La decisione di Vladimir Putin di usare le forniture di gas come strumento coercitivo contro l’Europa ha compromesso la profittabilità di Gazprom, la società che con la sua rete di gasdotti era diventata il simbolo del potere geopolitico di Mosca e del legame tra il gas siberiano e l’industria europea.

A dirlo apertamente è un rapporto commissionato dal colosso statale del gas russo, in cui viene illustrato che Gazprom ci metterà almeno dieci anni per recuperare gli introiti perduti con l’abbandono del mercato europeo dopo le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina.

La ricerca è anche ottimistica, poiché si basa su stime che prevedono che le esportazioni di gas russo nell’Unione europea si attesteranno su una media di 50-75 miliardi di metri cubi (mcb) all’anno entro il 2035, un volume superiore ai 43 miliardi di mcb importati l’anno scorso, e due terzi inferiore rispetti alle medie prebelliche.

Inoltre, il progetto a medio termine della maggior parte dei paesi europei è liberarsi completamente dalle importazioni di gas russo (orientativamente entro il 2027), mentre le politiche di transizione energetica porteranno a una riduzione complessiva dei i consumi di gas, anche ipotizzando grossi ritardi nella realizzazione degli obiettivi dell’agenda verde. Il rapporto di 151 pagine sintetizzato dal Financial Times riconosce le conseguenze negative per Gazprom delle sanzioni occidentali, e più ampiamente sul settore energetico russo, arrivando anche a fare paragoni con l’Iran e la Corea del Nord.

Le cause del crollo

Tuttavia è necessario fare alcuni chiarimenti. Il gas russo infatti non è stato sottoposto a sanzioni dirette da parte dell’Ue, tant’è che viene ancora importato in quantità significative da Ungheria, Austria e altri paesi. Quello che è successo è che i paesi europei hanno iniziato a comprarne meno, e in molti casi non per loro scelta. Il crollo delle importazioni di gas russo in Europa e stata la conseguenza della guerra energetica lanciata da Mosca, che fin dalle prime fasi del conflitto in Ucraina ha militarizzato le forniture con l’obiettivo di costringere i governi dell’Ue ad abbandonare Kyiv.

A settembre del 2022 i canali social di Gazprom pubblicarono uno spot dal titolo «l’inverno sarà lungo e gelido», nel video si vedevano i tecnici della società che chiudevano i rubinetti e le città europee che venivano avvolte dal gelo invernale.

Qualche giorno prima il Cremlino aveva minacciato lo stop totale delle forniture fino a quando l’Ue non avrebbe ritirato tutte le sanzioni introdotte fino a quel momento, mentre Gazprom riduceva o interrompeva il volume delle forniture adducendo scuse come gli improvvisi guasti tecnici e le operazioni di manutenzione straordinaria.

Ciò nonostante i paesi europei non hanno ceduto accelerando con successo i programmi di diversificazione delle forniture, e nel 2023 la quota di gas russo sul totale importato dall’Ue si è ridotta al 15 per cento rispetto al 40-45 per cento del periodo prebellico. Gazprom ha pagato a caro prezzo la strategia del Cremlino.

Dopo le entrate stratosferiche del primo anno di guerra causate dai prezzi fuori controllo, nei primi sei mesi del 2023 l’utile lordo della società si è ridotto del 40 per cento, gli utili netti sono crollati del 70 per cento. Il risultato è che Gazprom ha smesso di essere una società redditizia, e ora ha bisogno del supporto dello Stato per coprire le perdite e continuare a offrire ai russi (cittadini e imprese) gas a prezzi calmierati.

Il ruolo delle sanzioni 

Anche le sanzioni hanno avuto un ruolo nella caduta di Gazprom, ma indiretto, legato alla manutenzione degli impianti. Le restrizioni alle importazioni hanno tagliato fuori l’industria energetica russa dalla fornitura di alcune tecnologie cruciali, come le turbine che servono a muovere il metano attraverso i gasdotti e i pezzi di ricambio per ripararle.

L’unica soluzione per contenere la perdita del mercato europeo è dirottare le importazioni verso la Cina, il solo grande importatore alternativo che può essere connesso ai giacimenti russi. Mosca però non riesce a concludere l’accordo per la realizzazione del Power of Siberia 2, il gasdotto lungo 3550 chilometri che collegherebbe il mercato cinese ai grandi giacimenti della Siberia occidentale che rifornivano l’Europa.

Pechino continua a prendere tempo, negoziando per ottenere un prezzo al metro cubo di gran lunga inferiore a quelli pagati dai paesi europei. Per la Russia infatti la Cina è una controparte estremamente difficile, che ha tutte le caratteristiche che l’Ue non aveva: essere un compratore unico con tutto il potere negoziale dalla sua parte, un cliente che non permette al Cremlino di sfruttare il divide et impera che usava in Europa.

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