Dopo un inizio da dem, il controverso membro della famiglia Kennedy ha deciso di candidarsi da indipendente alla presidenza degli Stati Uniti. Può contare sul sostegno del riservato Tim Mellon, erede di una dinastia di banchieri conservatori, che dona milioni anche a Trump. Obiettivo: far perdere Joe Biden
Le idee controverse di Robert Kennedy Junior, candidato indipendente alla presidenza degli Stati Uniti, forse sono più famose del suo stesso cognome: la teoria ampiamente screditata dei vaccini che causano l’autismo, l’Aids che è stata propagata non da un virus ma da uno “stile di vita gay”, la guerra in Ucraina causata dalla Cia fino al pensiero che nell’omicidio del padre Bobby e dello zio, il presidente John Fitzgerald, ci sia stato un coinvolgimento del governo federale.
Tutto arcinoto. Tanto da renderlo una figura detestata nell’ambito scientifico e idolatrata in quello strano “mondo di mezzo” che mescola teorie cospirative e ambientalismo. Un mondo marginale che però potrebbe costare la presidenza a Joe Biden. Anche per l’ampia rete di finanziatori di cui dispone sin dal tempo della corsa alle primarie democratiche.
Un rischio per Biden
Andiamo con ordine. A inizio 2023, Kennedy aveva annunciato con un video su YouTube che stava pensando di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti, a cui era seguito un vero e proprio lancio in grande stile ovviamente a Boston, la città della sua famiglia.
All’epoca le sua appartenenza al partito democratico venne rimarcata con la nomina a campaign manager di Dennis Kucinich, veterano della politica, una vita nelle istituzioni prima come sindaco di Cleveland poi come deputato al Congresso, un nome storico dell’ala progressista anche lui però divenuto incline a credere ai complotti e alle credenziali “pacifiste” di Donald Trump. Non molti democratici hanno però annunciato il sostegno a Kennedy: soltanto un consigliere cittadino di New York City, James Gennaro, lo ha fatto.
Così lo scorso ottobre Kennedy ha deciso di lanciare una corsa da indipendente con lo slogan «Declare your independence». Anche perché, se la sua candidatura aveva lasciato freddi i democratici, lo stesso non si può dire dei repubblicani.
Un’analisi dei dati pubblicata di recente da parte dello Stanford Cable Tv News Analyzer mostra come durante i mesi da candidato dem, Fox News abbia dedicato molto spazio a Kennedy e alle sue idee, dandogli molto più minutaggio rispetto a Cnn e Msnbc, più vicine ai democratici.
Lo stesso ha fatto un altro media posseduto da Rupert Murdoch, il New York Post, che gli ha dedicato ben settanta articoli. Dopo, la copertura è bruscamente calata.
Un cambio di atteggiamento esemplificato dalle opinioni di Charlie Kirk, ex leader studentesco trumpiano: la scorsa estate scriveva che RFK Junior era “speciale” e più «intelligente dei suoi detrattori democratici». Oggi, interpellato dal magazine online Axios, ha dichiarato che «per quanto abbia un grande rispetto» per la persona, Kennedy rimane «un liberal democratico nel cuore».
Nonostante questo, non c’è acredine nei suoi confronti, dato che gli analisti ritengono che Biden è quello che potrebbe maggiormente risentire di questa corsa, anche perché Kennedy, che parla spagnolo, sta cercando di strappare al campo dem pezzi di elettorato latino-americano che potrebbero costare a Joe Biden la vittoria in Nevada e Arizona.
L’eminenza grigia
Le idee decisamente non convenzionali però hanno trovato orecchie disposte ad ascoltarlo soprattutto nella Silicon Valley: a cominciare dal fondatore di Twitter Jack Dorsey, entusiasta supporter sulla piattaforma del messaggio di “speranza” di Kennedy, capace di battere Biden e Trump, a cui avrebbe donato cinque milioni di dollari.
Entusiasmo che poi si sarebbe affievolito nei mesi successivi, tanto da rimangiarsi la promessa della donazione a causa delle proteste del suo entourage. Chi invece lo sta sostenendo è Tim Mellon, classe 1942, uomo d’affari erede di un’altra dinastia politico-economica originaria della Pennsylvania, che comprende tra gli altri anche Andrew Mellon, segretario al tesoro di tre amministrazioni repubblicane a cavallo tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, fautore di uno stretto liberismo economico e ostile a qualsiasi tipo intervento pubblico negli anni della Grande Depressione.
Torniamo al Mellon di oggi, che vive in modo appartato in Wyoming, ha donato in totale 20 milioni di dollari alla campagna del rampollo della famiglia Kennedy. Senza aver mostrato nessuna voglia di incontrarlo. Tantomeno di dare spiegazioni di questa sua scelta, che appare insolita per un privato cittadino che nel 2020 ha donato la ragguardevole cifra di 70 milioni di dollari a Donald Trump.
Forse, a ben vedere, la strategia di Mellon è quella di togliere voti a Biden, tant’è vero che anche il tycoon continua a ricevere denaro, circa 15 milioni di dollari finora. Il collegamento non è sfuggito alla campagna dei democratici che hanno scritto in un manifesto affisso nelle strade del Michigan «RFK Junior, finanziato dal mondo Maga. Stesso grande donatore: Timothy Mellon».
C’è stato un incontro tra Tony Lyons, cofondatore del Super Pac American Values 2024, che la principale struttura politica che sostiene Kennedy, e Mellon, ma non sono trapelati i contenuti delle loro conversazioni. Si sa però che una delle principali preoccupazioni del misterioso miliardario è rappresentata dall’immigrazione, tant’è vero che ha staccato un assegno da 54 milioni di dollari per sostenere la costruzione di un muro al confine tra Texas e Messico.
E infatti, con una coincidenza sospetta, nel mese di marzo Kennedy ha dichiarato di sostenere Abbott nella causa che lo vede contrapposto al governo federale per determinare chi abbia il compito di controllare i flussi migratori dal sud. RFK Junior peraltro ha anche scritto la prefazione alla biografia di Mellon, in uscita nei prossimi mesi, affermando che la sua vita «rappresenta bene l’incarnazione del “genio industriale americano”».
Casse vuote
Kennedy però ha anche un mega donatore da parte dem: si tratta della sua scelta come vicepresidente, Nicole Shanahan, già sostenitrice di Biden alle elezioni del 2020 e l’autrice del controverso spot andato in onda nella serata del Super Bowl dello scorso 11 febbraio dove si usava lo stesso jingle musicale della campagna presidenziale dello zio John Fitzgerald, tracciando un parallelismo tra due candidati del “cambiamento”.
Nonostante questi grandi finanziatori però, Kennedy Junior registra un forziere di soli cinque milioni di dollari, un’inezia che si spiega anche con le ingenti spese per la sicurezza personale del candidato indipendente, al quale è stata rifiutata la protezione del Servizio Segreto, il corpo militare che protegge il presidente e altre figure prominenti del governo federale.
A fornire le guardie private a Kennedy è stato il guru della security dei vip Gavin de Becker, che già nel 2023 gli ha donato quattro milioni e mezzo di dollari.
I finanziamenti per il membro reietto della famiglia Kennedy però sembrano non bastare mai e difficilmente riuscirà a ottenere l’accesso in ognuno dei cinquanta stati. Però potrà comunque accontentare il suo donatore maggiore Tim Mellon: far perdere Joe Biden.
Unica impresa che forse è alla portata di chi lo ha definito «il maggior pericolo per la democrazia americana» per aver censurato le voci “critiche” su vaccini e Covid.
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