- Cosa ha fatto il presidente degli Stati Uniti Joe Biden nei primi 100 giorni del suo mandato?
- La testata online Persuasion, coordinata dal politologo Yascha Mounk, lo ha chiesto ad alcuni tra i più influenti opinionisti internazionali.
- Rispondono giornalisti, politologi, storici: da Niall Ferguson a Edward Luce a Emily Yoffe a Moisés Naìm.
Cosa ha fatto il presidente degli Stati Uniti Joe Biden nei primi 100 giorni del suo mandato? In quale direzione sta cambiando gli Stati Uniti? E quali sono le conseguenze per il resto del mondo? La testata online Persuasion, coordinata dal politologo Yascha Mounk, lo ha chiesto ad alcuni tra i più influenti opinionisti internazionali. Ecco le loro analisi.
Edward Luce
corrispondente dagli Stati Uniti del Financial Times
Si poteva sentire lo sbadiglio collettivo della sinistra democratica quando Joe Biden ha vinto le primarie della Carolina del Sud il 29 febbraio 2020.
È impressionante però quanto Biden abbia smentito con decisione le aspettative molto basse della sinistra. Prendiamo le dimensioni del piano fiscale di Biden, la portata della sua agenda di riforme sociali, il ritmo delle sue ambizioni: Biden offre agli americani un momento istruttivo su come di solito avvengono i cambiamenti seri in America.
Più semplicemente, raramente sono le superstar della politica a portare grandi rotture. John F. Kennedy e Barack Obama hanno entusiasmato le folle, ma sono stati Lyndon B. Johnson e ora Biden a capire come far passare le leggi.
È troppo presto fare dei paralleli con Franklin D. Roosevelt, un’altra figura ampiamente sottovalutata dai contemporanei. Una sconfitta democratica alle elezioni di midterm del prossimo anno potrebbe anche fermare Biden nel suo percorso. Ma nella traiettoria attuale Biden sembra pronto per diventare un presidente molto significativo. Gli amici dell’America dovrebbero volere il continuo successo di Biden.
Emily Yoffe
giornalista e scrittrice, firma di The Atlantic
È il potere la cura a lungo cercata per combattere la degenerazione cerebrale?
All’inizio della sua campagna presidenziale sembrava impossibile che Joe Biden potesse essere il candidato, con le sue risposte sconnesse e perse e lo sguardo a 50 metri di distanza. Dall’elezione in poi Biden è diventato più preciso e disciplinato di quanto lo sia mai stato nei suoi cinquant’anni di carriera.
La pandemia ha costretto Biden a fare campagna elettorale dal suo seminterrato, il che è risultato nella strategia vincente di tenerlo lontano dai riflettori. Questo è continuato saggiamente durante la presidenza.
Dopo quattro anni a preoccuparci quotidianamente di ciò che un presidente folle e i suoi lacchè corrotti stessero combinando, è un sollievo enorme non avere notizie o non dover pensare troppo al presidente. Uno dei regali di Biden al paese è stato quello di nominare persone oneste e competenti nell’amministrazione e di rendere la presidenza nuovamente noiosa.
Durante la campagna elettorale Biden ha affrontato quella che ha chiamato un’accusa di violenza sessuale completamente falsa (ho trovato credibili le sue smentite). Sfortunatamente, questa esperienza non ha mitigato l’obiettivo annunciato di Biden di ribaltare le riforme riguardanti il modo in cui vengono gestite le accuse di cattiva condotta sessuale nei campus, riforme attuate dall’ex segretario dell’Istruzione Betsy DeVos.
Sono felice che l’amministrazione Trump sia entrata nella pattumiera della storia. Il regolamento di DeVos in generale era valido, una correzione necessaria alle procedure scandalosamente scorrette nei campus che erano state avanzate dall’allora vice presidente Joe Biden.
Dopo essere stato accusato, Biden — e i democratici — hanno esaltato i valori di un giusto processo e di non saltare a conclusioni di colpevolezza. Questo non dovrebbe valere solo per selezionate figure politiche. Biden dovrebbe estendere queste stesse protezioni agli studenti universitari.
