Il ricordo della memoria filmica corre ai fotogrammi della precipitosa fuga in elicottero dei marines e dei diplomatici americani dai tetti dell’ambasciata Usa di Saigon in Vietnam nel 1975, mentre i carri armati vietnamiti entravano in città. Uno scenario apocalittico con i barbari alle porte che oggi potrebbe ripetersi a Kabul tra poche settimane. Secondo il sito americano Politico sono in corso discussioni al Dipartimento di stato sulla chiusura dell’ambasciata degli Stati Uniti a Kabul, con una fonte che avrebbe affermato che la missione diplomatica potrebbe essere evacuata entro la fine del mese a causa dell’avanzata dei talebani che con 75mila effettivi sul terreno stanno respingendo un esercito regolare afghano forte di 300mila unità.

Adela Raz, ambasciatrice afghana negli Stati Uniti, ha detto alla Bbc che nel suo paese non è in corso «una guerra civile ma una guerra per procura», facendo intendere che dietro ci sono le forze che sostengono il fondamentalismo islamico e la sua riconquista di basi dove ricostituire santuari del terrore faticosamente smantellate in 20 anni di presenza occidentale. La sua testimonianza è importante come prima donna nominata ambasciatrice a Washington da Kabul.

La mossa sbagliata

Nel 2020 Washington ha stretto un accordo con i talebani che ha aggirato il governo di Kabul che ora ne soffre le conseguenze. Gli Stati Uniti hanno fatto pressioni affinché venissero liberati 5.494 prigionieri talebani come gesto di fiducia. L’ambasciatrice Raz, ha dichiarato al Financial Times che il rilascio è stato «l’errore più grande». Almeno 720 di quelli rilasciati sono tornati sul campo di battaglia e la mossa ha minato l’autorità del governo. Il presidente americano, Joe Biden, stanco dei 2.312 morti americani (53 i nostri militari caduti in terra afghana) e dei mille miliardi di dollari spesi in 20 anni di guerra senza fine cerca di mettere la parola fine alla presenza delle sue truppe entro l’11 settembre 2021, data simbolo dell’attacco alle Torri Gemelle e causa dell’intervento americano a Kabul. In questo quadro di disastro umanitario per le migliaia di profughi interni in fuga verso Kabul il governo afghano avrebbe offerto alle milizie dei talebani «di condividere parte del potere» dopo che questi ultimi hanno conquistato altre due capitali di provincia in una settimana (in totale ora sono undici): si tratta di Ghazni e di Herat, la città dove erano di base i militari italiani.

L’offerta, secondo Al Jazeera, sarebbe stata trasmessa ai talebani tramite la mediazione del Qatar, dove si stanno svolgendo dei negoziati tra le parti. L’obiettivo dell’esecutivo di Ashraf Ghani sarebbe quello di mettere fine ai combattimenti tra esercito regolare e i talebani, che stando ai dati dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), hanno provocato oltre 240mila sfollati in soli quattro mesi. Sempre sul fronte dei profughi in Europa la Francia a inizio luglio ha sospeso le espulsioni dei migranti afghani, per il deterioramento della sicurezza a causa dell’offensiva dei talebani. Decisioni analoghe sono state annunciate da Germania e Paesi Bassi.

Il ritiro americano e degli alleati occidentali (inglesi, tedeschi e italiani) ha messo in allerta i tradizionali vicini dell’Afghanistan, tutti molti interessati a contenere (Russia e Iran), controllare (Pakistan) e coinvolgere nella propria sfera di influenza economica (Cina e India) il nuovo regime talebano di Kabul. La Russia, memore dell’infausta decisione di invadere il paese dal 1979 al 1989, ora ne vuole controllare ai confini le possibili influenze jihadiste, collegamenti nefasti per le vicine repubbliche asiatiche.

Pechino a sua volta teme che l’Afghanistan possa essere usata come base logistica per i separatisti uiguri nello Xinjiang. La Cina di Xi Jinping inoltre vorrebbe estendere la Via della Seta al paese, crocevia logistico naturale dell’Asia centrale. Islamabad invece vorrebbe riannodare i tradizionali legami con i talebani da quando agli albori del movimento li sostenne e li istruì nelle sue madrasse fondamentaliste in funzione anti-sovietica. Anche l’India del premier Modi potrebbe entrare nel gran gioco che inizia nel passo di Khyber (che collega Afghanistan e Pakistan) in funzione anti-pakistana, forte di un maggior sostegno politico dell’alleato americano. Una cosa: ogni paese vicino, non può fare a meno di osservare con grande attenzione i nuovi equilibri che si delineano in Afghanistan per non restarne a sua volta vittima.

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