopo decenni di lotte per il riconoscimento del diritto all’aborto in Argentina, ecco la svolta: il presidente Alberto Fernández ha inviato alle camere del Congresso il progetto di legge per legalizzare e depenalizzare l’interruzione di gravidanza. La prima fase di discussione ha inizio il 1 dicembre e terminerà mercoledì prossimo, con il voto dei deputati. In caso di maggioranza favorevole, toccherà ai senatori esprimersi in via definitiva. In Argentina ora l’aborto è possibile solo se la salute della donna è in pericolo o in caso di stupro. In tutti gli altri casi, la donna rischia fino a due anni di reclusione; pena che si estende fino a quattro anni per persone terze che la aiutino a interrompere la gravidanza. Alle porte quindi c’è un evento storico per le femministe che animano la “Campagna per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito”.
Olga Cristiano è una psicologa sociale, ha 76 anni e da più di trenta porta stretto al polso un fazzoletto verde. «Il pañuelito verde è delle donne che lottano», dice sua nipote di quattro anni. Anche grazie a questo simbolo della lotta femminista sa che sua nonna è una di loro. Olga c’era dal principio, da quando a Buenos Aires negli incontri del collettivo erano solo in otto.
Come e quando è nata la “Campagna per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito” in Argentina?
«La Campagna fu avviata nel 2005, ma noi iniziammo molto prima. Eravamo guidate da Dora Coledesky. Lei, esiliata in Francia, vide tutta la mobilitazione che c’era intorno a questo tema: com’erano organizzate le femministe lì; ed era presente quando nel 1974 venne approvata la legge. Qui in Argentina, l’aborto si praticava per strada: c’erano dei box e le donne dell’epoca andavano lì per abortire. Il tema dell’aborto era un tabù, non si poteva parlare della sessualità delle donne, né in gruppo, né in famiglia: era vietato».
Quale evento ha segnato la prima svolta?
«La morte di Dora nel 2009 ha segnato la vita di tutte. Allo stesso tempo, però, noi altre più grandi vedevamo che la lotta si era estesa alle generazioni più giovani. Avevamo vinto: l’idea dell’aborto come diritto si era radicalizzato a livello sociale. In quel senso, l’aborto era già legale. Quindi abbiamo continuato, senza mai indietreggiare, nonostante molti anni di incertezza».
Oggi cosa significa per voi l’annuncio del presidente Fernández?
«Credevamo non sarebbe mai successo. Anche se questo progetto non è quello proposto in origine dalla Campagna, è un evento storico. Se passerà il testo, come crediamo, inizierà il vero lavoro. Dovremo interagire con il governo per implementare la legge. E ci troveremo a lottare contro la chiesa, che già da ora si sta mobilitando per opporsi fortemente alla legalizzazione di questa pratica, un diritto delle donne».
Che differenze ci sono tra il vostro progetto e quello del governo?
«La differenza fondamentale è nell’obiezione di coscienza. Nella nostra proposta non era ammessa: sappiamo che in Argentina, e in particolare nei centri urbani più piccoli, i maggiori ostacoli per queste giovani donne sono miseria e conservatorismo. Per cui, se c’è un obiettore, questi troverà grande sostegno intorno. Mentre la ragazza che ha la volontà di abortire rimarrà sola e sarà costretta a recarsi nell’ospedale di un’altra città, il che è molto costoso. Il presidente ha inviato un ulteriore progetto, quello dei “mille giorni”, che prevede un sostegno economico per le donne in difficoltà che decidono di portare avanti la gravidanza fino a tre anni dalla nascita del bambino, su questo siamo d’accordo».
Cos’ha spinto il presidente a fare questo passo?
«In questo periodo ha bisogno più che mai del sostegno popolare. La destra si oppone a tutto ciò che fa, soprattutto nella gestione della pandemia. Lui ha mantenuto la promessa fatta quando siamo scese in strada durante il lockdown a dire che non c’era più tempo: durante la quarantena i casi di gravidanza e aborto clandestino stavano aumentando e una legge al tempo avrebbe evitato che le donne occupassero gli ospedali e i posti letto, già pochi, necessari per i positivi al Covid-19».
In Argentina, secondo i dati pubblicati dalla Direzione di statistica e informazione sanitaria (Deis), ogni anno vengono ricoverate circa 38mila donne a causa di infezioni dovute da aborti clandestini. Sono 54 le gravidanze interrotte ogni ora, 1300 al giorno in tutto il paese. Dal 1983 al 2019 per questo sono morte circa 3200 donne. E non solo. A settembre, infatti, il ministero della Salute bonaerense ha pubblicato per la prima volta un rapporto che raccoglie i dati annuali relativi alle interruzioni di gravidanza: nei primi sei mesi del 2020, l’8 per cento delle gravidanze sono state interrotte da minorenni di età compresa tra i 9 e i 13 anni.
In trent’anni oltre un milione e mezzo di ragazze ha aderito alla Campagna, a migliaia sono scese in strada in questo periodo d’emergenza e continueranno a farlo anche mentre al Congresso si discuterà il testo. Fazzoletti verdi al cielo, gridando ancora una volta: “Que sea ley, ya! (Che sia legge, ora!)”.
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