Niall Ferguson
storico di Harvard
«Un cambiamento epocale e permanente verso un’America molto diversa ... Il candidato più centrista presentato dai democratici all’inizio del 2020 è ... diventato il presidente più radicalmente progressista dai tempi di Johnson». Così ha scritto dell’amministrazione Biden Andrew Sullivan, e con lui un buon numero di altri opinionisti accorti, tra cui Jon Meacham, storico e speechwriter di Joe Biden.
Perdonatemi, ma preferivo l’idea di Harold James di “America tardo-sovietica”. (Qualcuna tra le più esagerate coperture mediatiche ricordano certamente la Pravda).
La realtà è che Biden non ha nulla delle maggioranze al Congresso di LBJ (o di FDR, se è per questo). Dopo la vittoria schiacciante di LBJ nel 1964 i democratici avevano 68 seggi al Senato e 295 seggi alla Camera. Oggi ne hanno 50 e 219. Di certo c’è stata un’ondata di ordini esecutivi presidenziali dal 20 gennaio, ma la conquista più grande ad oggi è un programma di vaccinazione che Biden ha ereditato dal suo predecessore.
La combinazione di vari migliaia di miliardi di dollari di fondo Covid, sommati alle spese per le infrastrutture e a una banca centrale che ha appena aggiustato il proprio regime di controllo dell’inflazione preoccupa più economisti del solo Larry Summers.
Mi vengono in mente altre cose di cui preoccuparsi oltre al surriscaldamento economico: un incremento dell’immigrazione illegale, un’ondata di crimine sulla scia delle proteste contro la polizia dell’estate scorsa, e la cultura “woke” con cui questa amministrazione è compiacente. Attenzione anche alla crisi geopolitica che avviene mentre la Seconda Guerra Fredda minaccia di rovesciare Taiwan. Il grande rischio per la presidenza di Biden è che finisca per essere una replica di Jimmy Carter. Oppure, a pensarci bene, di LBJ.
Norman Ornstein
politologo dell’American Enterprise Institute
Un mandato presidenziale è di 1.461 giorni. Ma da quando Roosevelt e una massiccia maggioranza democratica al Congresso intrapresero un’azione radicale all’inizio del suo primo mandato, i primi cento giorni di mandato presidenziale sono diventati un traguardo standard per valutare la performance del presidente.
È allo stesso tempo comprensibile e spiacevole: i presidenti hanno tutti i loro poteri nei restanti 1.361 giorni, ma sono spesso limitati dal calo del sostegno pubblico e dalle perdite elettorali a metà mandato, che di solito danneggiano il partito del presidente. Eppure lo standard dei 100 giorni (o 99 in questo caso) è rimasto. Come valutiamo allora Joe Biden?
Do a Biden voti molto alti. Prendendo il controllo della distribuzione e dell’espansione delle vaccinazioni, implementando un approccio complesso ma robusto, che ha superato le aspettative, ha alleviato la pandemia. Il suo solido pacchetto di recovery non solo aiuterà le persone in difficoltà e rimetterà in sesto l’economia, ma trasformerà questioni come la povertà infantile.
Ha usato il potere esecutivo con prudenza per ottenere altri obiettivi nell’ambito della competenza del ramo esecutivo. Sta per approvare un importante pacchetto di infrastrutture. Ha scelto un governo e un gabinetto qualificati e ha imposto un nuovo senso etico, in netto contrasto con l’amministrazione Trump corrotta e inetta. E ha tenuto insieme le tante e rumorose fazioni del suo partito.
Che Biden abbia realizzato tutto questo in un sistema politico profondamente diviso, con una maggioranza di repubblicani nel paese che ancora crede che le elezioni siano state rubate, con margini molto stretti alla Camera e al Senato, e dopo che Trump gli ha negato una transizione normale, tutto questo è ancor più impressionante.
I prossimi mesi saranno probabilmente più difficili e controversi. I grandi problemi, compreso il divario razziale e la crisi sul confine, non scompariranno. Ma l’inizio di Biden è stato davvero impressionante.
Ivan Krastev
Presidente del Centre for Liberal Strategies a Sofia
In politica i leader diventano visionari soltanto quando non hanno altra scelta. Questo è quello che è successo a Joe Biden. In 99 giorni ha trasformato l’America perché ha trasformato se stesso.
