Nella conferenza di fine anno con i cittadini, Vladimir Putin ha ricevuto molte domande sulla fine della guerra. Le madri dei combattenti manifestano ogni sabato ponendo garofani rossi sulla statua del milite ignoto al Cremlino. I politici dovrebbero ascoltare di più i loro popoli, dalle due parti
Sono soltanto una quindicina secondo le agenzie, ma con mazzi di garofani e velo bianco queste donne, mogli o madri di soldati russi, sfidano il gelo manifestando ogni sabato a Mosca e chiedendo la fine della guerra. Al di là delle cifre nascoste da entrambe la parti sui caduti nella carneficina ucraino-russa, una cosa è certa: ormai si muore tanto per quasi nulla, per qualche decina di metri di terra bruciata.
Durante la conferenza di fine anno di Vladimir Putin, ci si è concentrati sulle risposte, dure, altere, inflessibili e sulle successive dichiarazioni che la guerra continua. La dirigenza di Mosca sente di avere in mano buone carte: le sanzioni non hanno avuto gli effetti sperati; malgrado le armi occidentali la controffensiva ucraina è fallita; le sorti sul campo di battaglia restano in stallo.
Putin vede la “stanchezza” dell’occidente tanto che il Senato americano è andato in ferie natalizie senza dare soddisfazione a Volodymyr Zelensky. Tuttavia è bene rivolgere più attenzione alle domande che sono state rivolte a Putin dal proprio pubblico. Sono apparse sullo schermo e non hanno ricevuto risposta ma sono mille volte più significative del suo stesso discorso.
I russi hanno chiesto: «Quando finirà la guerra? Quando inizierà il negoziato? Non è il momento di pensare alla pace? Fate tornare i nostri ragazzi….» È ragionevole non fidarci, ma si tratta di domande che nessun giornalista oserebbe fare a viso aperto in Russia. Ci dimostrano cosa si agita nel profondo dell’animo russo, mescolato a tanto altro. I russi non sono cosi diversi: sostengono il proprio governo nel conflitto (in pure stile anglosassone: right or wrong, my country), eppure si domandano quando questa guerra finirà.
C’è un anelito di pace che nemmeno dal Cremlino si riesce a pilotare. Come quelle donne coi garofani che nessuno ferma. Chi riesce a seguire i social russi già lo sa: accanto a molti messaggi guerrafondai (che sempre ci sono), ecco quelli su pace, dialogo, fine del conflitto. La conferenza pubblica a cui Putin ci aveva abituato, rispondendo senza filtri alle domande (interrotta per Covid negli ultimi due anni) fa rispuntare questi sentimenti, a dimostrazione che il popolo russo non è totalmente preda della propaganda, come si pensa da questa parte del fronte e come viene costantemente ripetuto in occidente.
Non si è spento quell’intenso anelito di pace che tutti abbiamo e a cui dovremmo dare più peso da entrambe le parti, senza che ciò provochi scandalo. Nemmeno un regime autoritario può fare a meno di tenerne conto. In occidente si pensa di sapere tutto di ciò che circola nelle menti della dirigenza russa, sulle manipolazioni della storia russa o a proposito delle intenzioni politiche e belliche. Ma nella conferenza di fine anno è emerso un poco di ciò che c’è nelle menti dei cittadini russi, e questo è confortante.
Anche in Russia alcuni si pongono domande, e in particolare quella sulla pace. Probabilmente verrà detto che ciò non conta niente, che non ha peso. Nei talk show televisivi russi ci saranno commenti sprezzanti e proseguirà la propaganda di guerra. Ma la storia insegna che non è mai solo così: nel cuore dell’uomo e della donna europei – russi compresi – è iscritta la profonda ferita delle due guerre mondiali e della rovina che comportarono. Anche nei giovani c’è tale intuizione che viene da lontano e si è trasmessa di generazione in generazione. C’è un rifiuto (noi italiani possiamo chiamarlo un ripudio) spontaneo e istintivo della guerra, soprattutto della guerra che non finisce, quella senza prospettive. Si tratta di un rigetto che resta irriducibile. Speriamo soltanto che i politici lo ascoltino, da una parte come dall’altra.
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