L’esordio di Biden al G7 e alla conferenza di Monaco segna la fine dell’era Trump. Gli Usa rafforzano l’asse con l’Europa, che però deve ancora definire una strategia coerente. Intanto parte la gara di annunci per donare vaccini alle aree più fragili. Ma le donazioni non risolvono gli squilibri
- Due incontri straordinari, del G7 e della conferenza di Monaco, segnano un cambio di pagina rispetto all’era trumpiana. Se ciò significhi il pieno ristoro del multilateralismo e delle relazioni transatlantiche, e di quale tipo, è da vedere.
- Biden arriva al G7 con l’intenzione di ricostruire fiducia. L’Europa da una parte apre a Washington, dall’altra non ha ancora una propria strategia coerente.
- Macron, Johnson, Usa e Ue fanno a gara di annunci per le donazioni di vaccini alle aree più fragili, ma le piccole elargizioni non risolvono alla radice i gravi squilibri nelle vaccinazioni.
«Torneremo», preannunciò Joe Biden due anni fa alla conferenza sulla sicurezza di Monaco. «Bentornata America»: così lo accoglie ora il presidente del Consiglio europeo. Due incontri straordinari, del G7 sulla pandemia, e della conferenza di Monaco sulla sicurezza, si sono tenuti questo venerdì in modalità virtuale. Questi incontri segnano esordi, ritorni, e un cambio di pagina: si chiude l’era trumpiana delle relazioni internazionali. Se ciò significhi il pieno ristoro del multilateralismo e delle buone relazioni transatlantiche, e di quale tipo, è da vedere.
Draghi e Biden
Questo è l’esordio di Mario Draghi premier e di Joe Biden presidente al G7. Draghi ha già delineato il campo: europeismo, atlantismo, niente sbandamenti a est. Ma «non è da questo G7 che possiamo determinare l’influenza di Draghi sulle dinamiche globali», dice Mujtaba Rahman dell’Eurasia group. «Da quanto successo avrà nelle sfide domestiche, che sono la sua urgenza ora, dipenderà anche la sua incisività nelle relazioni infraeuropee e internazionali». Quanto a Biden, arriva al G7 con una dote importante: riporta gli Usa nell’accordo di Parigi sul clima, riallaccia il dialogo con l’Iran sul nucleare. E intende «rafforzare il multilateralismo», come la stessa Angela Merkel gli riconosce. Non è semplice, però. E infatti «vogliamo un multilateralismo che produca risultati», incalza Emmanuel Macron.
Già prima di Trump, il politologo Ian Bremmer aveva messo in guardia: «Siamo passati dal G7 al G20 al G zero», a uno scenario dell’«ognuno per sé», poi tradotto da Trump come «America first». Ora Biden prova a riparare, riallacciare, ricostruire fiducia. L’Europa da una parte apre a Washington, dall’altra «non ha ancora una strategia coerente» dice Rahman. «Berlino e Parigi devono chiarirsi su come intendere l’“autonomia strategica” e la “sovranità europea”; e l’Ue non ha ancora una posizione chiara su come relazionarsi alla Cina». Dai rapporti con Pechino e con Mosca si determina la solidità di quello con Washington. Oggi Biden ha definito la Russia «una minaccia: vuol indebolire la Nato»; ha preannunciato «una dura concorrenza con la Cina». Merkel è stata al gioco, ha detto di voler «elaborare con gli Usa un’agenda congiunta». Intanto però a dicembre spinse per chiudere l’accordo sugli investimenti con Pechino, e un mix di interessi energetici e Realpolitik tedeschi hanno reso finora difficile a Bruxelles usare durezza con Putin.
La sfida dei vaccini
Questioni irrisolte che spiegano pure i tentennamenti Ue su Sputnik. La vaccinazione è la sfida globale del momento e le tensioni non mancano. A sopirle, finora, era stata la segretezza concessa dall’Ue a Big Pharma sui contratti. Ma rivelazioni mostrano che la versione dell’amministratore delegato di AstraZeneca non è aderente ai patti: il contratto con l’Ue è stato siglato prima di quello con Londra, e anche l’accordo col Regno Unito si basa sulla regola del “best effort”. Il calendario delle consegne mostra che per fine marzo erano pattuite 120 milioni di dosi, non le 40 effettive. Il liberale Guy Verhofstadt fa un j’accuse alla Commissione: «Londra ha pattuito un calendario stringente, noi una stima approssimativa». Mentre l’Europa è alle prese coi propri ritardi, Macron prova a battere, almeno simbolicamente, sul tempo Boris Johnson. Quando il britannico sta per annunciare al G7 la proposta di donare il surplus di vaccini ai paesi più poveri, l’Eliseo lo brucia sul tempo: «Sono d’accordo con Merkel, il 5 per cento dei vaccini vada ai paesi in via di sviluppo subito, come segnale anche geopolitico». Macron dichiara di voler, con questo gesto, sopire gli animi e salvaguardare la proprietà intellettuale: dona qualche dose, ma non libera il brevetto.
Gli annunci si rincorrono: l’Ue aumenta il suo contributo economico all’iniziativa “Covax” per portare vaccini nelle aree più fragili. Biden pure promette di investire 4 miliardi di dollari, ma quando gli americani saranno stati vaccinati. «Al di là dei gesti propagandistici – dice l’europarlamentare Marc Botenga – non si tratta di fare la carità, ma di garantire l’esercizio di diritti». Amnesty se la prende coi paesi ricchi che fanno poco, l’Observatoire Otmeds accusa Macron: «Vuol risolvere gravi squilibri con piccoli gesti caritatevoli?». Vittorio Agnoletto di No profit on pandemic invoca «la moratoria sul brevetto, per produrre più vaccini, e l’importazione parallela, perché arrivino dove serve».
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