Tutto quello che sta succedendo somiglia molto al modo con cui l’Europa piombò nelle due guerre mondiali senza quasi accorgersene
Se anche Raphaël Glucksmann incita l’Europa a passare ad «un’economia di guerra», significa che il clima si è fatto davvero pesante. L’astro nascente della prossima lista progressista e socialista francese alle elezioni europee, sostiene che l’intero continente è sull’orlo del conflitto a causa dell’aggressività russa.
Dopo le dichiarazioni britanniche, tedesche e baltiche, ora anche in Francia risuona l’allarme generale, come le dichiarazioni del presidente Emmanuel Macron dimostrano. Prepararsi a tutto «senza escludere nulla», nemmeno l’invio di soldati: questo si vocifera nei corridoi del potere occidentale. Il segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin conferma. Dal canto suo Sergej Lavrov reagisce: «Già sappiamo – dice ridendo – che ci sono soldati della Nato in Ucraina!». Un modo per dire che la Russia saprà utilizzare questo fatto al momento giusto.
La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zacharova, avvalora: «Così si vede chi è il vero aggressore: la Nato». Tutta la politica del Cremlino si regge su questo assioma: dopo il fallimento della guerra-lampo per prendere Kiev (che avrebbe avvalorato un’altra narrazione: quella del popolo fratello che si libera dal giogo straniero), Mosca sta cercando di convincere tutti – il global south in particolare - di essere lei la vera vittima di una Nato bellicosa e prepotente. Una scommessa che sta progressivamente affermandosi come narrazione globale ed è condivisa anche da alcuni occidentali.
Guerre da sonnambuli
Com’è noto il vittimismo è sempre stata la migliore arma dei violenti e dei riluttanti. Tutto questo somiglia molto al modo con cui l’Europa piombò nelle due guerre mondiali senza quasi accorgersene, da “sonnambula” dicono gli storici. La memoria è corta e non ci si rende conto del pericolo che si sta correndo: «Non c’era ancora la guerra e già non c’era più la pace» scriveva nel 1938 l’autore ungherese Sandor Marai. Gli europei devono dirselo con franchezza: la pace non c’è già più e non ci sono finzioni possibili che possano celare tale realtà. I discorsi su “non è la guerra della Nato, non andremo mai a combattere in Ucraina” sono ormai fallaci.
Il merito di Macron è almeno di averlo svelato: «Non ci sono limiti». Un’affermazione di “ambiguità strategica” cioè il modo per mettere Putin sull’attenti. Ma anche un passo in più verso l’allargamento del conflitto. L’ingranaggio è innescato e non si può fermare se non con molta volontà politica dal momento che ognuno sostiene di non voler perdere tale sfida perché comporterebbe la propria fine. In altre parole ogni guerra è sempre presentata come “esistenziale”, e spesso anche come “l’ultima”, ma assolutamente necessaria alla propria sopravvivenza.
Si rafforza da entrambe le parti una mentalità conformista e dell’ossequio per ciò che viene propalato dalle istituzioni: se lo dicono sarà pur vero… La Russia propaganda una ricostruzione vittimistica nella quale l’occidente sarebbe pronto ad invaderla di nuovo: d’altronde non ci ha già provato varie volte?
Dal suo punto di vista l’occidente risponde con la stessa drammatizzazione: è la Russia che vuole invaderci tutti, d’altronde non si tratta di un potere autoritario? Così, mescolando realtà e finzione, non si ragiona più, ci si adatta, ogni riflessione critica della vicenda in atto viene inghiottita dalla paura di perdere. Le parole di papa Francesco o del cardinal Matteo Zuppi sulla ragionevolezza della pace sembrano ingenue o risuonano come inattuali in un mondo violento. Come ebbe a dire ad inizio conflitto un generale francese: «Siamo erbivori in un mondo di carnivori». La paura si conferma essere il grande vettore della guerra che non ha bisogno di essere dimostrata: ognuno la può sentire dentro di sé.
Vittoria inutile
In tale scenario psicologico la vittoria sembra l’unica soluzione possibile, l’unico modo per uscirne o almeno per smorzare l’ansia. Basterebbe al contrario un poco di lucidità per capire che la vittoria è impossibile e inutile allo stesso tempo. Impossibile distruggere la Russia o cambiare il suo regime dall’esterno, da un lato. Impossibile invadere l’occidente o trasformarlo a proprio piacimento, dall’altro. Russia e Europa resteranno diverse ed ogni loro realistico cambiamento avverrà dall’interno ma mai imposto da fuori. Ma oltre che impossibile la vittoria è anche inutile: se uno dei due vincesse non sarebbe che in preparazione della rivincita.
Ogni guerra appresta quella successiva e nessuna vittoria è mai definitiva. I francesi avevano adottato una formula nel 1914 all’inizio della grande guerra: la “der des deres”, cioè “la dernière des dernières”, l’ultima delle ultime. Ma quando mai? C’è stata la seconda, poi la guerra fredda e ora questa… oltre ad altri innumerevoli conflitti che soltanto una mentalità distratta può definire minori. Quando terminerà il ciclo della violenza? Solo quando i responsabili si renderanno conto che la guerra è uno strumento del tutto inutile: le colpe degli uni sono sempre ricoperte e giustificate da quelle degli altri.
Il doppio standard è moneta corrente per tutti. L’odio una macchina che ne produce altro all’infinito. Prima ancora di discutere su guerra giusta o ingiusta, sul diritto o non a combatterla, o sulla sua moralità, affermiamo la verità pragmatica: la guerra è inutile oltre che pericolosa. Mediante essa nessuno dei contendenti cambierà l’altro né lo convincerà della sua superiorità morale o giuridica. In tale fasullo (ma micidiale) mercato della forza conviene solo fermarsi prima dell’abisso.
In tale quadro assai difficile sorprende che sempre più spesso venga richiamato dagli esperti in queste settimane il piano di mediazione italiano, quel progetto elaborato dalla Farnesina nei primi mesi di guerra. L’idea prevalente è che dopo non ci sia stato nulla di sensato. Si tratta di un’impostazione semplice con una logica da dinamica negoziale: non dare all’inizio tutte le risposte o mettere tutte le condizioni. Tale compito di perspicacia politica dovrebbero intestarsi l’Italia e l’Europa.
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