Francesco ha dovuto rinunciare al viaggio per una forte infiammazione alle vie respiratorie, sarebbe stato il primo intervento del pontefice alla Cop. Negli Emirati Arabi Uniti lo attendeva un fitto programma di incontri diplomatici legati anche ai conflitti in corso. Cresce la preoccupazione per la salute del pontefice
L’ultimo stop del papa, l’infiammazione ai polmoni che gli ha impedito di andare al vertice mondiale sul riscaldamento climatico di Dubai (la Cop28), suona come l’ennesimo campanello d’allarme circa la tenuta della salute di Francesco. E porta con sé una domanda che in molti cominciano a porsi fra i collaboratori del pontefice e fra gli osservatori più attenti delle vicende vaticane: quanto si può andare avanti con un papa limitato dall’età e dai malanni che lo affliggono?
Certo, il tema è diventato di maggiore attualità dopo che il suo predecessore ha sdoganato le dimissioni anche per il papato, tuttavia è da tempo che la questione, grazie ai progressi della medicina che hanno dato un contributo decisivo al prolungamento della vita, è al centro dell’attenzione anche Oltretevere. Si può, insomma, guidare la Chiesa universale a 87 anni (tanti ne compirà Bergoglio il prossimo 17 dicembre) nonostante i limiti evidenti dovuti al naturale deterioramento delle condizioni fisiche? Certo, come ha detto il papa, non si governa con le ginocchia, insomma i problemi di deambulazione costituiscono un limite ma non esauriscono la capacità del capo della Chiesa di Roma di esercitare il proprio magistero.
Tuttavia, Francesco, sia ieri in occasione dell’udienza generale, sia domenica al momento dell’Angelus, ha rinunciato quasi del tutto a parlare, il che sarà certamente un’eccezione ma resta un fatto che desta preoccupazione. Anche perché è stato lui stesso, rivolgendosi alla folla presente in aula Paolo VI, a dire fin da subito: «cari fratelli e sorelle non sto ancora bene», fedele, va detto, alla scelta di non nascondere niente circa il suo sato di salute attraverso comunicati edulcorati della Sala stampa.
Salta Dubai
Quest’ultima, ha precisato in effetti, nella serata di martedì, che «pur essendo migliorato il quadro clinico generale del Santo Padre relativamente allo stato influenzale e all’infiammazione delle vie respiratorie, i medici hanno chiesto al Papa di non effettuare il viaggio previsto per i prossimi giorni a Dubai».
«Papa Francesco – proseguiva la nota - ha accolto con grande rammarico la richiesta dei medici e il viaggio è dunque annullato. Permanendo la volontà del papa e della Santa sede di essere parte delle discussioni in atto nei prossimi giorni, saranno definite appena possibile le modalità con cui questa si potrà concretizzare».
D’altro canto, la mancata partenza per Dubai questa volta non è rimediabile spostando semplicemente la visita ad altra data, come era avvenuto nel recente passato per il viaggio in Congo e Sud Sudan (rinviato per problemi alla gamba nel giugno del 2022 e poi realizzato nel gennaio-febbraio 2023).
A Dubai, infatti, si svolgerà la Cop28, il summit mondiale sul clima, tema centrale nel magistero del papa; sarebbe stata la prima partecipazione di un pontefice a un evento del genere, e la cosa aveva un suo forte impatto politico e simbolico, per altro in un contesto di crisi internazionali che faranno della città situata negli Emirati Arabi Uniti, il centro della diplomazia mondiale per una decina di giorni.
Ambiente e guerre
Se il papa non va, il suo messaggio arriverà comunque forte e chiaro, spiega in un lungo messaggio su twitter padre Antonio Spadaro, già direttore della Civiltà Cattolica e ora sottosegretario al dicastero vaticano per la cultura, che racconta pure come doveva svilupparsi l’agenda di Francesco a Dubai.
«Questo viaggio – afferma il gesuita - era stato pensato per rilasciare un messaggio carico di urgenza, un’ultima chiamata, rispettosa ma ribelle contro ogni forma di negazionismo», «il desiderio di essere presente fisicamente all’incontro ha un valore simbolico molto forte. Il Papa avrebbe voluto incarnare quel grido severo ai responsabili delle nazioni con la sua presenza fisica. E lo avrebbe fatto (e lo farà col desiderio e la parola) in uno scenario internazionale segnato dalla crisi dell’ordine mondiale e dai conflitti in corso». «E questi conflitti, tra l’altro - si lege ancora - non fanno che aggravare la situazione della “casa comune”.
Certamente gli incontri bilaterali - ai quali avrebbe dedicato un’intera giornata - sarebbero stati un’occasione importante per chiedere pace». «La sua presenza fisica alla Cop28 – ha aggiunto Spadaro - avrebbe significato anche un appello a rinnovare il multilateralismo. Appello che resta vivo e chiaro. Cambiamento climatico e cambiamento politico sono strettamente interconnessi (anche a causa del rapporto invertito tra economia e politica). Infine il Papa avrebbe fisicamente inaugurato il “Padiglione della Fede” che è una novità delle Cop. Il padiglione intende promuovere l’impegno delle religioni nell’attuazione di misure efficaci per affrontare la crisi climatica e la giustizia ambientale».
Non solo: «Con il grande imam di Al Azhar l’impegno è di firmare una Dichiarazione sulla scia della precedente sulla Fratellanza umana del 2018. Ancora una volta Francesco ribadisce il ruolo delle religioni e del dialogo interreligioso per risolvere i gravi problemi del mondo».
Dunque, il papa non solo sarebbe dovuto intervenire durante la conferenza sul clima, ma avrebbe avuto modo di trattare con altri leader i problemi legati al conflitto in Israele e a Gaza e di dialogare con gli esponenti di altre fedi presenti a Dubai. Se l’età e i problemi di salute, non permettono al papa di esercitare pienamente al papa il proprio magistero, è un problema che resta aperto nella Chiesa.
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