- Gli ucraini hanno cambiato tattica e dopo i falliti assalti di inizio giugno hanno iniziato a combattere divisi in piccole unità, cercando di dissanguare lentamente i russi che difendono il settore meridionale.
- Le perdite si sono ridotte e il morale è alto, ma alleati ed esperti occidentali dubitano che questa strategia porterà a una vittoria determinante.
- Gli ucraini, tanto i soldati semplici quanto i loro generali, sentono la pressione degli alleati e quella che gli arriva anche dal loro governo. Tutti vogliono risultati e li vogliono in fretta. Ma i chilometri di terreno si pagano con il sangue dei soldati.
Il drone russo, con il suo ronzio simile al rumore di una vecchia motocicletta, arriva quindici minuti dopo che i cannoni ucraini hanno sparato un paio di colpi da una postazione a qualche centinaio di metri di distanza. «Orlan, tutti dentro!», dice uno dei volontari georgiani. La comitiva abbandona il tavolo imbandito di birra, cognac e shashlyk, grossi spiedini di carne, e si rifugia nel vecchio edificio usato come base temporanea dalla Legione georgiana, in attesa dell’inevitabile risposta dell’artiglieria russa.
Dopo i primi giorni di assalti corazzati, questa è la nuova normalità della controffensiva ucraina sul fronte meridionale. Un gioco al gatto e al topo combattuto a chilometri di distanza da razzi e cannoni. Gli ucraini puntano a infliggere abbastanza danni da causare un crollo del nemico senza bisogno di sanguinosi assalti frontali. I russi tentano di resistere.
Il fronte, nel frattempo, non si muove che di poche centinaia di metri. Mentre il morale degli ucraini resta alto, alleati e analisti occidentali diventano ogni giorno più scettici sulle possibilità che questa attesa controffensiva possa portare a risultati determinanti.
Questione di tempo
Questa volta la visita del drone rimane senza conseguenze e dopo mezz’ora si torna a tavola, ma a luci spente. Il fuoco di controbatteria dei russi è notoriamente lento e impreciso e spesso, come in questo caso, non arriva nemmeno. Una settimana fa il generale russo Ivan Popov, comandante della 58esima armata, è stato rimosso dal suo incarico proprio per aver criticato i problemi dell’artiglieria e la mancanza di supporto da parte degli alti comandi.
Gli ucraini, invece, possono contare su armi più precise e soprattutto sistemi di comunicazione digitali integrati, che accorciano il tempo che trascorre tra il momento in cui viene individuato il bersaglio e quello in cui il cannone più vicino apre il fuoco per colpirlo. Ma quello che ai russi manca in tecnologia e precisione lo compensano con i numeri, sia di cannoni che di munizioni.
Gli analisti occidentali dicono che è difficile stabilire quale dei due contendenti stia avendo la meglio in questa guerra d’attrito, ossia che sta infliggendo più perdite all’avversario. In particolare, nessuno sa quale sia lo stato dei difensori russi. Hanno truppe di riserva pronte a tamponare eventuali falle nella linea, oppure dietro i vasti campi minati che hanno disseminato lungo tutto il fronte sud non è rimasto che lo scheletro di un esercito?
Qui, a una decina di chilometri dietro il fronte, nelle retrovie non lontano dalla città di Orikhiv, i georgiani hanno pochi i dubbi. «I russi stanno per crollare. Sono allo stremo, non hanno più riserve. Ora basta che il fronte ceda in un punto perché crolli tutta la linea», dice Copperhead, un ex militare texano che come molti soldati impiegati dagli ucraini si fa identificare soltanto con il suo soprannome.
Copperhead ha combattuto da volontario con i curdi contro l’Isis e dal febbraio 2022 è entrato a far parte della Legione georgiana. Fondata durante l’invasione del Donbass nel 2014 da sei ex militari, oggi la legione conta oltre un migliaio di combattenti, soprattutto georgiani, ma anche americani, francesi e persino alcuni giapponesi.