Biden ha vinto le elezioni come candidato anti-Trump, ma guida il paese come una persona che ha dimenticato chi fosse Trump. Ha condotto la campagna elettorale facendo attenzione a non dividere il Partito democratico.
Ora conduce il paese come se avesse dimenticato quanto sia diviso il suo partito. In breve, è arrivato con un programma così ambizioso che ha cambiato il discorso nazionale e, così facendo, ha reso di nuovo l’America governabile.
Moisés Naím
membro dell'International Economics Program del Carnegie Endowment for International Peace
“Il presidente della ripresa”. “A metà strada”. “Un conservatore”. Questi sono solo alcuni dei modi in cui il quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti è stato caratterizzato. Sono tutti corretti tranne l’ultimo. Non è un conservatore. Da presidente Joe Biden si è rivelato un rivoluzionario ambizioso.
Lo slogan della campagna che ama ripetere, “Build Back Better”, “ricostruiamo meglio”, dovrebbe essere cambiato in “Build Back Larger”, “ricostruiamo più in grande”. I suoi numerosi pacchetti di spesa senza precedenti da migliaia di miliardi di dollari non si limitano a fornire l’aiuto necessario alle famiglie e alle imprese in difficoltà, ma mirano a cambiare l’America per sempre.
Se gli ambiziosi piani dell’amministrazione Biden si concretizzeranno, la povertà sarà inferiore, così come la disuguaglianza economica e sociale. Saranno creati decine di milioni di nuovi posti di lavoro grazie a un’economia ruggente, molti più americani avranno accesso all’assistenza sanitaria gratuita, nuove infrastrutture inizieranno a essere costruite o riparate, sarà avviata la riforma del sistema di giustizia penale, una rete di alleanze ripristinate con altri paesi modificherà il panorama geopolitico globale, la lotta al cambiamento climatico avrà finalmente inizio.
Sappiamo che i piani per un cambiamento sociale su larga scala non funzionano mai come previsto. Gli ambiziosi piani di Biden sono destinati a essere sabotati, rallentati, rimodellati o del tutto ostacolati. Eppure sono così grandi e di ampia portata che parte del loro impatto trasformativo sopravviverà.
Molti libri verranno scritti cercando di spiegare come un politico settantenne dell’establishment, che ha trascorso quasi mezzo secolo come senatore o vicepresidente, è diventato un leader audace e rivoluzionario.
Yascha Mounk
politologo, editor di Persuasion
Nel corso dei turbolenti anni della presidenza di Donald Trump, molti americani desideravano qualcosa di molto semplice: passare un giorno, o forse anche un’intera settimana, senza dover pensare al loro presidente. Joe Biden ha dato credito a questa speranza e, finora, è stato premiato da un alto indice di gradimento.
Raramente Biden è comparso sui giornali, ma il suo programma per cambiare l’America è ambizioso. La sua amministrazione ha fissato e mantenuto obiettivi aggressivi sull’implementazione del vaccino, sta spendendo in maniera consistente per uno stimolo fiscale, sta investendo generosamente in infrastrutture e sta aumentando il salario minimo. Tutti questi passaggi godono di ampio supporto.
Allo stesso tempo ci sono anche i primi campanelli che segnalano come la presidenza di Biden potrebbe andare storta. Alcune fazioni della sua amministrazione tendono alla guerra culturale usando il linguaggio dell’equità razziale per giustificare politiche neutrali rispetto alla razza.
Gli elettori danno all’amministrazione voti bassi per la sua gestione del confine meridionale. E mentre ci sono alcune valide ragioni per cui gli Stati Uniti si ritirano dall’Afghanistan, è troppo presto per dire quanto pericoloso sarà un ritorno dei talebani per l’Afghanistan, l’America e il mondo.
Biden ha vinto perché aveva promesso di unire il paese. Nel complesso, è stato fedele alle sue intenzioni. Ma se si allontana dalla missione, lui - e il paese - pagheranno un caro prezzo.
Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano quelle dei singoli collaboratori e non corrispondono necessariamente a quelle di Persuasion.
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