- Nel suo vibrante discorso alla Union Station, il presidente americano, Joe Biden, ha scelto di radicalizzare lo scontro. Ha dipinto la tornata di metà mandato come lo scontro apocalittico fra democrazia e autoritarismo, dialettica e violenza, civiltà e barbarie.
- Biden ha scelto la strada dell’escalation retorica esponendo nei termini più crudi l’alternativa radicale fra la luce della democrazia e le tenebre dell’autoritarismo trumpiano.
- Questo artificio elettorale ha anche un costo. Presentare la propria parte politica come unica detentrice legittima dei valori democratici può ingenerare un esito paradossale in cui gli elettori chiamati a scegliere fra una pluralità di ipotesi hanno a disposizione in realtà una sola opzione ragionevole. Questa narrazione realizza in pieno la logica la logica del “noi” e “loro” di cui il popolo trumpiano si è nutrito negli anni.
Nel suo vibrante discorso alla Union Station, a due passi da Capitol Hill, il presidente americano Joe Biden si è allontanato dal messaggio che i democratici hanno scelto per concludere la campagna elettorale di midterm, quello della rassicurazione economica e di un accorto ottimismo imperniato su alcuni segnali di ripresa.
Biden ha scelto di radicalizzare lo scontro. Ha dipinto la tornata di metà mandato, che fisiologicamente tende a penalizzare il partito che controlla la Casa Bianca, come lo scontro apocalittico fra democrazia e autoritarismo, dialettica e violenza, civiltà e barbarie.
«La democrazia stessa è in gioco», ha detto Biden, che ha accusato il suo predecessore, Donald Trump, non solo di avere aizzato la folla armata e inferocita che ha preso d’assalto il Campidoglio il 6 gennaio del 2021, ma di avere intossicato il Partito repubblicano con un «elemento Maga estremo» che ha ormai preso il sopravvento.
Il presidente ha collegato direttamente la condotta di Trump all’attentato a Paul Pelosi nella sua casa in California: l’obiettivo era la moglie, la speaker della Camera Nancy Pelosi, in una ripetizione da incubo di quella giornata in cui i manipoli trumpiani vagavano per il Congresso urlando: «Dov’è Nancy?».
Il punto dirimente per Biden è il disprezzo delle regole democratiche che la parte avversa esibisce, cosa che si traduce in «oltre 300 candidati» repubblicani (370 secondo un’inchiesta del New York Times) che in varie misure negano o mettono in dubbio il risultato delle elezioni del 2020 e già annunciano lo stesso trattamento per quelle di martedì prossimo.
«La democrazia americana è sotto attacco perché l’ex presidente sconfitto ha rifiutato di accettare i risultati delle elezioni del 2020», ha detto Biden, spiegando che la democrazia è più di una forma di governo: «È un modo di essere, un modo di vedere il mondo, un modo di definire chi siamo, in cosa crediamo, perché facciamo quello che facciamo».
Il presidente non si è discostato dal registro della minaccia esistenziale. Non ha parlato dell’inflazione, del prezzo della benzina, dei posti di lavoro, dell’instabilità geopolitica, della crescita economica, della crisi climatica, delle catene di produzione, dei diritti, delle disuguaglianze.
Ha scelto la strada dell’escalation retorica esponendo nei termini più crudi l’alternativa radicale fra la luce della democrazia e le tenebre dell’autoritarismo trumpiano.
Si può discutere dell’efficacia elettorale di questa strategia. In campagna elettorale il Partito democratico di Enrico Letta – si parva licet – ha drammatizzato lo scontro con Giorgia Meloni mettendo l’accento sulla scelta non già fra questa e quella proposta politica, ma fra la salvezza e il disastro, con i risultati che sappiamo.
Le elezioni della settimana prossima diranno se Biden saprà sfruttare in modo più vantaggioso la leva della paura, sentimento che non va mai sottovalutato nella dialettica politica.
Ma scegliere questo artificio elettorale ha anche un costo. Presentare la propria parte politica come unica detentrice legittima dei valori democratici – quelli che precedono e regolano lo scontro fra le diverse visioni del mondo e della società incarnate dai partiti – può ingenerare un esito paradossale in cui gli elettori chiamati a scegliere fra una pluralità di ipotesi hanno a disposizione in realtà una sola opzione ragionevole. Tutto il resto è pianto e stridore di denti.
Nel sistema bipolare americano escludere un partito dall’ambito della legittimità significa, al netto dell’impegno di formazioni alternative quasi mai decisive, che il sistema è nei fatti costituito da un solo partito, circostanza che mal s’accorda con l’ideale democratico.
I 74 milioni di americani che hanno votato Trump nel 2020, e che Biden implicitamente presenta come complici della sedizione, in realtà adorano questa rappresentazione, che realizza in pieno la logica del “noi” e “loro” di cui si sono nutriti negli anni.
Sentire il detestato “Sleepy Joe” che dichiara nei termini più chiari ed espliciti l’esistenza del partito unico dei buoni offre ai suoi avversari l’occasione imperdibile per radicalizzarsi nella convinzione che i veri autoritari sono proprio loro, quelli che delegittimano il pluralismo con il pretesto di difendere l’ordine democratico.
È una falsa convinzione, ma anche di false convinzioni vive la politica. Biden dovrebbe saperlo.
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