Copperhead dice di aver scelto questa unità al posto della più famosa Legione internazionale per via degli alti requisiti di professionalità richieste per arruolarsi. «I georgiani non prendono razzisti o nazisti», dice.
Morale alto
Dopo tre giorni trascorsi con i georgiani, è chiaro che il morale è piuttosto alto, un’impressione condivisa da analisti e giornalisti che hanno frequentato anche altre unità. Un fatto che può sorprendere, considerati gli scarsi progressi dell’attacco, ma è almeno in parte una conseguenza del cambio di strategia deciso un mese fa.
All’inizio della controffensiva, nelle prime due settimane di giugno, gli ucraini hanno lanciato i carri armati e i blindati ricevuti dai paesi Nato in una serie di violenti assalti contro le linee russe. Mine, droni ed elicotteri hanno inflitto loro pesanti perdite. Secondo fonti del Pentagono consultate dal New York Times, gli ucraini hanno perso fino al 20 per cento dei veicoli schierati nelle prime ondate.
Le perdite peggiori gli ucraini le hanno subite proprio in questo settore, la parte più occidentale del fronte di Zaporizhzhia. La propaganda russa ha fatto circolare per settimane le riprese di droni che mostravano una colonna di carri armati e blindati ucraini messi fuori gioco da mine e artiglieria.
Da allora, il comandante in capo ucraino, generale Valery Zaluzhny, ha ordinato di cambiare tattica. I soldati sono scesi dai loro blindati e hanno iniziato ad avanzare a piedi, divisi in piccoli gruppi. Mine ed elicotteri sono ancora avversari pericolosi, ma le perdite sono crollate e il morale è migliorato e la popolarità di Zaluzhny è alle stelle.
Lenti progressi
I combattimenti restano difficili. Quasi ogni giorno blindati ucraini finiscono in mezzo a campi minati, sono colpiti da missili lanciati dagli elicotteri da combattimento, mentre anche l’artiglieria russa riesce a ottenere qualche successo. Ma i combattimenti sono lontani dall’intensità raggiunta in passato e lungo altri settori.
«Qui è peggio di Kherson un anno fa, ma molto meglio di Bakhmut», dice Dimitru Chitishvili riferendosi all’offensiva nel sud dell’Ucraina dell’estate scorsa e poi alla durissima battaglia per difendere la città sotto assalto dei mercenari della Wagner. Chitishvili, un volontario georgiano di 38 anni che prima di arruolarsi faceva il dentista, si sta preparando a un’operazione tipica di questa nuova fase.
Con un plotone di suoi compagni dovrà marciare per dieci chilometri a piedi, occupare una posizione sulla “linea zero”, il punto di contatto tra i due eserciti, effettuare una ricognizione con dei droni e, possibilmente, fornire bersagli all’artiglieria.
A Kharkiv la legione dispone di un battaglione meccanizzato, ma qui sul fronte meridionale di Zaporhizhzhia i georgiani sono impiegati come fanteria leggera. Si muovono su veicoli non blindati ed entrano in combattimento a piedi. Sono un gruppo molto più informale delle unità regolari ucraine, motivo per cui sono tra i pochi ad accogliere ancora giornalisti così vicino al fronte.
Da quando è inziata la controffensiva, le regole già severe sull’acceso della stampa al fronte sono state strette ancora di più. Unità con la 47esima brigata, che schiera i famosi Leopard tedesche e ha subito pesanti perdite nei primi giorni dell’offensiva, sono pressoché inaccessibili ai giornalisti.
Gli ucraini, tanto i soldati semplici quanto i loro generali, sentono la pressione degli alleati e quella che gli arriva anche dal loro governo. Tutti vogliono risultati e li vogliono in fretta. Ma i chilometri di terreno si pagano con il sangue dei soldati.
La strategia di Zaluzhny, se non altro, sta tenendo basso questo prezzo. Il giorno dopo l’incursione sulla linea zero, Chitishvili scrive in chat: «Abbiamo occupato la posizione, provocato un po’ i russi e individuato due carri armati per l’artiglieria». Sono tutti di buon umore, dice. Per ora non hanno avuto perdite.
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